Ci sono vite che mi incantano. La mia ammirazione si dilata e in un'aria diversa raggiunge le differenti regioni e ora vede, sente e ascolta la potenza dell'incontro con "gli invisibili" di questa terra.

Credo che a tutte e tutti noi sia capitato un evento che ha mutato le nostre vite. A volte può essere uno spiraglio di luce che illumina luoghi di profonda disperazione. La mente e i sensi, che fino all'ultimo secondo li hanno annullati, improvvisamente vedono dove si trova la residenza del dolore e lì vanno. O lì per caso si trovano e lì si fermano. Ci sono persone che compiono un movimento interiore che dà una svolta alle loro azioni. Entrano in azione e tutta la loro vita muta nell'impresa grande del dono di se stessi. Hanno compreso che non c'è differenza tra sciagure lontane e sciagure vicine. Nell'inferno delle sciagure umane esiste una linea d'ombra che ci rassicura perché sembra accadano solo lontano da noi.

È una questione prospettica che coinvolge i sentimenti. Dimentichiamo che viviamo in uno stesso spazio e condividiamo un unico destino. Nietzsche suggerisce che "dobbiamo amare non tanto i prossimi, troppo simili a noi, bensì i lontani: soprattutto i lontani nel tempo, le generazioni future". Come a un crocevia, le persone che rivolgono la loro vita ad altre vite, scelgono la strada che conduce a una storia che non esclude nessuno. I loro occhi e le loro mani strappano i veli da tutte le cose. È quello sguardo disposto al bene che vede nell'altro o nell'altra un essere simile a loro al quale donare dignità.

Ho la fortuna di conoscere diverse amiche, amici - e anche mia figlia Marcella- che hanno compiuto, nella loro vita, una profonda virata verso le regioni dell'anima. La loro virata si distende verso una lunga, interminabile interrogazione alla quale tentano di dare risposta con la forza disarmante della passione. L'azione che mettono in campo è un richiamo costante nei confronti di tutti i segni, le tracce, le voci che sono dimenticate, disattese abbandonate, ferite. Tra queste c'è l'amica Gabriella Fresa che è qui, in studio, seduta vicino a me. È lei che un giorno decise di accompagnare sua figlia Lucia in India. ...

Gabriella
Nell'ottobre del 1990 mi sono trovata a volare verso Mumbay per accompagnare mia figlia Lucia in un viaggio in India perché lo ritenevo pericoloso per lei. Non avevo nessuna conoscenza reale del paese se non per racconti di amici e scarse letture. Durante il viaggio, così, ho iniziato a leggere La città della gioia di Dominique Lapierre che ho poi conosciuto e invitato qui a Ravenna per tenere una conferenza sulle sue esperienze. Nel libro ho trovato una realtà per me in quel momento inimmaginabile per disperazione, miseria, malattie. Nel tragitto dall'aeroporto all'ospedale dove pensavo di fermarmi per una sola notte in attesa di decidere l'itinerario del viaggio, sono rimasta profondamente turbata nel vedere tante persone, intere famiglie, che dormivano in strada: la loro casa. Ho iniziato così a condividere la realtà appena letta nel libro. Molte persone dormivano sul guard-rail perché, come mi hanno poi detto i drivers, avevano paura dei topi che lì non arrivavano per il rumore del traffico. Tra me e Lucia silenzio totale. Arrivate all'ospedale verso le due di notte siamo salite nella nostra stanza, mi sono presa la testa tra le mani, e mi sono detta, "Cosa ho mai fatto per venire qua?" Lucia dormiva, io no.

Il giorno dopo abbiamo visitato l'ospedale gestito da una donna straordinaria, missionaria in India da 44 anni, Suor Bertilla Capra di Bergamo, che conoscevo per un rapporto di adozioni a distanza. La vista dei lebbrosi è stato un contraccolpo devastante. Per 15 giorni non ho parlato. Esternamente silenzio, nella mente e nel cuore tumulti. Dopo un breve viaggio sono ritornata all'ospedale per rimanere lì e capire cosa era successo dentro di me. E ho capito che a quel contraccolpo dovevo dare una risposta. Dovevo agire, semplicemente. Il Vimala Hospital è un luogo di dolore, di miseria, di orrore che però come per miracolo ha dato una svolta alla mia vita. E come e cosa fare? Intanto con il racconto e con il passaparola da un bimbo di nome Ganesc, raccolto in una colonia di lebbrosi dalla mia cara amica Annabella, si è creata una catena tale che in pochi anni i bimbi recuperati sono diventati mille.

Questo progetto di sostegno a distanza ha un significato ben preciso: garantire ai bambini e alle bambine cibo, salute, istruzione. Tutti quanti sono figli di lebbrosi anche se il governo indiano ha dichiarato nel 2000 che la lebbra era stata debellata. Le nostre suore dell'Immacolata fanno sondaggi nelle periferie, nelle scuole, negli asili e scoprono ancora numerosi casi di lebbra, che se presa in tempo viene curata senza lasciare quei terribili segni. Ogni anno in ottobre torno e il lavoro principale mio e delle amiche Annabella e Mimmi è quello di incontrare i nostri bambini per lodarli se hanno avuto buoni risultati negli studi e spronarli se hanno dimostrato qualche lacuna. Naturalmente non mancano le occasioni per intervenire sulla loro salute e sui problemi famigliari.

