Due libri sono stati pubblicati di recente, quasi contemporaneamente, in Gran Bretagna e Francia per commemorare l'imminente 30° anniversario del disfacimento dell'Unione Sovietica. Hanno titoli quasi identici: Seven years that changed the World (Sette anni che hanno cambiato il mondo) dello storico di Oxford Archie Brown e Six années qui ont changé le monde (Sei anni che hanno cambiato il mondo) di Hélène Carrère d'Encausse, segretaria permanente dell'Académie Française. Entrambi sono dedicati all'eccezionale evento storico della fine del XX secolo: la Perestrojka sovietica e il suo leader e simbolo Mikhail Gorbaciov.

Ovviamente senza coordinarsi tra loro, nessuno dei due ha resistito alla tentazione di tracciare un parallelo con il leggendario libro del giornalista americano John Reed intitolato Ten days that shook the world (I dieci giorni che cambiarono il mondo) dedicato alla Rivoluzione d'Ottobre in Russia nel 1917. Il motivo è ovvio: entrambi gli eventi sono strettamente collegati non solo perché avvenuti in Russia ma anche per le logiche della storia.

Secondo Gorbaciov, la Perestrojka iniziò come la “continuazione della Rivoluzione d'Ottobre” ma al contrario pose fine all'esperimento sociale senza precedenti di realizzare sull'immenso territorio della Russia il progetto utopico comunista lanciato da Lenin e dai bolscevichi russi 70 anni prima.

Secondo il parere di un altro famoso storico britannico, Sir Eric Hobsbawm, due eventi hanno segnato il periodo politico del tempo da lui chiamato "Secolo breve": la prima crisi globale del capitalismo che ha portato alla Prima guerra mondiale e la tragedia della Seconda guerra mondiale. Fortunatamente siamo sfuggiti al terzo evento che sarebbe stato l'ultimo, con buone possibilità di diventare nucleare, "…se non fosse stato per Gorbaciov!" concludono entrambi i nostri autori all'unanimità.

Il significato della fine pacifica del conflitto strategico e ideologico tra Oriente e Occidente e l'inaspettato suicidio politico di una delle due superpotenze mondiali non può essere, ovviamente, ridotto solo alla fine della Guerra Fredda. Senza dubbio, la rivoluzione politica della Perestrojka lanciata in Unione Sovietica da Gorbaciov e dai suoi sostenitori ha trasformato radicalmente la Russia e ha lasciato la sua impronta sul successivo sviluppo mondiale.

La svolta politica senza precedenti realizzata durante gli anni della Perestroika ha consentito alla Russia Sovietica di mettersi al passo con la storia mondiale e di rompere le mura della fortezza assediata all'interno della quale era stata tenuta dal regime repressivo. Per la prima volta nella storia russa, i suoi cittadini hanno ottenuto il diritto a libere elezioni, libertà di parola e accesso a fonti di informazione pluraliste.

Per lo stesso Gorbaciov, l'obiettivo iniziale della Perestrojka era cercare di dare una seconda possibilità al progetto di rinnovamento socialista della Russia. Sognando la fusione dell'ideale socialista con la democrazia, aveva in mente l'immagine del “socialismo dal volto umano”, simile al progetto dei riformatori comunisti della Primavera di Praga del 1968.

La complessità del suo compito era basata su un'ambiguità: Gorbaciov era obbligato a distruggere il sistema totalitario utilizzando l'unico strumento politico che aveva a sua disposizione: lo Stato monopartitico. Ma essendo iniziata come un tentativo di modernizzare l'arcaico sistema politico, la Perestrojka ha provocato molto rapidamente la resistenza e l'opposizione delle forze conservatrici preoccupate dalla prospettiva di perdere le loro posizioni di privilegio.

Un'altra sfida che ha dovuto affrontare è la realizzazione di riforme economiche che permettessero all'Unione Sovietica di costruire un modello economico competitivo che combinasse gli imperativi del mercato con gli interessi sociali e le conquiste degli anni precedenti che i cittadini sovietici non erano disposti a sacrificare.

Il presupposto fondamentale per tutto ciò era la fine della corsa agli armamenti con l'Occidente che obbligava l'Unione Sovietica a spendere una parte sproporzionata del suo bilancio nazionale per scopi militari, influenzando così il tenore di vita della sua popolazione. Eppure, nonostante l'enorme prezzo che l'Unione Sovietica stava pagando per il mantenimento del suo status di superpotenza, negli anni '80 il Paese viveva una situazione di isolamento politico senza precedenti, impegnato in vari conflitti non solo con i suoi avversari occidentali ma anche con la Cina e il mondo musulmano, in particolare dopo l'invasione dell'Afghanistan nel 1979.

Avendo avviato l'audace politica di distensione con l'Occidente e suggerendo all'amministrazione Reagan negli Stati Uniti un ambizioso programma di disarmo nucleare, Gorbaciov cercò di fermare l'assurda corsa agli armamenti e contrastare l'immagine dell'URSS come fonte di pericolo militare per il mondo esterno.

