Parlare di alimentazione significa affrontare un tema importante e di grande di attualità, soprattutto per le sue implicazioni etiche, sociali, psicologiche e nutrizionali. Il cibo è vita e da questo punto di vista l’uomo non è diverso dagli altri animali, nel senso che dedica tempo ed energie a soddisfare la propria fame. Ma il cibo è anche cultura perché la relazione che unisce l’uomo alla natura si attua attraverso un complesso sistema di manipolazioni che accompagnano le fasi di produzione, preparazione e consumo degli alimenti. Basti pensare alla scoperta del fuoco e alle successive tecniche di cottura che, se da una parte hanno permesso di modificare la commestibilità e la digeribilità dei cibi, dall’altra hanno rafforzato un modello di sottomissione della natura, ispirato a esigenze e desideri prettamente umani.

Un altro fenomeno che ha contribuito a modificare in maniera irreversibile l’evoluzione e la storia dell’umanità, segnando il passaggio da una condizione di esistenza nomade a una stanziale (dal mondo dei raccoglitori-cacciatori a quello degli agricoltori-allevatori), è stato l’avvento e il progressivo sviluppo dell’agricoltura. L’introduzione delle pratiche agricole, avvenuta circa 10.000 anni fa, ha favorito una maggiore disponibilità di cibo, con il conseguente incremento della popolazione umana, ma allo stesso tempo ha innescato un lento, progressivo e irreversibile degrado ambientale.

In tempi moderni, le problematiche legate a queste attività produttive, con particolare riferimento alle moderne tecnologie di coltivazione, hanno raggiunto livelli insostenibili a causa della continua sottrazione e distruzione di ambienti naturali a favore delle colture intensive. La riduzione della biodiversità, la frammentazione e la scomparsa degli habitat, l’inquinamento chimico (contaminazione degli alimenti, dei terreni e nelle falde acquifere), l'emissione di gas serra, l'impoverimento e l’erosione del suolo sono solo alcune delle drammatiche conseguenze di questo insensato e devastante sfruttamento. Ogni anno scompaiono più di 5 milioni di ettari di foreste per ottenere terre destinate a produrre cibo per gli animali e l’uomo.

Un esempio su tutti è la crescente richiesta di olio di palma da parte dei paesi industrializzati: la domanda di questo prodotto è talmente alta che, per stare al passo con le esigenze delle industrie alimentari, immense foreste vengono abbattute e convertite in monocolture. L’olio di palma, ricavato dalla polpa dei frutti di questa pianta, è impiegato nella preparazione di quasi tutti i prodotti da forno industriali e nella produzione di saponi, detergenti e biocarburanti. Oggi la produzione si aggira intorno ai 60 milioni di tonnellate e interessa vari paesi tropicali, tra cui Indonesia, Malesia e Brasile.

Purtroppo, in assenza di una consapevolezza alimentare di base, le scelte dei consumatori, slegate dai reali bisogni biologici, sono condizionate da modelli comportamentali indotti esclusivamente dalla pubblicità e dagli enormi profitti economici che ruotano intorno a questo settore commerciale. Non è un caso che le richieste e i gusti della maggioranza delle persone tendono a uniformarsi intorno a una ristretta cerchia di “cibi internazionali”: bibite gassate, hamburger, patatine fritte, pizza e prodotti preconfezionati riscuotono il consenso di ampie fasce di consumatori, indipendentemente dall’età. Si tratta di una particolare categoria di alimenti conosciuti con l’appellativo, poco lusinghiero, di “cibi spazzatura”: una combinazione di calorie, grassi saturi, zuccheri, sostanze chimiche di sintesi, particolarmente redditizia per le industrie alimentari, ma deleteria per la salute delle persone. Alla luce di queste brevi considerazioni, e tenendo conto del fatto che esistono numerose ricerche biomediche che attestano, in maniera inequivocabile, una stretta relazione tra una cattiva alimentazione e l’insorgenza di gravi patologie, emerge con sempre più insistenza la consapevolezza che il confine tra cibo e medicina è molto sottile e merita una particolare attenzione.

