Con più del 78% di “Approvo” alla domanda se si voleva o no una nuova Costituzione, nel recente referendum del 25 ottobre, i cileni non solo hanno deciso il cambiamento, ma anche chi dovrà redigerla: saranno cittadini eletti a suffragio universale e non una commissione mista che eleggerebbe solo il 50%, mentre l'altro 50% sarebbe formato dagli attuali membri del Parlamento.

Questi risultati dimostrano, al di là di qualunque analisi, la voglia dei cileni di cambiare le inique regole del gioco, che si trascinano da quasi mezzo secolo, così come la crisi di totale sfiducia nei confronti della classe politica, capeggiata soprattutto (ma non solo) dall'attuale presidente della Repubblica, Sebastián Piñera.

Parlando con noi, l'avvocata e dottoranda in Diritto Diva Serra, membro attivo del gruppo “Chile Despertó – Italia”, nato in concomitanza con le manifestazioni dell'anno scorso in Cile, spiega gli obiettivi raggiunti ed i limiti del referendum, partendo dal fatto che i partiti politici tradizionali e i propri dirigenti, compreso lo stesso Piñera, pretendano di salire sul Carro della Vittoria affermando che i prossimi passi si dovranno fare con “ordine e moderazione” per eleggere i redattori della nuova Costituzione.

“Da un lato, mi sembra poco coerente con la realtà, dal momento che è stato lo stesso Piñera il primo a dire che ‘eravamo in guerra contro un nemico potente’, riferendosi ai manifestanti dell'anno scorso per poi trattarli come tali, tramite una serie di provvedimenti restrittivi come uno stato di emergenza costituzionale ed un coprifuoco, ricordando gli anni peggiori della storia del Cile”, afferma.

Aggiunge, inoltre, che non bisogna dimenticare che è stato “grazie alla mobilitazione sociale che è nato questo processo di ‘Ricostituzione’, che i partiti della destra cilena (tranne pochissime eccezioni) hanno provato a ostacolare, segnalando che non era necessario riformare la costituzione per portare a termine i cambiamenti rilevanti richiesti dai cittadini... sarà un processo in cui tutti saremo coinvolti, tanto chi lo ha richiesto nelle strade, quanto chi ha scritto ‘Approvo’ alle urne”.

Come si diceva prima, il risultato del referendum non è stata una concessione da parte della classe dirigente, ma la conseguenza della rivolta dell'anno scorso, in cui i movimenti sociali e le forze politiche del rinnovo sono state le vere guide della fine dell’istituzionalità pinochetista.

Abbiamo chiesto all’avvocata se secondo lei questi gruppi potranno arrivare ad avere un'egemonia che si traduca in una costituzione veramente democratica, quindi il superamento del neoliberismo. “Io spero che succeda, ma se succederà davvero dipenderà da come saranno organizzate le presentazioni dei candidati che dovranno redigere la nuova Costituzione, partendo da ora. Sono importanti il dialogo, l'unità e l’organizzazione affinché questo 78% di “Approvo” si trasformi in un 78% di eletti costituenti”.

Secondo lei, “è fondamentale la partecipazione di facce nuove, così come richiesto da tutti i settori, ma non tutte le facce: dovrebbero essere persone che abbiano svolto un lavoro a livello del territorio, o settoriale e che abbiano un vincolo reale con i gruppi che rappresentano... che vengano elette persone competenti, ma in questa necessità bisogna stare attenti a non cadere (di nuovo) nella sovrarappresentazione delle élite cilene”.

Alcuni settori di queste élite menzionate dall’avvocata sostengono che già con alcune riforme effettuate durante il governo del presidente Ricardo Lagos, si è percorsa gran parte della strada. In quel senso, Serra riconosce che nonostante alcune delle riforme applicate nella costituzione, in special modo quella del 2005, denotino un avanzamento rispetto al testo originale, dal momento che eliminano istituzioni profondamente antidemocratiche come i senatori designati e a vita, considera che “il grosso delle riforme non è riuscito a ridimensionare la struttura essenziale della Costituzione dell'80”.

In pratica, questa costituzione “mantiene una serie di blocchi che hanno impedito di realizzare riforme sostanziali in materia di lavoro, istruzione, protezione nei confronti del consumatore, diritti riproduttivi della donna e un lungo eccetera che con gli anni si è evidenziato”.

Dunque, queste riforme, nonostante riescano ad aprire “piccoli spiragli per una democrazia più larga, non risolvono purtroppo il problema di fondo, dove esistono molti diritti consacrati formalmente, ma che non possono essere richiesti, e dunque, dove le libertà economiche lasciano all’arbitrio dei privati la risoluzione di problemi che dovrebbero essere nelle mani dello Stato, creando molti spazi di vulnerabilità dei diritti e un Paese basato sulla disuguaglianza”.

Un tema che salta fuori di frequente è il fatto che i cileni che vivono all'estero (secondo le ultime statistiche più di un milione) continuano ad essere considerati cittadini di serie B: non potranno nemmeno eleggere i nuovi costituendi, per non parlare nemmeno della possibilità di essere eletti loro stessi. Abbiamo chiesto a Diva Serra se da un punto di vista giuridico ci sarebbe qualche possibilità di cambiare questa situazione a breve termine, o se secondo lei è più una decisione politica.

“Cambiare questa situazione implica modificare la Costituzione, non esiste un'uscita che non preveda una riforma, ragion per cui siamo in mano al Congresso Nazionale. La suddetta riforma deve avere, come obiettivo, che i cileni residenti all'estero, invece di partecipare solo alle elezioni primarie, presidenziali e ai referendum, possano partecipare anche all’elezione dei nuovi costituendi”, spiega.

Secondo lei, “la forma più giusta, e contemporaneamente più semplice di realizzarlo è tramite la creazione di uno o più distretti internazionali che diano la possibilità ai cileni che vivono fuori dal territorio nazionale di eleggere ed essere eletti, utilizzando per il suddetto effetto le liste elettorali già esistenti di cileni all'estero”.

Aggiunge che “attualmente in Cile esistono 28 distretti, tramite i quali verranno eletti i 155 nuovi costituendi, ragion per cui, dall’estero abbiamo redatto la domanda di creazione di tre distretti internazionali che ci permettano di eleggere i nostri rappresentanti in termini proporzionali: quindi le Americhe che ne potrebbero eleggere 4, Europa ed Africa insieme 2 ed Asia e Oceania insieme altri 2. Questa richiesta è stata canalizzata in questi termini tramite un disegno di legge che si trova al suo primo passaggio in Commissione Costituzionale della Camera, e speriamo venga messo in discussione nelle prossime settimane”.

Come si è dimostrato, la strada verso la futura costituzione non sarà facile, già cominciando da chi saranno gli eletti per scriverla; tuttavia, oltre ai blocchi e agli ostacoli che appariranno lungo la strada, il trionfo del referendum ha aperto la porta per costruire una cornice normativa istituzionale più equa ed inclusiva, dove, secondo uno slogan sentito in questi giorni: “La dignità diventi un'abitudine”.