La Corte d’Assise di Reggio Calabria ha di recente depositato le motivazioni, di 1078 pagine, della sentenza del 21 luglio 2020, nel processo a carico degli esponenti mafiosi Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano , imputati di essere stati i mandanti dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, consumato il 18 gennaio 1994, sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, all’altezza di Scilla, oltre che di tentato omicidio in danno dei Carabinieri Vincenzo Pasqua e Silvio Ricciardo, consumato in Reggio Calabria, tra il 1° e il 2 giugno del 1993. I due reati erano inoltre aggravati dalla premeditazione, dalla finalità di terrorismo e di eversione e dalla finalità di agevolare le attività delle organizzazioni di tipo mafioso denominate Cosa nostra e ‘ndrangheta, il tutto nell’ambito di un più ampio progetto stragista, diretto a costringere lo Stato italiano a rendere meno rigorose sia la legislazione che le misure di prevenzione antimafia.

Gli autori materiali dei crimini erano già stati condannati in via definitiva. Filippone rispondeva inoltre del reato di associazione di tipo mafioso, di cui all’art. 416 bis del Codice penale, aggravato dal ruolo di dirigente, operante nel Comune di Melicucco (RC), collegata alla potente cosca Piromalli, egemone nell’area della piana di Goia Tauro (RC).

L’attacco ai Carabinieri sarebbe dovuto - secondo la sentenza - alla confluenza di spinte eversive di segno diverso, frutto dell’evoluzione, o meglio della contaminazione derivante dall’inserimento della mafia siciliana e calabrese all’interno della massoneria. Per dare contezza di tale fenomeno, venne sentito come teste il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, il quale riferì che nel 1993, proprio l’anno delle stragi mafiose sul continente, ben 28 delle 32 logge calabresi erano controllate dalla ‘ndrangheta e che la massoneria calabrese, con centro propulsore a Reggio Calabria, sosteneva i movimenti politici separatisti che si stavano diffondendo in quegli anni in tutto il territorio nazionale. La convinzione di De Bernardo era quindi che vi fosse “un’unica regia”, dietro la stagione stragista e i movimenti separatisti.

I giudici manifestano inoltre la necessità di inserire le vicende criminali di cui al processo in un contesto più ampio, che va dalla rivolta di Reggio Calabria per la rivendicazione del capoluogo regionale, al tentato Golpe Borghese dell’8 dicembre 1970, alle stragi di Piazza Fontana a Milano, del treno Italicus e di Piazza della Loggia a Brescia, alla scoperta dell’elenco degli iscritti alla Loggia massonica segreta P2, ed al ruolo del suo fondatore Licio Gelli, oltre ai rapporti delle organizzazioni criminali con la destra eversiva e con settori dei servizi segreti. Sotto questo riguardo gli attentati ai carabinieri non erano che la prosecuzione della strategia stragista di Cosa Nostra, attuata non solo in Sicilia ma su tutto il territorio nazionale (Roma, Firenze, Milano) e che avrebbe dovuto culminare nell’attentato del 23 gennaio allo stadio olimpico di Roma, che, se portato a termine, avrebbe determinato la morte di varie decine di carabinieri di sorveglianza alle uscite dello stadio, provocando terrore e definitivo cedimento dello Stato.

In quegli anni gli esiti dei processi di Milano, denominati “Mani pulite” avevano provocato la crisi e l’estinzione di due dei partiti che guidavano il Paese, DC e PSI, creando un vuoto di potere. A ciò si aggiunga come l’esito negativo per Cosa Nostra del maxi processo di Palermo nei primi del 1992 aveva determinato Cosa Nostra a non fidarsi più dei vecchi referenti politici nazionali (in particolare la DC di Andreotti), e ad iniziare la politica stragista proprio il 12 marzo con l’uccisione di Salvo Lima, della corrente di Andreotti.

