Col sionismo nasceva l’idea della riunificazione degli ebrei in Palestina con l’obiettivo di creare lì il loro Stato dopo secoli di persecuzioni e di diaspore, consentendo, a quanti volessero lasciare i loro Paesi natii, di potersi trasferire definitivamente in Israele. La reazione degli arabi che abitavano quei territori ha portato ad una continua lotta, a trattati di pace col mondo occidentale raramente rispettati da ambo le parti e a continue tensioni che sono sfociate anche in vistosi atti terroristici.

Il mondo è stato sempre diviso sul riconoscimento dello Stato d’Israele sin dalla sua nascita, ma altrettante lotte ci sono state nel sostenere la nascita e il riconoscimento dello Stato di Palestina.

La reazione più determinata, al mancato riconoscimento dello Stato d’Israele, è stata sempre quella dei Paesi arabi, con qualche rara eccezione.

Le lotte nell’ambito musulmano derivavano principalmente dalle differenti interpretazioni delle leggi coraniche, talvolta fortemente estremizzate, che hanno evidenziato un Islam non sempre apparentemente foriero di pace e con una parte dei musulmani che inneggiava Allah anche a seguito di atti terroristici e di grandi massacri perpetrati da estremisti islamici.

L’attuale mondo arabo ha circa l’80% della popolazione sunnita, circa il 15% sciita e il restante circa 5% di Sufi e appartenenti ad altre religioni. Una popolazione in costanti forti ostilità tra loro apparentemente per motivi religiosi, ma in realtà spesso per puri motivi economici e di potere.

Il popolo arabo, quasi unanimemente, a parte qualche eccezione, ha contestato e contrastato il riconoscimento dello Stato d’Israele, sostenendo invece la legittimazione del nuovo Stato di Palestina.
La nascita dello Stato d’Israele è stata vista come un’invasione del popolo ebraico nel territorio della Palestina, in quel territorio che in realtà era di originaria appartenenza di Giordania, Siria, Libano ed Egitto e che, senza una precisa perimetrazione, veniva chiamato “Palestina” e che nel corso di alcuni millenni aveva ospitato ebrei prima e musulmani dopo, pur sempre con una minore presenza ebraica.

Non entrando nel merito di tali specifici fatti che, ancorché ben noti, richiederebbero in realtà delle ampie descrizioni, spiegazioni e citazione di documenti storici per potere il lettore formulare un proprio giudizio, in questa breve nota mi limito ad esporre alcune brevi considerazioni partendo dal fatto che tali tensioni esistono e che sul consenso e dissenso verso le azioni attuate da Israele e Palestina si costruiscono oggi giustificazioni diverse da parte dei diversi Paesi sostenitori della legittimazione dell’uno o dell’altro stato. Da considerare poi che tali adesioni, in particolare quelle dei Paesi arabi, hanno fatto nascere veri raggruppamenti di popoli che a loro volta si legano poi alle grandi forze mondiali (Stati Uniti d’America, Russia, Cina), e non certamente per motivi religiosi.

Il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte del mondo arabo potrebbe rappresentare un primo importante passo anche per il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese.

Sarebbe comunque utopistico pensare che da tali azioni si possa arrivare a una rapida pace duratura tra Israele e Palestina mentre, realisticamente, verrebbero soprattutto eliminate le principali apparenti motivazioni ufficiali delle tensioni e delle lotte esistenti tra loro.

Gli “Accordi di Abramo”

Un significativo passo storico verso l’auspicata pace in Medio Oriente è rappresentato dalla firma degli “Accordi di Abramo”, tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), del 15 settembre 2020, non osteggiata dall’Arabia Saudita, a cui si è subito aggiunto il Bahrein, caldeggiata dagli USA. Con questi accordi, richiamando le tre religioni monoteiste, è stato sottoscritto un impegno a “perseguire una visione di pace, sicurezza e prosperità nel Medio Oriente” e il contestuale riconoscimento dello Stato d’Israele da parte dei due Paesi arabi, col consequenziale rafforzamento delle attività commerciali per i tre Paesi.

Come ben noto, questa azione, velocemente attuata, ha messo ben in evidenza l’esistente continua tensione tra il blocco sunnita, rappresentato principalmente dall’Arabia Saudita, e quello sciita, rappresentato principalmente dall’Iran. Infatti, la sottoscrizione dell’accordo da parte di alcuni Paesi del blocco sunnita, che sono oggi capeggiati dall’Arabia Saudita, lega questi ultimi maggiormente alla politica mondiale occidentale, restando dall’altra parte i Paesi prevalentemente sciiti, a partire dalla Siria, e per le stesse divisioni di religioni lo Yemen, le cui fazioni sciite sono in continua lotta interna con le fazioni sunnite che sono sostenute dall’Arabia Saudita.