È un motivo di orgoglio per noi Amici Missionari dell'Immacolata (onlus) raccontare la storia di tre sorelline, Shaila, Sandhya e Vidia accolte al lebbrosario in un'ala dell'ospedale attrezzata per accogliere figlie di lebbrosi o lebbrose esse stesse per curarle e inviarle alla scuola di inglese e marathi. Per queste bimbe non esisteva futuro; oggi Shaila è laureata in Scienze politiche e ha un ottimo impiego. Sandhya è laureata in Economia e commercio e sta frequentando un master di specializzazione. Vidia frequenta il secondo anno di Ingegneria. In questi casi abbiamo dato valore ai loro talenti e naturalmente siamo aiutate da gruppi di persone in tutta Italia. Ti potrei citare tanti altri casi dove l'elemento comune è l'istruzione. Mandela ha scritto che l'istruzione è l'arma più importante per distruggere la povertà e la miseria.

Nel gruppo di sostegno a distanza non facciamo distinzione tra bambine e bambini ma la nostra attenzione va in particolare a quelle bimbe che, se non avessero avuto l'opportunità di entrare a fare parte del Vimala boarding, sarebbero finite spose all'età di undici, dodici anni. Ti racconto un caso personale di un padre che voleva far interrompere gli studi a sua figlia di tredici anni per darla in sposa. Io mi sono messa in ginocchio davanti a questo uomo, disperata, garantendogli che fino alla fine degli studi la sua piccola Ambika non gli sarebbe costata una rupia. Oggi Ambika ha venti anni, è infermiera, è autonoma e non ha nessuna voglia di sposarsi. Tutte le nostre ragazze, quando finiscono gli studi, ricevono una dote affinché vengano accettate con rispetto dalla famiglia del futuro marito.

Nella nostra esperienza abbiamo notato che è cambiato il rapporto uomo/donna e abbiamo potuto partecipare ai love-mariage. Cosa da non poco. Vedi Mariella, quando la prima volta sono arrivata nell'Ospedale Vimala Dermatological Centre di Versova alla periferia di Mumbay, la mia reazione è stata di orrore, oggi quando sono in partenza per l'Italia gli abbracci sono concreti, affettuosi, commoventi. Sono gli ultimi della terra e noi sediamo alla loro mensa. All'interno dell'ospedale abbiamo creato un laboratorio di sartoria guidato da Abid - con la supervisione di suor Bertilla e di Liù, una mia grande collaboratrice ravennate - che confeziona Kurtè, abiti indiani che vanno così di moda in occidente. Abid è un ex lebbroso con grandi capacità sartoriali. Intorno a lui tanti altri lavorano a tempo pieno per realizzare le richieste dei visitatori del Vimala e confezionare capi che riempiono i nostri banchi di beneficenza.

Ma il nostro grande progetto sarebbe quello di togliere l'intera sartoria da sotto le ali protettrici di suor Bertilla e Amici e portarla fuori per farla diventare un'azienda gestita da loro stessi in piena autonomia. Madre Teresa di Calcutta, che ho incontrato nel 1997, diceva "Date a loro la canna per pescare ma non il pesce". La mia vita procede con differenze sconvolgenti tra pianti e grandi soddisfazioni. Mi è stata fatta una domanda: "Qual è la tua spinta, la filantropia, la carità, la pietà?". Non mi ritrovo in nessuna di queste tre belle parole: è solamente solidarietà. Siamo diventati grandi e spero di passare il testimone, ma so che non ce la farò.

26 febbraio 2014
Le grandi donne del presente e del passato hanno in comune la predisposizione all'umiltà. Ildegarda di Bingen, la Sapiente del Medioevo, ripete spesso di essere una persona senza cultura. Il racconto di Gabriella è un attraversamento fisico e mentale da un luogo a un altro, carico di umiltà. Inizia parlando di sé, di sua figlia Lucia, e di un'adozione a distanza. Entrano poi in campo Annabella, suor Bertilla e l'ospedale Vimala. Da un'aria di famiglia il racconto acquista piano piano toni epici. Dall'io si passa al noi, da un bimbo si passa a mille bambini. Il passaggio tra uno a mille -sempre di movimento si tratta - è sottolineato dal silenzio. Desidero qui riportare un passo della Risposta a Suor Filotea da parte di Suor Juana Inés de la Cruz: "...Non dice quel che vide, ma dice che non può dirlo; sicché di quelle cose che non è possibile dire, bisogna almeno dire che non è possibile dirle, affinché s'intenda che il tacere non significa non avere nulla da dire, ma non saper esprimere il molto che v'è da dire..."

Non svela, ma chi legge comprende che ha costruito e sta costruendo un impero di relazioni sempre più vasto e coinvolgente. Mi chiedo quali cime di rosso corallo ha raggiunto in quella regione che lei chiama solidarietà e che io vedo come disarmante richiamo che si contrappone allo sfondo opaco e immobile delle nostre vite.

Per maggiori informazioni:
amici.missionarie@mdiprov.it
www.amicidellemissionarie.it