Negli anni della sua nuova politica estera, il mondo è cambiato radicalmente. L’aspro clima di confronto politico si distese, i missili nucleari sovietici e americani di medio raggio furono rimossi dall'Europa, le truppe sovietiche si ritirarono dall'Afghanistan e dai territori dei membri del Patto di Varsavia, e infine il triste simbolo della Guerra Fredda - il Muro di Berlino - fu abbattuto aprendo la strada all'unificazione della Germania.

Nell'ottobre 1990 Gorbaciov è stato insignito del Premio Nobel per la Pace per il suo "ruolo di primo piano nella promozione del processo di pace come componente importante nella vita della comunità mondiale". Fu però costretto a declinare l'invito a partecipare alla cerimonia di Oslo poiché stava affrontando un'acuta crisi politica in patria provocata dalla portata senza precedenti delle riforme che aveva avviato.

Dopo sei anni di drammatici cambiamenti politici introdotti dalla Perestrojka nella società sovietica, la gente comune era impaziente di ottenere i "dividendi" della democrazia nella loro vita quotidiana, ma la crisi economica peggiorò il confronto politico all'interno della società scatenato dal conflitto tra riformatori radicali e conservatori.

In questi tempi di transizione senza precedenti, i partner occidentali di Gorbaciov non furono inclini a condividere con lo Stato sovietico i "dividendi della pace" e la fine inaspettata della Guerra Fredda che dovevano alla Perestrojka. Gli appelli di Gorbaciov di assistere l'economia russa in questa fase della sua radicale trasformazione, rivolti due volte ai leader del G7 nei loro incontri a Houston e Londra, sono stati respinti con la spiegazione che le sue richieste non erano economicamente convenienti.

Molto rapidamente Gorbaciov dovette rendersi conto che porre fine alla Guerra Fredda era più facile che trasformare e democratizzare la società russa e resistere agli attacchi dei suoi oppositori politici. L'indebolimento del meccanismo repressivo dello Stato centrale offrì l'opportunità per l'attivazione di movimenti nazionalisti e separatisti, minacciando l'integrità dello Stato federale.

Nell'agosto 1991, come nell'agosto 1968, i carri armati sovietici inviati dagli organizzatori del putsch anti-Gorbaciov interruppero il suo tentativo di realizzare a Mosca lo scenario della Primavera di Praga vent'anni dopo. E nel dicembre dello stesso anno, un'altra cospirazione politica - un complotto inscenato dai suoi rivali politici, i leader di Russia, Bielorussia e Ucraina - annunciò lo scioglimento dell'Unione Sovietica e costrinse Gorbaciov a dimettersi dalla sua posizione di presidente.

Lo stesso Gorbaciov considera la dissoluzione dell'Unione Sovietica uno dei più importanti fallimenti della sua azione. Credeva che uno Stato federale che unisse nazioni storicamente e culturalmente vicine e interdipendenti potesse essere mantenuto sotto forma di un'unione democratica volontaria che sarebbe stata ispirata dall'esempio dell'Unione Europea.

Era anche convinto che l'esistenza di una tale sorta di alleanza geostrategica di nazioni che occupasse la vasta area che va dal Mar Baltico e il Mar Nero e raggiungendo il Pacifico in Estremo Oriente potesse servire come fattore di stabilizzazione del caotico panorama internazionale emerso dopo la fine della Guerra Fredda e che si basava non sui principi del "Nuovo pensiero politico" ma sul "Diritto al potere" ed era soggetto alla violenza delle forze estremiste.

Purtroppo, dopo le dimissioni di Gorbaciov, Russia e Occidente non hanno trovato un’uscita comune dalla Guerra Fredda e l'hanno conclusa non come partners ma come rivali. Invece di diventare parte della comune "casa europea" progettata da Gorbaciov, la Russia post-sovietica è stata spinta alla periferia della politica mondiale e osserva con crescente risentimento la competizione tra i principali attori mondiali per la spartizione della successione dell'Unione Sovietica.

Anche la politica occidentale è obbligata, però, a pagare un prezzo alto per la perdita della "possibilità di Gorbaciov". Il fatto che in Occidente la fine pacifica della Guerra Fredda - resa possibile dall'audace azione di Gorbaciov - sia vista come la storica capitolazione dell'Unione Sovietica, contribuisce ai sentimenti di umiliazione nazionale all'interno della società russa e alimenta tendenze anti-occidentali e nazionaliste nella sua politica estera e il desiderio di una rivincita storica.

Eppure anche l'attuale immagine incerta e preoccupante della scena mondiale non deve essere considerata come motivo di pessimismo. La “Fine della Storia” annunciata da Fukuyama non è avvenuta e il trionfo mondiale del modello occidentale di liberalismo sembra illusorio quanto la Terra promessa dell'utopia comunista.

Nel frattempo, il sogno di Gorbaciov di un mondo libero dalle armi nucleari sta guadagnando nuovi sostenitori. Questa prospettiva è stata recentemente condivisa da Papa Francesco, mentre il testo della dichiarazione che vieta le armi nucleari è stato adottato dalla grande maggioranza dei membri dell'Onu durante l'Assemblea Generale. Quindi forse anche in occasione del suo 90° compleanno, il 2 marzo di quest'anno, è troppo presto per stilare il bilancio consuntivo del “tempo di Gorbaciov”.

(Traduzione di Andrea Gardini).