Ancorché del blocco sunnita fanno parte anche i wahhabiti, che interpretano in maniera ristretta e intransigente il monoteismo islamico e dalla cui ideologia wahhabita sono nati movimenti prettamente terroristici come al-Qaeda e l’Isis, bisogna riconoscere che l’Arabia Saudita ha però fortemente contrastato questi movimenti dichiarando più volte pubblicamente di non sostenere alcun gruppo terrorista.

A rafforzare la posizione sunnita con l’occidente è stata la successiva e quasi immediata sottoscrizione degli “Accordi di Abramo” da parte del Sudan e del Marocco. Il Sudan fino al 23 ottobre 2020, data in cui è stato annunciato un accordo per normalizzare i rapporti, era con Israele di aperta ostilità. Il Marocco è stato il quarto Paese musulmano che il 10 dicembre 2020 ha annunciato un accordo per normalizzare le relazioni con Israele. L’estensione per la sottoscrizione ufficiale degli accordi è in corso di esame da parte di altri Paesi musulmani che manifestano già alcune larvate forme di assenso.

La Tunisia e la sua tradizione ebraica

Il rifiuto, poco comprensibile, del riconoscimento dello Stato d’Israele da parte della Tunisia potrebbe fuorviare sui reali rapporti esistenti da secoli tra Tunisia e mondo ebraico e che non sono stati ad oggi particolarmente influenzati dalle lotte interne all’Islam tra sunniti e sciiti.

La dispersione del popolo ebraico nel Mediterraneo ha lasciato profonde tracce nel Maghreb Arabo e in particolare in Tunisia, Algeria e Marocco. Nei rapporti tra questi Paesi e il mondo ebraico emerge oggi in modo particolare la Tunisia, il Paese maghrebino dove esiste la massima libertà religiosa, dove convivono appartenenti alle diverse religioni, dove, in più governi, c’è stata la partecipazione di alcuni ministri di religione ebraica, dove un cattolico può liberamente partecipare alla Santa Messa, dove esiste l’Arcidiocesi di Tunisi che solo pochi anni fa ha espresso una delle massime cariche del mondo cattolico: il Patriarca di Gerusalemme. Infatti, il 21 giugno 2008 S.E. Mons. Fouad Twal, Arcivescovo di Tunisi, venne elevato Patriarca dal Papa Benedetto XVI. Oggi è in pensione per raggiunti limiti di età.

Una prima antica testimonianza ebraica la ritroviamo nella Sinagoga El Ghriba, costruita nell'antico villaggio ebraico di Hara Seghira (oggi Er-Riadh) nell’isola di Djerba e le cui origini si fanno risalire al 586 avanti Cristo, quando, dopo la distruzione del primo Tempio di Salomone da parte di Nabucodonosor II, diversi membri della classe sacerdotale ebraica (i Kohanim) si sarebbero rifugiati in Tunisia. Si dice che costruirono la prima Sinagoga in Tunisia utilizzando, con significato sicuramente simbolico, anche alcune pietre e una porta che portarono con sé dai resti del Tempio di Salomone che era stato distrutto. Questa Sinagoga è la più antica del Nord Africa e una delle più antiche del mondo.

Il legame tra il popolo tunisino e quello ebraico è così forte che un’antica leggenda racconta di una bellissima ragazza ebrea che era andata ad abitare e viveva in una capanna in totale isolamento nel luogo ove sorge l’attuale Sinagoga. Durante un temporale un fulmine colpì la capanna e la bruciò. Il corpo della giovane rimase però intatto col suo viso sereno e splendido e per tale motivo la ragazza, ritenuta santa, venne chiamata la Griba, che dall’arabo “El Grib” significa “la straniera. In quel luogo venne successivamente edificato l’edificio sacro.

La Sinagoga nel corso dei secoli è stata oggetto di forti interventi distruttivi e in buona parte è stata ricostruita, ma all’interno si nota che manca una colonna lasciando così il Tempio volutamente incompiuto ad indicare che la perfezione non sta in questo mondo. La costruzione incompleta di templi, che ricordano l’antico Tempio di Salomone, viene presa ad esempio anche per la realizzazione di templi utilizzati per i rituali di altre istituzioni non religiose.

La Sinagoga, dove è anche conservata una delle copie più antiche esistenti al mondo della Torah, nel 2012 fu oggetto di un attentato terroristico, rivendicato da Al Qaeda, che causò 19 vittime, molte delle quali di nazionalità tedesca. Nei giorni successivi, in occasione della Pasqua ebraica (Pessah), arrivarono ugualmente alcune migliaia di pellegrini ebrei da tutte le parti del mondo che, come sempre, furono accolti con grande senso di ospitalità e calore umano dai tunisini.

