Da tempi immemori l’uomo vive di emozioni, di paesaggi plasmati secondo definite sperimentazioni di sopravvivenza. Molti luoghi sono in grado di regalare emozioni, di creare sogni, di donare un “qualcosa”, una sorta di “non so che” percepibile al solo respiro dell’aria, come un’alchimia da cui spesso l’occhio sfugge nei momenti di distrazione. L’uomo spesso non si guarda attorno, la vista ruba immagini durante il percorso di vita, il cervello le metabolizza in maniera tanto veloce da immagazzinarle in qualche meandro nascosto, che viene solleticato solo alla riproposizione di altre simili. Questo scritto vuole metaforicamente rappresentare un viaggio, effettuato in una tiepida mattina di fine d’autunno, alle porte del Roero.

Le foglie ormai ingiallite pendevano dalle viti, le cesoie avevano già compiuto l’atto di recisione per mano dell’uomo.
Nell’aria un ribollire di odori, come un coro di mosti pronti ad essere ascoltati, sentiti. Montà d’Alba si presentava in lontananza, mai troppo cambiata, sempre uguale all’apparenza.
Il corso principale, con il “trifulè” dallo sguardo sempre rammaricato”, la “madamina che và a fè la speisa”, il solito chiacchiericcio di fronte al negozio di alimentari.
Le vigne facevano da contorno nei lunghi tornanti a salire verso frazioni ormai poco abitate. La strada era giusta, sebbene con qualche nuova rotonda.
Alto e fiero lo scudo color vinaccia ci avvisa dell'arrivo.
Impresso a grandi caratteri lucenti: Almondo Giovanni, viticoltore.
Da qui inizia il nostro viaggio, da un cognome molto diffuso nelle zone del Roero, da un nome che ricorda i padri dei nostri padri.
Ad accoglierci, Domenico, figlio di Giovanni, con lui per discutere di territorio, di terreno, dell’azienda e delle tematiche di sviluppo di un prodotto quale il Roero Arneis, problematiche legate alla concorrenza rispetto a vini quali nebbioli delle zone Barolo.
Il testi che seguiranno sono il frutto di ricerche, analisi, dibattiti e confronti effettuati in cantina, in sala degustazione e in vigna. Parole fatte di ricordi, sorrisi di un’infanzia tra i filari di vite e un presente che volge lo sguardo al futuro.
Questa è la storia di un uomo, che ha scelto di dedicare la propria vita alla terra, al mantenimento di un sapere antico quanto la storia dell’umanità, ponendo intermezzi di riflessione all’eterna sfida tra natura e cultura.
Questo qui riportato, non è solo un racconto di vita, ma una relazione in costante progresso tra ciò che è la realtà e l’influenza dei sogni su di questa.
Esistono sogni privi di concreta realtà, ma non esiste mondo reale senza sogni.
Se l’uomo perdesse la dimensione del sogno la realtà sarebbe priva di ogni logica emozionale, noiosa e carente di significato. Ma ora, meglio lasciare spazio a chi ha da raccontare vita vissuta.
Domenico Almondo, “Taca Banda”.
“Nel 1980 ho conseguito la laurea in scienze agrarie, dopo di che ho deciso di vinificare e mettere in bottiglia Arneis, Nebbiolo e Barbera. Le prime bottiglie risalgono agli anni Ottanta, prima facevamo del vino in proporzione ridotta di venti quintali all’anno. Era un prodotto principalmente indirizzato a parenti, in particolare alle zie che stavano a Torino, oppure ai vicini di casa che ne facevano richiesta. Si vendeva principalmente Barbera e Nebbiolo, visto il poco quantitativo di Arneis lavorato. Gli ettari dedicati alla coltura della vite erano, allora, circa due. Ho incominciato ad imbottigliare negli anni Ottanta con mille bottiglie di Nebbiolo e cinquecento bottiglie di Arneis.
Alcuni esperimenti erano già stati fatti nel Settantotto con il primissimo imbottigliamento, settecento bottiglie di Nebbiolo. Lo si faceva come Nebbiolo d’Alba, e anche con denominazione di Nebbiolo del Roero”.
Parole che donano la dimensione di un tempo passato.
Domenico deve le conoscenze agli studi effettuati e all’esperienza maturata attraverso il duro lavoro in cantina e in vigna, ma prima di tutto a suo padre Giovanni.
Giovanni Almondo, infatti, era proprietario di una piccola azienda agricola votata, oltre che alla viticoltura, alla coltivazione di alberi da frutta (pesche e mele), fragole e in piccola parte all’allevamento. Caratteristiche di coltivazione comuni a molti, in particolare nei piccoli paesi dove chi dalla terra doveva raccogliere frutti che spesso venivano pensati e trattati anche per essere messi nella dispensa invernale, costringendosi e alleandosi a una biodiversità necessaria.
Il vino si vendeva sfuso e in piccole quantità, quasi fosse un contorno dell'intera simbiosi tra terra e uomo.
Gli anni del dopoguerra sono segno tangibile di cambiamento sempre più veloce, una rincorsa al benessere.
Il vino incomincia a essere imbottigliato.
Per l'azienda agricola l'anno 1984 segna la svolta, ci si apre al mondo con l'inizio dell'esportazione negli Stati Uniti, poi in Svizzera e poi in Germania.
Oggi la produzione è di 90.000 bottiglie, di cui 55.000 di Arneis, 7.000 di Barbera, 20.000 di Nebbiolo, 5.000 di Brachetto e circa mille di Freisa.
L'acquisto di terreni permette l'incremento produttivo, mantenendo pressoché inalterato il lavoro in vigneto, poco utilizzo di chimica e un costante dialogo con la natura.
L’estensione dei terreni coltivati si attesta intorno ai quindici ettari, situati per intero nel territorio del comune di Montà d’Alba.
Ora siamo in cantina, mi viene versato da bere e la storia continua.
“La struttura della cantina risale al 1963, con costanti investimenti di ammodernamento.
In questa zona fino agli anni 70, praticamente nessuna cantina imbottigliava, le uve da Arneis venivano vendute principalmente a Giacosa, mentre Barbera e Nebbiolo a commercianti del posto.
Di vino si faceva Nebbiolo, imbottigliato giovane a sei mesi dalla vendemmia, Barbera una parte da tavola e altra imbottigliata.
Trent'anni fa la situazione del Roero era questa, a differenza delle zone del Barolo dove si imbottigliava già e si spediva nel mondo. Qui non è stato possibile, il mercato era rivolto principalmente al Torinese, essendo il primo paese arrivando da Torino, nessuno era così lungimirante da comportarsi come nelle zone di Barolo e Barbaresco.
Anche il profilo del miglioramento qualitativo era fortemente influenzato dal mercato, in negativo.
Fortunatamente questo è stato un trend che con gli anni è andato modificandosi, puntando alla qualità e al rispetto della natura.
Oggi l'azienda agricola Almondo è una sana realtà che promuove i vini del Roero come patrimonio esportato in tutto il mondo.

La nostra visita si conclude tra parole e ricordi di un tempo che vivrà sempre nella nostra memoria, limpido e lucente come una lacrima di Arneis.