Chi ama il genere crime sa bene che, quasi inevitabilmente, a metà della sceneggiatura si potrà leggere ''Ho una notizia buona e una cattiva: quale vuoi conoscere per prima?''. È un artificio scritturale che serve a rendere più completo il racconto fornendo, a chi vede o ascolta o solo legge, elementi ulteriori di comprensione.

Ed allora eccomi anche io con la famosa domanda: quale vuoi sapere prima, la notizia buona o la cattiva?

Diamo per scontato che, chi è destinatario dell'interrogativo, decida per avere per prima la notizia buona. Eccola: sono tornati liberi due italiani (insieme ad altri due ostaggi occidentali) rapiti nell'Africa occidentale, padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio, le cui vicende sono nettamente differenti.

Il religioso fu rapito in Niger nella notte tra il 17 ed il 18 settembre del 2018 nella parrocchia che guidava, a circa 150 chilometri dalla capitale nigerina, Niamey. Delle circostanze del rapimento di Chiacchio si sa poco o nulla, se non che potrebbe essere stato sequestrato due anni fa, probabilmente in Mali.

Se la liberazione degli ostaggi è la buona notizia, la cattiva quale può mai essere?

La cattiva è che per la loro liberazione il prezzo pagato è stato alto, anzi altissimo. Al di là del fatto che non si sa se ci sia stato un riscatto in denaro (ipotesi affatto da scartare, se si vanno a rileggere le cronache di precedenti rapimenti di occidentali nell'area), per rivedere liberi il religioso e l'improvvido turista - definizione da mettere in relazione alla situazione della sicurezza nella zona, evidentemente sottovalutata - sono stati scarcerate decine e decine di pericolosi estremisti islamici - forse addirittura più di un centinaio - di quelli che hanno ingrossato le file di gruppi e gruppuscoli armati che, in qualche modo, possono essere messi in relazione con Al Qaida.

Si dirà che, pur di rivedere liberi dei connazionali rapiti, bisogna fare non di più, ma tutto il possibile. Ma la domanda che dobbiamo porci, come italiani, ma anche come persone raziocinanti, è se, messe le due liberazioni (degli ostaggi e dei terroristi) sui piatti di una bilancia ideologica, uno Stato che si poggia sul diritto possa pagare un prezzo così alto.

I terroristi islamici liberati non hanno dovuto fare giuramento di abbandono della lotta armata, non hanno fatto rivelazioni sui loro complici che li possano assimilare alla categoria dei pentiti o solo dei collaboratori. Sono soltanto usciti dalle carceri maliane e, come si dice in gergo, chi si è visto si è visto.

Per atto di fede dovremmo dire che il baratto è stato equo e che ha sanato una profonda ferita nel cuore dell'opinione pubblica italiana. Ma non può essere così semplicistico il ragionamento. Non entro nel merito delle motivazioni che hanno portato don Maccalli e Chiacchio nell'Africa occidentale, ma se per il religioso ammetto di accettare che sia andato laddove l'ha spinto la Fede, per il turista proprio non riesco ad esprimere anche il benché minimo afflato di comprensione.

Anche perché Nicola Chiacchio (laureato in Ingegneria, residente per motivi di lavoro in Cile dove fa l'insegnante) pare ami proprio il turismo intinto di avventura, di quelli che vogliono conoscere Paesi nuovi, con una scarica di adrenalina incorporata.

Secondo quello che ha detto al pm della procura di Roma, incaricato dell'indagine, Chiacchio ha confessato candidamente che si era messo in cammino verso Timbuctu, in sella alla sua accessoriata bicicletta, senza avvertire la Farnesina e, soprattutto, senza nemmeno prendere in considerazione le notizie che indicavano come molto pericolosi i tratti di strada che lui stava per intraprendere per raggiungere le sue mete.

In prigionia Chiacchio si è convertito all'Islam, ma solo per finta (al contrario di un altro ostaggio, la francese Sophie Pétronin, 75 anni, che ha abbracciato la religione islamica rinunciando al suo nome per diventare Mariam), una conversione fasulla fatta per ingannare i suoi carcerieri e quindi strappare migliori condizioni nella prigionia. Un gesto di furbizia mirato alla sopravvivenza che gli ha consentito di sopportare le privazioni che la sua condizione gli imponeva e che, per questo, ha potuto raccontare.

Grazie all'impegno di uno Stato, a dispetto delle pressioni che arrivano dalle famiglie di ostaggi che non conoscono le regole della diplomazia oscura e di una opinione pubblica che spesso parla a sproposito, fomentata da una certa stampa che cerca di capitalizzare ogni evento a favore del referente politico di turno.

Alla fine, quasi sempre i nostri esperti dell'intelligence estera (come quelli dell'Aise, che hanno operato per la liberazione di padre Maccalli e Chiacchio) riescono a raggiungere il loro obiettivo. Ma a che prezzo e, soprattutto, con un enorme impiego di mezzi e risorse.

Per liberare chi crede in Dio e chi crede nella soddisfazione di personali ambizioni, confesso, assolvo il primo, ma non riesco a fare la stessa cosa con il secondo. Anche perché, d'ora in avanti, saremo sempre perseguitati dal dubbio che uno dei terroristi islamici liberati possa usare violenza contro altri esseri umani. E, laddove dovesse accadere, spero con sincerità che il nostro turista dell'avventura non lo venga mai a sapere.