La reciproca convivenza in Tunisia tra ebrei e musulmani dura da lungo tempo. Gli ebrei parteciparono per secoli alla crescita economica del Paese che li ospitava, ma dopo un lungo periodo di pace iniziarono le persecuzioni nei loro confronti. La loro presenza in Tunisia non venne comunque mai totalmente annullata.

Una data sicuramente importante per il mondo ebraico è il 31 marzo 1492 quando venne emanato, dai re cattolici di Spagna, Isabella di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona, il famoso decreto dell'Alhambra con il quale gli ebrei vennero espulsi dalla Spagna. Gli ebrei spagnoli assieme a quelli siciliani, parimenti espulsi, si rifugiarono in parte nei Paesi del Maghreb Arabo, contribuendo alla loro crescita economica e culturale. Nei loro confronti si alternarono periodi di accoglienza, di tolleranza e d’intolleranza. In Tunisia gli ebrei sono stati sempre ben accettati e con essi i tunisini hanno creato anche importanti attività economiche.

Con l’assegnazione delle aree per la creazione dello Stato d’Israele nel 1948 si sollevò una reazione generalizzata antiebraica nel mondo arabo. Nonostante ciò nel 1950 gli ebrei tunisini sostennero il movimento per l'indipendenza della Tunisia, guidata da Habib Bourghiba, che sarebbe diventato poi il primo presidente della Tunisia indipendente e in quell’occasione il presidente nominò molti ebrei a posizioni importanti garantendo loro i diritti religiosi e civili.

Gli ebrei iniziarono a lasciare la Tunisia dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 per le forti tensioni che sorsero tra ebrei e musulmani. La popolazione ebraica della Tunisia, stimata di circa 100.000 persone nel 1948, nel 2003 era ridotta a circa 1.500 persone e oggi sono forse meno di mille. Gli ebrei rimasti in Tunisia vivono principalmente a Tunisi, con comunità anche a Gerba, Sfax, Sousse e Nabeul. Molti di loro si sono trasferititi a Parigi.

Ancora oggi in Tunisia abitano ebrei che svolgono il loro lavoro pienamente accettati dal popolo musulmano.

L’anomala mancata adesione della Tunisia agli “Accordi di Abramo”

Le trattative tra Israele e Arabia Saudita sembrano progredire velocemente. Il punto di mediazione ufficiale è sempre il riconoscimento dello Stato Palestinese che, a dire dell’Arabia Saudita, dovrebbe essere circoscritto nelle aree di cui erano in possesso prima della Guerra dei Sei Giorni del 1967. Sembra evidente che tale accordo sarà quasi impossibile che possa essere totalmente accettato, per quanto riferirò di seguito, ma sicuramente aprirà la strada per una corretta mediazione che potrebbe essere riconosciuta sia dai due Paesi, che a livello internazionale.

Nel citato fatto storico, l’Arabia Saudita, che è in costante competizione con l'Iran sciita, con la sua probabile adesione rafforzerebbe la sua leadership nel mondo musulmano e in particolare in quello sunnita, assumendo così maggiore consistenza il peso delle sue decisioni.

Un altro importante passo verso la distensione è stato dato dall’adesione del Marocco agli “Accordi di Abramo”, diventando così, anche il Marocco, parte dall’alleanza filo-USA che ha già cominciato ad aprire nuovi importanti scenari internazionali col coinvolgimento di una grande parte del mondo arabo.

Alla luce di quanto sopra illustrato, l’intervento del primo ministro della Tunisia, Hichem Mechichi, non è sembrato ottimale, quando nel dicembre scorso, alla vigilia della ratifica a Rabat dell’accordo Israele-Marocco, ha apertamente dichiarato che la Tunisia non aveva nei propri programmi una simile alleanza.

Ciò significa che l’attuale governo tunisino resta arroccato sul totale rifiuto di qualsiasi rapporto con Israele, anche se a mio modesto avviso, ciò non rappresenta il desiderato attuale della maggioranza del popolo tunisino che, come riportato in vari organi di stampa, sembra invece aperto a rafforzare i rapporti già di fatto esistenti col mondo ebraico, della cui cultura sono oggi presenti in Tunisia dei segni tangibili. Poiché la rinuncia del riconoscimento dello Stato d’Israele sembra essere fondata essenzialmente sul rapporto che lega i tunisini al popolo palestinese, è normale chiedersi se ciò “porterà acqua al mulino” della causa palestinese.

