È forse questa l’ora di pensare a un’evoluzione degli studi di economia verso un passaggio da un paradigma tecnico-razionale, oramai inidoneo ai fini assegnati, a uno diverso, in grado di ampliare il campo degli studi a una dimensione che accoglie come variabile determinante la natura dell’uomo, inteso nella sua dimensione integrale di “persona” al fine di dare un contributo pieno e costruttivo allo sviluppo delle società.

(Fabrizio Pezzani, È tutta un’altra storia1)

La salute non è solo un bene essenziale alla nostra esistenza in senso biologico, ma è anche – e sempre più sta dimostrando di esserlo – un bene essenziale alla nostra esistenza in senso sociale, essendo di fondamento alla dignità umana e al principio di una vita degna di essere vissuta per tutta la collettività a cui apparteniamo2.

La dicotomia attuale tra salute ed economia3 non può che esasperare la competizione, non solo nella sfera del mercato dei beni e dei servizi, ma anche del lavoro delle persone. Il rischio che corriamo è che, rispetto al pericolo di contrarre il virus, si instauri un’ulteriore competizione – oltre a quella che sta già avvenendo da anni per effetto della globalizzazione, in cui il lavoro viene redistribuito a favore delle fasce di popolazione peggio pagate e con minori garanzie sociali e salariali in qualunque parte del mondo esse si trovino - che favorisca chi è disposto, per bisogno, a rinunciare alla propria salute pur di assicurarsi un lavoro. Decretando così una esasperazione del neoliberismo attuale, con l’effetto di un ulteriore deterioramento dello stato sociale e ambientale.

Puntare sulla salvaguardia della salute delle persone, anziché essere considerato un pericolo per la nostra economia, potrebbe essere l’innesco per trasformare il nostro modo di intendere il mercato, lo scambio, la produzione di beni e servizi, il lavoro, divenendo un volano del cambiamento nel modo di realizzare concretamente la nostra vita economica e sociale4.

È necessario superare la dicotomia tra salute ed economia, trasformando la scelta tra l’una e l’altra – attualmente un o/o – in una rigenerazione tra l’una e l’altra – un e/e – un circolo virtuoso. La via per fare questo è considerare la salute come un bene comune.

Sanità pubblica, sanità privata

Abbiamo visto in un nostro precedente articolo5 che, mentre il bene privato presuppone che il beneficio che produce sia esclusivamente a favore di chi detiene il diritto di utilizzarlo a seguito di uno scambio (principio di escludibilità di altri nell’utilizzo) ed inoltre che, una volta consumato, non può esserlo nuovamente (principio di rivalità nel consumo), il bene pubblico presuppone invece che il beneficio che produce sia a favore di tutti indistintamente (principio di non escludibilità) e che il suo utilizzo non lo possa consumare, privandone altri (principio di non rivalità nel consumo).

È per questo che, se le persone sono obbligate ad usufruire di un determinato bene, questo deve essere pubblico e non privato. Nella salute, questo aspetto è particolarmente evidente, in quanto non possiamo rinunciare alla nostra salute: se stiamo male, abbiamo bisogno di qualcuno che ci curi e non possiamo esserne esclusi per motivi, ad esempio, di natura economica.

Finora l’attenzione è stata rivolta quasi completamente al conflitto in essere tra bene pubblico e bene privato, con uno spostamento in questi ultimi decenni nel nostro Paese sempre più a favore del bene privato - considerato più efficiente economicamente - attraverso la dismissione di beni dal patrimonio dello Stato e di altri enti pubblici e le privatizzazioni di larghi settori dell’economia.

La competizione tra bene pubblico e bene privato è particolarmente evidente nella Sanità, sia attraverso la concorrenza diretta tra pubblico e privato, sia attraverso sovvenzioni che il privato riceve dal pubblico allorquando si sostituisce a questi nell’esercizio delle sue funzioni.

Nel confronto tra pubblico e privato in Sanità, il privato spesso vince in quanto considerato di qualità più elevata, essendo ritenuto più efficiente del pubblico. Ma, come ricorda Pareto – lo studioso che ha introdotto il concetto stesso di efficienza in economia – per essere efficienti bisogna prima stabilire rispetto a che cosa occorre esserlo. L’efficienza è infatti un concetto relativo.

Qual è il fine della Sanità? Se è curare al meglio più persone possibile rispondendo ai bisogni di salute della popolazione, è questo l’obiettivo in base al quale definire l’efficienza della Sanità. Non altri. I parametri che misurano l’efficienza in Sanità dovrebbero essere commisurati rispetto a questo obiettivo, e non rispetto a quello di ridurre i costi e aumentare i ricavi. Il contenimento dei costi è certamente un obiettivo importante, ma succedaneo a quello di raggiungere l’efficienza nel curare al meglio il maggior numero di persone possibile.

Qual è il fine della Sanità privata? Trattandosi di imprese ‘for profit’, l’obiettivo è il profitto, ovvero la differenza tra ricavi e costi, cercando contemporaneamente di incrementare la domanda di servizi per espandere l’offerta. In tal caso, l’efficienza viene realizzata attraverso il raggiungimento del più alto profitto possibile. Confrontare quindi Sanità pubblica e Sanità privata misurandone l’efficienza in termini di profitto è una lente sbagliata per la valutazione. Inoltre, puntare a un incremento della domanda rischia di decentrare l’obiettivo di rispondere ai bisogni di salute delle persone, che non sempre corrispondono a una domanda di medicalizzazione, quanto piuttosto alla presenza sul territorio di una serie di servizi importanti e non sempre remunerativi.