Innanzitutto è necessario modificare in modo radicale il nostro atteggiamento mentale, in modo da riflettere sull’importanza di una sana alimentazione incentrata sulla qualità e varietà dei prodotti presenti sulle nostre tavole. Dobbiamo considerare la nutrizione non come un semplice rifornimento di calorie (alla stregua di un pieno di benzina) ma come una scelta di qualità, un atto consapevole finalizzato al mantenimento della salute del corpo e del pianeta (produzioni a basso impatto ambientale). Una dieta sbilanciata, ipercalorica, caratterizzata da un ridotto apporto di frutta e verdura e da un consumo eccessivo di proteine e grassi animali (soprattutto carne rossa e prodotti caseari), accompagnata da uno stile di vita sedentario, è responsabile di varie patologie, come l’obesità (in paesi come l’America questa patologia è diventata un’emergenza nazionale), il diabete, i problemi cardiovascolari, l’ipertensione, l’infarto, gli squilibri ormonali, le patologie infiammatorie e i tumori.

Non a caso, oggi si parla di “alimenti funzionali” che trovano una loro specifica collocazione nell'ambito della nutraceutica (il nome nasce dalla contrazione dei termini “nutrizione” e “farmaceutica”): una nuova disciplina che studia i principi attivi (metaboliti secondari di oligoelementi, sostanze minerali, ecc.) contenuti negli alimenti, alla luce di specifiche funzioni sia nutritive che farmacologiche. Un'altra materia di grande interesse è la “nutrigenomica” che, muovendo i suo passi dalla epigenetica (scienza che studia le influenze dell'ambiente sul DNA), indaga sul ruolo dell'alimentazione nei meccanismi di espressione genica, cioè sul modo in cui le informazioni contenute nel patrimonio genetico partecipano al mantenimento (salute) o al deterioramento (malattia) del nostro“terreno biologico”.

Ricerche scientifiche in questo settore hanno dimostrato che molti fitonutrienti (principi attivi vegetali), noti per le loro proprietà antiossidanti e stimolanti delle difese immunitarie, offrono un reale beneficio all’organismo poiché hanno la capacità di attivare o disattivare la funzionalità dei nostri geni e pertanto rappresentano uno strumento di grandi potenzialità, soprattutto nella prevenzione di numerose malattie cronico-degenerative. Attraverso un'alimentazione bilanciata, dove ampio spazio è dedicato al consumo di cibi provenienti da coltivazioni biologiche, soprattutto verdure e frutta (ricche di polifenoli, flavonoidi, caratenoidi, isotiocianati, tannini, acidi grassi essenziali, vitamine, ecc.), cereali, legumi, farine integrali (ricche di fibre) e di preparati fitoterapici, è possibile assimilare sostanze nutritive e principi attivi capaci di influenzare i meccanismi biochimici che presiedono al metabolismo energetico e ai processi di riparazione e rigenerazione cellulare (fondamentali per contrastare tumori e invecchiamento).

In questi termini il cibo non rappresenta solo una fonte di calorie, ma anche e soprattutto, un grande serbatoio di informazioni molecolari. L'innovazione tecnologica e lo sviluppo industriale, favorendo la produzione su larga scala di prodotti alimentari ottenuti attraverso l'uso indiscriminato di concimi chimici, diserbanti, tecniche di raffinazione, conservanti e coloranti artificiali, hanno privato i cibi della loro naturalità, rendendoli spesso inadatti alle nostre esigenze metaboliche. Siamo di fronte a una realtà culturale che cambia a una velocità superiore rispetto alle capacità del DNA di adeguarsi ai mutamenti (il nostro materiale genetico possiede le stesse qualità e potenzialità di quello dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori). Probabilmente il conflitto tra il nostro genoma e l’ambiente in cui siamo costretti a vivere (discordanza evolutiva) è una delle principali cause dell’insorgenza e della diffusione delle cosiddette “malattie del benessere”. Del resto lo stesso Ippocrate, considerato il padre della medicina, esortava i suoi pazienti a ritrovare la salute affermando che: “le malattie non sono un effetto del caso: sono le conseguenze di un certo modo di vivere", di conseguenza “fa che il tuo cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”.

La cosa sorprendente è che queste parole così illuminanti e di grande attualità sono state enunciate quasi 2500 anni fa!

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