Sembrerebbe proprio il contrario, poiché la mancata adesione della Tunisia agli “Accordi di Abramo” potrebbe avere come conseguenza la mancata partecipazione agli accordi internazionali per l’avvio di un processo di pace tra Israele e Palestina. Perfino il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha affermato un principio di alto significato nell’intervista rilasciata a J. Goldberg riportata su The Atlantic del 2 aprile 2018. Alla domanda: “Credi che il popolo ebraico abbia diritto a uno stato-nazione almeno in una parte della sua patria ancestrale?” La risposta del principe è stata: “Credo che ogni popolo, ovunque, abbia il diritto di vivere nella propria nazione pacifica. Credo che i palestinesi e gli israeliani abbiano il diritto di avere la propria terra. Ma dobbiamo avere un accordo di pace per assicurare la stabilità a tutti e per avere rapporti normali”.

Una saggia dichiarazione che ha sbalordito e spiazzato il mondo intero e non solo quello arabo.

Aziende israeliane oggi convivono accanto ad attività gestite da palestinesi. Realisticamente occorre però affermare che difficilmente oggi si potrà ipotizzare una separazione netta dei territori dei due Stati, poiché il territorio è occupato dalle due popolazioni non in maniera omogenea, ma a zone alterne, ritrovandosi nuclei palestinesi all’interno di aree israeliane e viceversa. Occorre, pertanto, una oculata valutazione che abbia non solo il consenso internazionale e della maggioranza del mondo arabo, ma soprattutto il consenso per vero convincimento delle due popolazioni interessate, e perché ciò avvenga non dovrà esserci alcuna mortificazione per il popolo palestinese.

Poiché tali azioni del riconoscimento dello Stato d’Israele non sono certamente ispirate solo da aspetti umanitari, è importante valutarne anche le conseguenze a livello sociale ed economico che ne sono derivate e ne continueranno a derivare per gli Stati che a tali accordi hanno aderito e per quelli che sono in procinto di aderire.

Basti evidenziare che a seguito della sottoscrizione degli “Accordi di Abramo” con gli USA si sono attivati: per gli Emirati Arabi Uniti l’annunciata istituzione del Fondo Abraham, per iniziative di investimento e sviluppo nel settore privato per promuovere la cooperazione economica regionale e la prosperità in Medio Oriente; per il Bahrein investimenti nel turismo; per il Marocco il riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale e per il Sudan investimenti israeliani nel settore agricolo e tecnologico.

La Tunisia, col riconoscimento ufficiale di Israele, potrebbe guadagnare in termini di fiducia internazionale e ottenere sicuri ritorni economici e sociali, pur sostenendo la causa palestinese che dovrà comunque essere valutata in maniera realistica, senza fantasticare su modelli di accordi utopistici, in considerazione anche della frammentazione attuale dell’originario territorio con la coesistenza in varie parti del territorio di israeliani e palestinesi.

A proposito del rapporto tra Tunisia e Israele, per il quale sono orgoglioso di avere promosso diversi importanti incontri, ricordo con piacere l’interessante conferenza, alla quale ho attivamente contribuito, tenutasi a Taormina il 20 febbraio 2016, organizzata dal Lions Club Taormina sul tema Mediterraneo mare di pace. Utopia o futuro possibile?

In quell’occasione due illustri personalità si confrontarono su argomenti che trattavano proprio la potenziale distensione tra Israele e Palestina. I due relatori principali sono stati: Mr. Ben Souissi Farhat, nella sua qualità di Console Generale della Tunisia a Palermo e più volte autorevole componente del Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri del Governo tunisino e il Prof. David Cassuto, già Vice Sindaco di Gerusalemme, Rettore della facoltà di Architettura dell'Università di Ariel, presidente e fondatore del Museo italo-ebraico di Gerusalemme, nonché benemerito della Città di Gerusalemme (la maggiore onorificenza che concede la città). Dopo un tracciato storico-sociale e dopo che Cassuto ha manifestato la grande disponibilità di Israele a collaborare col popolo palestinese e a fornire quanto necessario perché anche la Palestina possa fruire dei benefici delle alte tecnologie israeliane nei settori dell’agricoltura, della medicina, ecc., entrambi hanno concordemente affermato di credere nella reale possibilità della pace tra i due popoli di Israele e Palestina e di riportare i risultati dell’incontro ai rispettivi governi. Cosa che è stata puntualmente fatta.

La Tunisia, che per decenni ha rappresentato un vero anello di congiunzione tra l’occidente e il mondo arabo, non può oggi perdere questa occasione. A mio avvio dovrebbe essere parte attiva nel contributo alla legittimazione dello Stato di Israele, perché la Tunisia è un Paese musulmano moderato, con una popolazione non belligerante, amante della pace e rispettosa dei diritti umani e una sua mancata partecipazione a questo particolare evento storico non produrrebbe effetti positivi per il popolo palestinese, senza alcuna valida giustificazione.