Inoltre, una delle condizioni alla base dell’economia di mercato è la libertà di scambio, naturalmente da ambo le parti. Quindi chi compra un bene o un servizio lo deve fare in libertà, non in costrizione. Ma quando si parla di salute, raramente possiamo ritenere che lo scambio possa avvenire in libertà. Come possiamo ritenere la salute una merce? Come possiamo considerare chi ha bisogno di essere curato come un consumatore di una prestazione? Se stiamo male, siamo obbligati a rivolgerci a chi possa curarci e guarirci. Nel bene pubblico, non vi può essere uno scambio di equivalenti: denaro contro prestazione. Ed è per questo che la Sanità dovrebbe essere solo pubblica, e non privata.

Finora, la gestione della salute si è giocata su questi due aspetti: bene pubblico verso bene privato; Stato e Regioni verso mercato; diritto pubblico verso diritto privato.

Esiste tuttavia un altro tipo di bene: il bene comune, il quale, una volta consumato, non può esserlo nuovamente – gode pertanto del principio di rivalità nel consumo, come il bene privato - e tuttavia non si può impedire ad altri di utilizzarlo o di consumarlo, in quanto gode del principio della non escludibilità, come il bene pubblico. Questa doppia valenza – non escludibilità e, allo stesso tempo, rivalità nell’uso – rende i beni comuni fondamentali per la nostra esistenza, ma anche estremamente fragili.

Se li utilizziamo come beni privati, li distruggiamo sia per gli altri che per noi stessi. Se li affidiamo all’uso pubblico, rischiamo una rigidità così alta nell’utilizzo da renderli ingestibili e difficilmente fruibili per tutti. La via maestra per il loro utilizzo è renderli gestibili da comunità di persone che ne abbiano cura. Dal “noi” che precede l’“io” e che lo include.

La salute come bene comune

La salute non è un bene privato. Per ciò che concerne la salute, non possiamo competere: possiamo solo cooperare. Il darwinismo sociale con il suo principio fondamentale della “lotta per la sopravvivenza” – una mistificazione del pensiero di Darwin – non funziona con la salute. Se ti ammali tu, la possibilità che possa ammalarmi anch’io aumenta. Se qualcuno di noi contamina l’ambiente in cui viviamo, la probabilità di ammalarci tutti aumenta, nessuno escluso. Se siamo in molti a stare male, avremo maggiori difficoltà ad essere curati. E, come se non bastasse, la salute è locale e globale contemporaneamente. Dobbiamo stare bene globalmente per poter stare bene localmente – non possiamo chiudere le frontiere alle malattie, ai contagi, all’inquinamento, alle tempeste – e dobbiamo stare bene localmente per poter stare bene globalmente.

La salute è un bene comune: è interdipendente, è nell’interesse collettivo, e si ottiene solo cooperando gli uni con gli altri.

La salute, pertanto, non può essere gestita solo dall’assistenza sanitaria a cui è necessario ricorrere nei momenti più acuti di sofferenza, quando abbiamo bisogno di essere curati. La salute dipende dai comportamenti di ciascuno e, contemporaneamente, dai comportamenti sociali di tutti., dal nostro essere parte di una comunità.

Lo abbiamo capito molto bene con la prima ondata di epidemia che ha colpito l’Italia. In pochissimo tempo l’accesso alle strutture di cura è diventato difficile se non impossibile, non c’erano sufficienti posti negli ospedali, né sufficienti medici e operatori sanitari per curare le persone che stavano male. L’aspetto della rivalità nel consumo si è mostrato in tutta la sua crudezza, risultando evidente a ognuno di noi. Così anche l’aspetto della non escludibilità: non era possibile – né lecito moralmente – escludere dalle cure alcune persone, come i più anziani, sebbene di fatto ciò sia avvenuto.

Per evitare che questo accada di nuovo, è necessario considerare la salute come un bene comune e non più come un bene privato6. Non possiamo stare bene a discapito degli altri – considerando l’essere preso in cura come uno scambio di equivalenti, come un servizio che ci viene offerto se paghiamo per averlo – né indipendentemente dagli altri.

Se c’è un insegnamento che dobbiamo riconoscere al Covid-19, è proprio questo: possiamo stare bene solo se stanno bene anche gli altri e assieme agli altri, e questo dipende dai comportamenti di ciascuno noi, nessuno escluso, e dalla nostra capacità di generare delle comunità a cui partecipare attivamente.

Note

1 Fabrizio Pezzani, È tutta un’altra storia. Ritornare all’uomo e all’economia reale, Egea spa Università Bocconi Editore, 2013.
2 Amartya K. Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Oscar Mondadori, 2020.
3 Marinella De Simone, Salute o Economia? Per un nuovo ordine economico, Wall Street International Magazine, 10 agosto 2020.
4 Nino Cartabellotta, Ingrid Colanicchia, Manifesto per un nuovo Servizio sanitario nazionale, Micromega n. 5/2020.
5 Marinella De Simone, L’era dei beni comuni. Contro gli altri, a prescindere dagli altri, assieme agli altri, Wall Street International Magazine, 10 ottobre 2020.
6 Paolo Cacciari, La salute bene comune, Salute Internazionale, 2 marzo 2020.