Non tutti forse sanno che Krocinon, ovvero Croco, Zafferano, era il termine usato da Teofrasto (372- 288 a.C)per indicare un profumo molto pregiato ricavato fin dall’antichità dal prezioso fiore, rinomato a Soli in Cilicia e a Rodi. Oltre a Teofrasto filosofo e padre della botanica, che ne scrive Sugli odori, nel testo Le cause delle piante di questa spezia ne parla Plinio il Vecchio (23– 79 d.C.) nella Storia naturale. Plinio lo inserisce nel libro XIII tra i profumi composti con aggiunta di cinabro, anchusa e vino oppure nel rodhinum insieme a petali di rosa, agresto, cinabro, calamo aromatico, miele, giunco profumato e vino. Ippocrate (460-370 a.C.) lo cita in vari impieghi terapeutici per farne colliri, contro le piaghe e nei pessari usati nella cura delle malattie delle donne.

Oggi lo zafferano ci rimanda a una spezia usata per lo più in cucina; per l’etimologia il nome scientifico Crocus deriverebbe dal greco Krokòs proveniente dall’ebraico Karcòm nonché dal fenicio Cartamus, corrispondente a una specie vegetale usata per colorare di giallo. Invece il nome Zafferano secondo l’autore Di Francesco deriva dall’arabo Azzafaran che significa “splendido come uno zaffiro”. Se Creta e l’Asia minore sono l’areale di provenienza di questo bulbo prezioso, che durante la stagione fredda esprime il meglio di sé con una fioritura effimera quanto delicatissima sui toni del viola tenue con tre preziosi stimmi rosso fuoco da cui si ricava la spezia, la sua diffusione nel mondo fu notevole a est e a ovest, dall’Europa all’India.

La prima rappresentazione murale dello zafferano è a Cnosso, oggi nel museo di Heraklion, risalente al 1400 a.C., ma ancor prima se ne ha testimonianza dell’uso terapeutico, forse contro la peste, in Egitto, grazie al papiro di Erbers del 1600 a.C. Sebbene le regioni di maggiore produzione rimangano quelle del bacino del mediterraneo (Iran e Turchia in particolare) oltre all’India, fin dal Medioevo se ne ha notizia in Europa. Sembra sia stato portato in Italia da un monaco al seguito del Tribunale dell’inquisizione in provincia dell’Aquila, zona ancora oggi tra quelle di maggiore produzione nella penisola.

Paesi nel mondo dove si coltiva zafferano

Non mi stupisce trovare lo zafferano ampiamente diffuso in Italia, dalla Toscana all’Umbria, dalla Sardegna alla Sicilia, una coltura che sopporta fino a – 15° C e alte temperature estive. Lo zafferano necessita di terreni molto drenanti, rifugge l’umidità dell’aria e i suoli tendenti al ristagno idrico. Fino a qualche anno fa i manuali di coltivazione escludevano proprio la Pianura padana ma probabilmente i cambiamenti climatici hanno concesso di tentare la coltivazione anche in questi areali, oggi molto più siccitosi e con estati estremamente secche.

È una sorpresa entusiasmante trovare ancora oggi come qualche anno fa ancora oggi trovare dei pionieri nella coltivazione in un lembo della Liguria, quello più a Levante nel piccolo borgo di Campiglia, poco distante dal Golfo dei Poeti dove Byron e Shelley, Lawrence e Sand fecero approdo. Un precedente storico può essere sicuramente la notizia che fin dal Medioevo una specifica normativa regolava il commercio della spezia cosicché le Repubbliche marinare avevano fondato i “Banchi dello zafferano”. “Il territorio di Campiglia è una zona di confine. Confine del Parco Nazionale delle Cinque Terre e di quello Regionale di Portovenere, confine del Comune di La Spezia e come tutti i territori interclusi, sino a poco tempo fa dimenticato da istituzioni locali e regionali e dagli stessi suoi abitanti.” Così dicono i promotori di un Associazione, Campiglia appunto, che dal 1999, oggi con circa 300 associati, si sono costituiti per contribuire alla protezione e al mantenimento di questo territorio.

Importantissima quindi questa loro attività che promuove il senso identitario dei luoghi e l’appartenenza ad essi attraverso coltivazioni tipiche, in parte dimenticate in parte abbandonate solo a causa dell’allontanamento da queste terre terrazzate a picco sul mare dei contadini che qui vivevano di olio, vino, agrumi, fichi d’india, lavanda e sale marino. L’interesse viene concentrato, per iniziativa dell’ingegner Bracco, ideatore del progetto culturale e colturale, su due prodotti: lo zafferano e i fichi d’India. Qui lo zafferano nasceva spontaneo nella forma selvatica così si è pensato di proporre la sua coltivazione in questi terreni abbandonati dove anche i muretti a secco avevano grande necessità di essere salvati prima del degrado definitivo. Con un grande sforzo gli abitanti di Campiglia e gli amatori di questo luogo, paesaggisticamente straordinario, una parete sul mare a cui si giunge facendo ben 1000 scalini, hanno voluto incentivare il ripristino dei sentieri, della vegetazione tipica a olivo, agrumi, vite, fichi e fichi d’india che qui prosperano grazie al clima mediterraneo e all’esposizione a sud tutto il giorno.

Dopo aver visitato le più note zone di produzione, in Abruzzo, in Sardegna e nel territorio di San Geminiano, hanno individuato alcuni terrazzamenti a 3-400 m sul mare dal lato Tramonti, che si rivelano subito particolarmente adatti a questa coltivazione per la presenza di un tipo di terreno molto sciolto e drenato che non trattiene a lungo l’umidità. Rapido è il successo già nella fase sperimentale: l’alta qualità del prodotto è subito riconosciuta a livello nazionale con l’inserimento in riviste specializzate come Gambero Rosso e la partecipazione a prestigiose rassegne gastronomiche come Slow Food di Torino del 2003. Di conseguenza dopo la messa a coltura dei 5-600 bulbi nel primo anno, si è arrivati oggi a circa 60.000. Un invito è quindi quello a percorrere proprio a ottobre e a novembre le piane di Tramonti, a Campiglia, per sentire i profumi aromatici delle erbe spontanee, elicrisi, rosmarini e lavande, gli aromi delle cantine con l’uva che produce il famoso vino Sciacchetrà, ma anche soprattutto il profumo tenue e persistente di questa spezia, lo zafferano chiamato “oro dei poveri”, proveniente dalle distese di fiori, pennellate rosa e viola che mi appaiono come “mare verticale”.