"...la grossa fusta proveniva da nord e poco dopo fu riconoscibile il vessillo di Genova... portava di tutto ma sopratutto cibo e verdure fresche, dato che gli orti di Pisa non potevano bastare a sfamare tutta la popolazione. Cosa ci avete portato?
Non lo sappiamo, è un carico giunto con un veliero spagnolo, è cibo che viene dall'altro mondo, ma né a Cartagena né a Barcellona e alla fine, neppure a Genova, hanno voluto mangiarne.
E allora perché dovremmo prenderlo noi?
Perché siete sotto assedio e non vi conviene fare i difficili.
E come va cucinato questo cibo segreto, almeno fatecelo vedere?
Non lo so, ci hanno raccomandato di dirvi che va mangiata cotta e che è buona, ...dall'altra parte del mare sembra la chiamino batata".1

Questo accadeva in Pisa nell'anno 1503, mentre la repubblica marinara era sotto l'assedio fiorentino. Fu proprio in seguito a situazioni come questa, che il tubero del diavolo, quella testa di medusa dalla quale si dipartivano decine di serpenti, se lasciato per troppo tempo inutilizzato, entrò nell'alimentazione popolare. Solo la fame durante le carestie forzò la paura e la diffidenza verso questo strano alimento, poiché casi di ignoranza nei confronti del consumo della patata portarono molti a utilizzarne inizialmente bollite le foglie.

La solanina, alcaloide tossico presente in misura maggiore nelle parti verdi della pianta e non idrosolubile, quindi non allontanabile dopo bollitura, causò forti intossicazioni a volte fino a provocare la morte, tant'è che il tubero, non riscuotendo alcun interesse, veniva utilizzato solamente come cibo per i galeotti e per i soldati. Fu la grande carestia in Irlanda a promuoverne in un certo senso il suo diffondersi come cibo sicuro, nel 1663. Il farmacista e agronomo francese Antoine Augustin Parmentier, che ricopriva l’incarico di farmacista nell’esercito francese durante la guerra dei Sette anni (1756-1763), venne catturato dai Tedeschi, e durante la sua prigionia fu nutrito con le patate che i tedeschi conoscevano da tempo soprattutto negli strati sociali più bassi.

Parmentier fu sorpreso dal gusto del tubero e ne valutò le virtù nutrizionali, in più rimase colpito dalla potenzialità dell'utilizzo in situazioni di carestia poiché la patata poteva crescere benissimo ed essere molto produttiva, in terreni aridi e poco fertili. La grave carestia che aveva colpito la Francia nel 1785 offrì a Parmentier l’opportunità di riabilitare l'uso di questo malvisto alimento, tanto da riuscire a coinvolgere lo stesso re Luigi XVI, il quale fece emanare un editto sovrano in cui si ordinava agli aristocratici di costringere i loro coloni a coltivare patate. Inoltre Luigi XVI, decise di recintare un appezzamento di terra dove fece coltivare patate e lo munì di un servizio di soldati armati a difesa. Questa mossa strategica non fece altro che incuriosire la popolazione verso la nuova coltivazione e innescare un meccanismo di desiderio incontenibile a impossessarsi di qualche tubero: entro poco tempo, la patata era nel piatto di tutti.

Pensiamo al percorso che la batatas ha compiuto, dal Perù, Bolivia e Messico dove veniva coltivata fin dai tempi della civiltà azteca e incaica attraverso le resistenze di mezzo mondo, accusata di essere portatrice di lebbra, fino a oggi in cui è l'alimento più diffuso nelle cucine di ricchi, poveri, bambini, anziani, civilizzati e la si può sicuramente definire un alimento “democratico”. Attualmente la Cina è il principale produttore mondiale di patate, mentre Bangladesh, India e Iran sono oggi tra i maggiori consumatori al mondo. In base alle statistiche FAO, la patata è la principale coltivazione non cerealicola al mondo, con una produzione totale nel 2007 di 325 milioni di tonnellate, di cui più della metà realizzata in paesi in via di sviluppo.

Poiché si stima che la popolazione mondiale crescerà in media di oltre 100 milioni di persone all’anno per i prossimi due decenni, è basilare portare all’attenzione mondiale l’importanza della patata nel garantire la sicurezza alimentare e nell’alleviare la povertà.

Note:
(1) Il fiume si rise di Sergio Costanzo. Edizioni Linee infinite, 2012