L’UNFCCC agenzia per il clima dell’ONU ha presentato i dati sui Nationally Determined Contributions, presentati dai 191 Paesi che hanno firmato l’accordo di Parigi e dall’analisi recente sembra che sì, una riduzione di emissioni di gas serra ci sia, ma non sufficiente a raggiungere nemmeno lontanamente gli obiettivi prefissati.

Anzi l’analisi evidenzia l’urgenza di correre ai rimedi in particolare per 113 Paesi su 199 che ancora oggi emettono il 49% delle emissioni globali. E tra queste vi sono varie regioni europee e anche gli Stati Uniti.

Se ne è parlato al Forum delle maggiori economie su energia e clima che si è tenuto a settembre, indetto dallo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Per l’Italia era presente il premier Draghi.

Il Rapporto dell’UNFCCC ha fatto emergere dati preoccupanti: se la situazione rimane invariata le emissioni globali medie nel 2030 invece di diminuire, aumenteranno di circa il 16%. Lo ha sottolineato Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, se l’intervento dei 191 Paesi non sarà congiunto ed immediato, si prospetta un aumento della temperatura di circa 2,7 °C entro la fine di questo secolo. Le concentrazioni di gas serra sono a livelli record e il mondo è decisamente fuori rotta rispetto agli obiettivi di Parigi.

Insomma, un obiettivo forse troppo rigoroso che sembrava potessimo raggiungere grazie ai due anni di fermo economico causato dal Covid, ma che invece si ripropone come tema scottante. Ma facciamo chiarezza sull’Accordo di Parigi.

Accordo di Parigi, la sua storia

Ci sono voluti dieci anni per concretizzare questo accordo. È stato stipulato il 12 dicembre del 2015, alla Conferenza di Parigi sul clima (COP21) dagli stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). È un accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, inizialmente siglato da 175 Paesi oggi divenuti 199.

L’obiettivo dell’Accordo di Parigi è quello di rinforzare la risposta globale alla minaccia posta proprio dai cambiamenti climatici, nell’ambito dello sviluppo sostenibile e degli sforzi finalizzati a eliminare la povertà nel mondo.

Dalla data di stipula, l’Accordo è entrato in vigore il 4 novembre del 2016. A firmare questa intesa dapprima furono 175 Paesi tra cui ricordiamo la Russia, la Cina, la Corea del Nord e Corea del Sud, il Giappone, l’Italia, la Francia, la Spagna, la Germania, il Regno Unito ... oggi si sono aggiunti piano piano altri Paesi fino ad arrivare a 199 come, ad esempio, il Nicaragua e la Siria.

Non si può nemmeno dimenticare la vicenda che riguarda gli Stati Uniti d’America che, dapprima partecipa all’intesa ma poi, sotto la presidenza Trump, rinunciano considerando il progetto inutile all’economia mondiale. Era il 2020. Dopo l’elezione Biden è immediatamente rientrato a far parte dell’Accordo, il 19 febbraio del 2021.

Ma quali sono gli obiettivi tanto difficili da raggiungere? Prima di tutto l’obiettivo è quello di contenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C, impegnandosi a limitarlo a 1,5 °C.

Gli obiettivi decisi durante il COP21 nel 2015 sono suddivisi per aree tematiche.

  • Mitigazione, ovvero riuscire a mantenere l’aumento medio della temperatura globale al di sotto del valore di 2°C. Mitigare il clima, non permettere alle emissioni di continuare ad essere causa del surriscaldamento globale.
  • Trasparenza ed esame della situazione a livello mondiale: i governi che hanno aderito al patto devono garantire massima trasparenza e riunirsi ogni 5 anni per analizzare i progressi collettivi.
  • Adeguamento ovvero preoccuparsi di fare tutto ciò che è possibile per raggiungere gli impegni assunti. Come? Favorendo sostegno ai Paese in via di sviluppo, sostenendo le società ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Limitare perdite e danni

Tutti gli enti, le regioni e le città sono invitati a:

  • intensificare gli sforzi e sostenere le iniziative finalizzate a ridurre le emissioni;
  • costruire resilienza e ridurre la vulnerabilità alle conseguenze negative dei cambiamenti climatici;
  • mantenere e promuovere la cooperazione a livello regionale e internazionale.