La ricerca di nuovi e più affidabili referenti politici si concluse proprio il 28 di gennaio del 1994 allorché l’imprenditore, affiliato alla Loggia P2 con tessera 1816, annunciò la sua discesa in campo, fondò il partito di Forza Italia, e vinse con largo margine le elezioni politiche del 27-28 marzo di quell’anno, riscuotendo largo consenso elettorale, anche da parte delle mafie. Per lungo tempo si escluse che la ‘ndrangheta avesse aderito alla strategia stragista di Cosa Nostra. Quest’ultima, infatti, ne era uscita sconfitta e da allora riuscì a sopravvivere solo adottando un basso profilo. Ne approfittò la ‘ndrangheta che ne prese il ruolo egemonico nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti, divenendo in tal modo la più potente e ricca mafia del mondo.

A fini probatori furono determinanti le ammissioni di responsabilità dei due esecutori materiali degli omicidi, Villani Consolato e Calabrò Giuseppe, e del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, quando riferisce del suo incontro al caffè Doney di via Veneto a Roma con Graviano, quest’ultimo condannato per le stragi di Capaci e di via D’Amelio, oltre che per quelle sul continente del 1993, il quale gli comunica che sono vicini ad avere in mano l’Italia grazie ai contatti con Berlusconi, tramite Dell’Utri.

Sulla base degli elementi probatori acquisiti la Corte reggina ha riconosciuto la responsabilità penale dei due imputati per i reati loro attribuiti e li ha condannati alla pena dell’ergastolo per i delitti di omicidio e tentato omicidio, e Filippone alla ulteriore pena di anni diciotto di reclusione per il reato di appartenenza ad associazione di tipo mafioso. Al di là dell’esito processuale l’importanza della sentenza sta nell’accertamento della continuità della collocazione della ‘ndrangheta al fianco della destra eversiva, come dimostrato dall’ospitalità riservata a Franco Freda, quando nei primi giorni di ottobre si allontana da Catanzaro, città ove si svolgeva il processo per la strage di Piazza Fontana. Come si ebbe modo di accertare successivamente fu la ‘ndrangheta a ospitarlo a Reggio Calabria, in tre diverse abitazioni della città, a favorirne poi l’espatrio in Costarica, dotandolo di passaporto rilasciato dalla Questura di Reggio Calabria a nome di uno dei favoreggiatori.

Anche Concutelli, secondo il racconto dei collaboratori di giustizia sarebbe stato ospitato dai De Stefano e già se ne dava la presenza al summit di Montalto del 26 ottobre del 1969, nel quale di decise l’adesione al tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese. A conferma e rafforzamento dell’asse ‘ndrangheta e destra eversiva si ritrova nella sentenza della Corte d’Assise d’Appello del 24 settembre 2002, nel processo a carico di Paolo Romeo, uomo cerniera tra ‘ndrangheta, destra eversiva e politica. La Corte commenta le dichiarazioni rese dal Concutelli quando riferisce “di un periodo di soggiorno a Roma, presso un’abitazione nella disponibilità di Stefano Delle Chiaie, durante il quale aveva conosciuto Paolo De Stefano (capo indiscusso della ‘ndrangheta reggina, n.d.r.), ospite nella medesima casa a cagione del suo stato di latitante, insieme ad altri esponenti della destra estremista. La sentenza del 2002 commenta come tale dato è particolarmente significativo della totale fiducia di cui De Stefano godeva negli ambienti eversivi sino al punto da essere ospite in uno dei covi che, all’epoca erano connotati dalla massima segretezza ed inaccessibilità a componenti estranee.

Agli atti della Commissione P2 sulla Loggia P2 di Licio Gelli si da atto della appartenenza di Concutelli alla loggia Camea e dunque si completa il triangolo massoneria-destra eversiva-mafia, che costituisce la Trinità che domina la scena criminale e non solo del nostro paese. D’altra parte è Pantaleone Mancuso, capo della omonima cosca, che parlando con altro esponente della famiglia, comunica che massoneria e ‘ndrangheta sono la stessa cosa, che la ‘ndrangheta non c’è più e che ormai è tutta massoneria.

È la nuova dimensione affaristica della mafia calabrese che gestisce l’economia del riciclaggio, interi settori dell’economia nazionale e infiltra la politica di intere regioni del Sud e del Nord del nostro Paese. Dopo la fine della guerra di mafia la ‘ndrangheta assume un nuovo aspetto. Occupa stabilmente le regioni Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia, si infiltra nelle amministrazioni locali, gestisce l’importazione di tonnellate di cocaina nei porti di Anversa e Rotterdam.