Una ricetta non è mai tua completamente, semplicemente, si custodisce. E si tramanda…

Un castello, anzi due, una natura incontaminata, colori che vanno dai verdi intensi ai gialli, all’arancio, i viola, con il mutare delle stagioni i rossi delle viti abbracciate agli alberi, quasi un presagio del luogo, che custodisce struggenti segreti, la gente che ti guarda diritto negli occhi, la parlata che sembra una canzone, cantilenante, dolce; qui siamo a Montecchio Maggiore ai Castelli di Bellaguardia e della Villa, uno di fronte all’altro, si guardano, sereni, statici, chiusi nei loro segreti e nella loro storie cariche di mistero, di amori, di tormenti, conosciuti anche come i castelli di Giulietta e Romeo, sfortunati e appassionati amanti la cui leggenda fu narrata dal conte Luigi Da Porto e successivamente ripresa da William Shakespeare.

Acquistati nel 1742 dal Comune di Montecchio Maggiore dopo vari interventi di restauro oggi il castello di Giulietta è un ristorante con una splendida terrazza da cui si gode un panorama unico sulle verdi colline intorno e qui incontro Amedeo Sandri e Maurizio Falloppi, executive chef del ristorante il primo, sommelier professionista il secondo. Insieme, ormai da diversi anni, scrivono a quattro mani di cibo e di vino, ma non è solo letteratura la loro, ma ricerca, studio, andare su e giù per casolari e osterie, monti e colline, offrendo poi nei loro scritti una preziosa testimonianza: lo studio di ricette, dato che ambedue si sentono legati ai valori della tradizione del buon cibo e del buon bere del territorio veneto e vicentino, ricette antiche, sicuramente tramandate da qualcuno e, successivamente, interpretate e rivisitate. Questo per proseguire la mission che anima chi ama il buon cibo, raccontare come il fascino della cucina stia nella capacità di incontrare sensibilità nuove senza per questo stravolgere le basi storiche di prodotti e piatti del nostro Paese e la nostalgia dei ricordi legata al sapere, profumi e sapori. Per poter tornare bambini anche solo per un’ora.

“L’arte de mètere su el gato” noàltri visentini semo ciamà “magnagati”, ma la stragrande majoransa no la ga mai vudo el piassère de sajàre sto felino. El gato, se sa che d’inverno el zè pì grasso ch’in tute le altre stajòn de l’ano e lora se vòle che ‘sto chi sipia el momento pi propissio par mètarlo in tecia”. Me lo raccontano ridendo perché, a loro insaputa, in casolari sperduti su montagne lontane dalle città gli hanno fatto mangiare anche il gatto e, successivamente, glielo hanno “raccontato”, e loro lo trascrivono con la volontà di ricordare le tradizioni della loro gente, nella stessa tradizione che hanno gustato il Vezzena con la polenta abbrustolita, il macafame, la mosa, il conejo cò l’ajo, i brocoli fiolàri, il morlacco e tanti altri piatti, più o meno poveri, raccolti di casa in casa, di famiglia in famiglia, con ingenuità e arguzia paesana.

E Amedeo Sandri e Maurizio Falloppi, da studiosi e storici, hanno nel loro dna il concetto, che non sembri banale, che la cucina è una delle espressioni più profonde della cultura di un Paese: è il frutto della storia e della vita dei suoi abitanti, diversa da regione a regione, da città a città, da villaggio a villaggio. E Sandri nelle cucine del Castello di Giulietta, nel suo “regno”, dove aleggiano nell’aria e negli antichi muri parole appassionate, sussurri e lacrime di un amore impossibile ormai diventato eterno, racconta la sua cucina, antica e rivisitata, frutto di una raffinata cultura. Infatti, come sostiene, la cucina racconta chi siamo, riscopre le nostre radici, si evolve con noi, ci rappresenta al di là dei confini. È cultura attiva, frutto della tradizione, per questo, da salvaguardare e da tramandare con l'insieme di usi e costumi, di stili di vita, di consuetudini e di tradizioni degli uomini. E’ una forma di civiltà quella di riscoprire sapori perduti, per ritrovare l'insieme dei valori che anche attraverso la tavola un popolo si tramanda, rinnovandoli continuamente, e che ne costituiscono l'identità culturale. La musica, la cultura, l’arte, la cucina sono l’anima di un popolo…

Ricette antiche rivisitate tratte da Abbecedario di cucina veneta di Amedeo Sandri e Maurizio Falloppi

Asparagi e uova

Non bisogna dimenticare che da metà marzo fino a tutto maggio gli asparagi freschi assumono il ruolo di protagonisti della tavola. Lessarli all’impiedi con acqua salata che arrivi sotto le punte dei turioni, solo sotto forma di vapore, quindi stenderli ad asciugare per fare smaltire i bollenti spiriti su un telo di lino. Servirli ancora accaldati accompagnandoli con mezze uova bazzotte (rassodate per circa 6 minuti in modo che il tuorlo rimanga morbido e cremoso), olio extravergine d’oliva, ottimo aceto di vino bianco, sale e pepe di mulinello, lasciando a ciascun commensale il compito di formare sul piatto la propria salsa nella quale intingere gli asparagi lessati.
Vino consigliato: Durello Brut

Bigoli con trota, zucchine e menta

Per 4 persone
Ridurre a filetto con l’apposito apparecchio una bella zucchina e tagliare a rondelle sottili la parte bianca di un porro. Fare appassire le verdure in due cucchiaiate di olio e altrettante di brodo vegetale salando un poco e pepando. Tritare finemente due belle foglie di menta e mescolare al trito una cucchiaiata colma di pan biscotto grattugiato. Privare della pelle un filetto di trota salmonata del peso di 250 g. e tagliare la polpa a dadini grossi quanto fagioli. Passarli nel pangrattato aromatizzato alla menta, sistemarli su una teglia rivestita di carta da forno e passarli in forno già caldo a 190° per 5-6 minuti. Tuffare in acqua a bollore salata 400 g. di bigoli e farli saltare per pochi istanti assieme al composto di porro e zucchina cospargendoli con la dadolata croccante di polpa di trota alla menta.
Vino consigliato: Bianco di Costozza D.O.C.

Mele in crema

Pelare e tagliare a cuneetti grossi quanto fagioli 4 belle mele dell’alto vicentino. Metterle in una casseruola e irrorarle con mezzo bicchiere di vino dolce (Recioto, Torcolato, Vin Santo, ecc.) e altrettanto succo di mele biologico. Aromatizzare con la scorzetta gialla grattugiata di mezzo limone, una piccola stecca di cannella regina e il succo filtrato di un arancia. Far cuocere per pochi minuti, sin quando i dadini di mela risulteranno trasparenti all’interno del liquido. Aggiungere allora 4 cucchiaiate di uvetta sultanina ammollata con acqua tiepida e strizzata e una cucchiaiata di maizena (amido di mais) sciolta in mezzo bicchiere di latte di riso o di soja freddo. Mescolare in continuazione tenendo il composto sul fuoco per qualche minuto, cosicché tutto si amalgami: versare il ricavato in coppette e lasciarlo freddare completamente finché si sarà rappreso. Prima di portare in tavola coprire con una cucchiaiata di yogurt al naturale cospargendolo con una pioggerellina di zucchero di canna.
Vino consigliato: Durello passito.