A tale scopo i Paesi dell’accordo si sono impegnati a mettere in gioco miliardi di euro entro il 2025.

Qual è la posizione dell’Italia?

Mario Draghi è intervenuto come rappresentante dell’Italia al Major Economies Forum on Energy and Climate, promosso dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden e ha espresso le proprie preoccupazioni all’unisono con gli altri capi di Stato:

Continuando con le attuali politiche raggiungeremo quasi 3 gradi di riscaldamento globale entro la fine del secolo, con conseguenze catastrofiche. È indispensabile rispettare gli impegni e definirne di più ambiziosi.

Nelle regioni italiane la situazione appare difficile come nella media europea: il Rapporto pubblicato da Italy for Climate (I4C) realizzato in collaborazione con Ispra, che valuta il rendimento delle regioni italiane rispetto agli obiettivi intermedi fissati a livello europeo al 2030 per la neutralità climatica, evidenzia che nessuna regione italiana potrà rispettare l’Agenda 2030 e nemmeno 2050.

Lo studio di I4C, partendo dagli ultimi dati disponibili del biennio 2017-2019, ha considerato come principali parametri per definire il percorso di ogni singola regione:

  • emissioni di gas serra
  • consumi di energia
  • uso di fonti rinnovabili.

Dati questi parametri emerge che metà delle regioni italiane non hanno diminuito le emissioni di gas serra, anzi 14 regioni hanno aumentato i propri consumi energetici. Sei regioni evidenziano buone prestazioni, sono Campania, Abruzzo, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria e Marche. La regione Liguria vanta un numero di auto circolanti minore rispetto alla media nazionale. Marche e Puglia vantano invece il maggiore numero di installazioni di fotovoltaico quasi il doppio della media nazionale.

Le più virtuose sono Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Basilicata, Calabria e Molise che hanno il 40% circa di consumi coperti da energie pulite. Situazione ancora molto difficile invece in Toscana, Umbria, Lombardia e Veneto dove i consumi energetici sono i più alti rilevati.

Guterres ha fatto dichiarazioni importanti che si sono lette in ogni giornale:

L’aumento delle temperature globali sta già alimentando devastanti eventi meteorologici estremi in tutto il mondo, con impatti crescenti su economie e società. Ha detto il capo delle Nazioni Unite: abbiamo cinque volte il numero di disastri meteorologici registrati rispetto al 1970 e sono sette volte più costosi. Anche i Paesi più sviluppati sono diventati vulnerabili. Rispetto al futuro la temperatura media globale degli ultimi cinque anni è stata tra le più alte mai registrate, e c’è una crescente probabilità che aumenti ancora superando temporaneamente nei prossimi cinque anni la soglia di 1,5 °C rispetto all’era preindustriale. Si segnala inoltre che il livello del mare sta continuando a salire (è aumentato di 20 cm dal 1900 al 2018) minacciando le isole basse e le popolazioni costiere di tutto il mondo. La COP26 di novembre deve segnare questo punto di svolta. Per allora abbiamo bisogno che tutti i Paesi si impegnino a raggiungere emissioni nette zero entro la metà di questo secolo e a presentare strategie a lungo termine chiare e credibili.

Non ci dispiace avere stagioni più calde e non riusciamo a percepire l’avvicinarsi del cambiamento se non lo proviamo davvero. Il mare diventa molto più caldo, cambiano fauna e flora marina. Aumenta il livello delle acque, il clima si capovolge e i disastri ambientali sono frequenti… incendi, inondazioni… stagioni torride che bruciano intere piantagioni, gelate che distruggono il raccolto, fa tutto parte del nostro nuovo Pianeta e noi lo viviamo bene così…perché purtroppo il 2300, anno della catastrofe secondo gli scienziati, è una data troppo lontana per toccarci nel vivo.

L’Uomo non è così lungimirante da preoccuparsi di ciò che sarà così oltre il proprio domani.

Sinceramente non mi aspetto che Governi, Greta Thunberg e tutti gli attivisti del mondo possano risolvere il problema… ciò che davvero mi auguro è che le nuove generazioni, che sono i futuri adulti e genitori, bombardate di informazioni nuove e diverse, si abituino all’amore e al rispetto. Perché in fondo basta solo questo per garantire un approccio differente nel nostro futuro prossimo: provare a vivere il nostro ambiente con amore e rispetto.