Il Giappone, paese lontano da noi e ricco di fascino, è un’isola che ha subito mutazioni importanti nel corso del tempo senza mai dimenticare le radici di tradizioni e cultura. Tutte le volte che penso a questo paese mi vengono in mente soprattutto due aspetti fortemente legati al territorio e a una sorta di valorizzazione del “pudore” culturale: i manga e il Sake.

Il primo termine, se tradotto letteralmente, significa fumetto nel suo senso più generico - a differenza di quanto accade nel resto del mondo dove tale parola indica specificatamente una produzione con tratti ben riconoscibili -. Illustrazioni, immagini derisorie che in passato raccontavano in forma velata gli usi e i costumi del popolo del Sol levante, dove attraverso tratti d’inchiostro si dipingevano non solo i fogli narrativi di fantasia, ma anche il pensiero comune del popolo attraverso sottili critiche alle forme di potere esistenti. Il secondo termine, a me più caro, è inevitabilmente legato alla cultura del riso, sua materia prima d’origine, la cui coltivazione fu introdotta dalla Cina al Giappone nel III secolo a.C.

Per secoli il consumo di questo prodotto è stato circoscritto entro le mura imperiali e nella cerchia dei luoghi di culto, dove veniva utilizzato per riti propiziatori o religiosi, in particolare per le feste di celebrazione del passaggio delle stagioni. Solo con lo spostamento della corte giapponese nella città di Kyoto, nell’ottavo secolo, si ebbe una certa diffusione della bevanda presso i ceti commerciali e popolari. Fino a tempi relativamente recenti il Sake è stato consumato esclusivamente come prodotto sfuso, e risale al 1878, cioè a poco più di un secolo fa, il suo primo imbottigliamento. Il Sake ha quindi avuto un ruolo centrale nella vita e nella cultura Giapponese negli ultimi 2000 anni, con un’evoluzione di tecniche necessarie per la produzione che si sono diffuse in ogni angolo della nazione.

Il termine Sake in Giappone è termine vasto che indica ogni bevanda contenente alcol, il risultato della lavorazione del riso è invece definito Nihonshu. La lavorazione prevede la privazione della parte più esterna del chicco in modo da conservarne solo il nucleo - capace di dare maggiore aroma e gusto - quindi i chicchi vengono lavati, ammollati e cotti a vapore. Segue quindi un processo molto complesso di fermentazione, chiamata “fermentazione multipla parallela”, che può durare da due settimane sino a oltre un mese, a carico di lieviti e microorganismi chiamati Koji. Il contenuto alcolico si attesta tra i 13 e i 17 gradi etilici. La qualità di acqua e la tipologia di riso definiscono in maniera determinante le caratteristiche del prodotto finito.

Il Nihonshu è una bevanda eccezionale che può essere degustata calda, fredda o a temperatura ambiente, a seconda della stagione e del proprio gusto. La temperatura di servizio varia, quindi, dai 5 ai 55 gradi centigradi, e la bevanda va servita in bicchieri da vino o nei classici bicchierini giapponesi in porcellana; può accompagnare cibi e ricette di ogni cucina del mondo, mostrando la sua incredibile versatilità. Esistono differenti tipologie di Sake, alcuni prodotti seguendo regole ben precise di produzione, altri qualitativamente inferiori dove viene aggiunta una certa percentuale di alcol, maggiore è la porzione aggiunta e minore è la qualità della bevanda.

Oggi in Giappone esistono all’incirca 2.000 aziende produttrici di Sake, per un totale di circa 10.000 marchi diversi. Sulle etichette non ci sono riferimenti al territorio di provenienza della materia prima, a differenza di quanto avviene da noi con il vino, e per quanto riguarda i canoni di fabbricazione la flessibilità e la sperimentazione sono comunemente accettate. Sarà anche per questa grande versatilità produttiva che le esportazioni dal Giappone sono in continuo aumento, portando nei nostri bicchieri il fascino del paese lontano.