Alba è la capitale mondiale del Tartufo e, per iniziativa di Giacomo Morra, un lungimirante operatore locale, dal 1929, nei mesi di ottobre e novembre, dedica al profumato tubero una seguitissima fiera, in grado di conferire un alto prestigio alla cittadina e di promuovere anche gli altri numerosi prodotti del comprensorio.

La città di Alba rappresenta, per tradizione e ruolo economico, il centro di riferimento di una nota regione della provincia di Cuneo, conosciuta con la denominazione di Langhe, famosa nel mondo per essere l’habitat ideale del tartufo bianco che, notoriamente, predilige terreni collinari e argillosi situati a un’altezza non superiore ai 700 metri con un’accentuata presenza di corsi d'acqua, vigneti, salici e boschi di querce, pioppi e tigli.

La preziosa qualità di fungo ipogeo è composta da un’alta percentuale di acqua e sostanzialmente dai sali minerali assorbiti dal terreno tramite l'apparato radicale dell'albero con cui vive in simbiosi. La sua superficie è, secondo la composizione della terra, di colore grigio verde, giallo ocra o giallo oliva. Seguendo l’andamento stagionale, la sua maturazione è compresa tra i mesi di ottobre e gennaio. Infine, la sua forma varia in base alla natura del terreno: se la terra è soffice, sarà di forma regolare e tondeggiante ma, se dovrà faticare per farsi spazio, il tartufo sarà più bitorzoluto e nodoso.

Fino all’inizio del Novecento, al tartufo si dava relativamente poca importanza. Per esempio, non è mai comparso nei menù dei pranzi ufficiali dei Savoia e Camillo Benso, accreditato buongustaio, non lo preferiva di certo a una finanziera, piatto gustosissimo peraltro composto da ingredienti “poveri”. Oggi, invece, in considerazione della straordinaria quotazione raggiunta, dovuta anche all’impossibilità di coltivarlo, la sua ricerca ha assunto caratteristiche semi imprenditoriali. Nulla è più lasciato al caso e, per avvantaggiarsi, non si escludono sgarbi, provocazioni e ripicche. Per raggiungere le “sue” zone, il trifolao, incurante di freddo e nebbia, si muove generalmente nottetempo al riparo da occhi indiscreti, badando bene a non illuminare il suo cammino e orientandosi solo con il favore della luna che lo accompagnerà in mezzo ai boschi.

Per riuscire nel suo obiettivo, deve ricorrere all’aiuto del suo collaudato collaboratore a quattro zampe, un tipico cane di cascina con l'abitudine di fiutare intorno un po' di cibo, adeguatamente addestrato. Suscita ammirazione e simpatia vederlo in azione agitarsi, andare e tornare sui suoi passi con il muso quasi piantato per terra, annusare tra cespugli e foglie fino a quando, individuato qualcosa, inizia a raspare e a guaire.

È il momento in cui il suo padrone deve accorrere per salvare il tesoro trovato. Con un attrezzo particolare nato dall’ingegno e dall’esperienza, il sapin, una sorta di zappetta di ferro lunga e ricurva, allarga con delicatezza la piccola buca appena fatta, fino a estrarre il prezioso tubero di cui valuta immediatamente il valore. Poi, dopo averlo ripulito e spolverato per liberarne le preziose spore, aggiorna il suo taccuino per non rischiare di perdere l'anno seguente un nuovo appuntamento. Una gratifica al suo prezioso aiutante scodinzolante, una carezza e un boccone prelibato, e la ricerca può continuare.

Un capitolo a parte riguarda le tecniche di vendita che si possono osservare da vicino nelle numerose sagre che si svolgono in autunno inoltrato oltre che ad Alba anche in numerosi altri centri del Piemonte. Si basano sulla proverbiale astuzia contadina e su codici di contrattazione per certi versi misteriosi. Iniziano nell’apparente indifferenza dei venditori che se ne stanno calmi e tranquilli in disparte, a parlottare in piccoli gruppi, tenendo accuratamente nascosta la loro merce. Attendono che il mercato “si muova” e che i compratori, grossisti o privati che siano, si spazientiscano e si facciano avanti. Solo allora, lentamente, con circospezione, quasi contrariati inizieranno a proporre i loro pezzi pregiati che lasceranno ammirare e, soprattutto, odorare. Poco spazio per la contrattazione, per la dialettica, per le stravaganze. Finirà così, con il compratore inebriato da quell'inconfondibile aroma e il trifolao soddisfatto per la nuova ricca vendita effettuata.

Il tartufo non si può conservare perché dal momento in cui è colto, la sua essenza comincia a disperdersi. Per mantenerlo in vita, serve avvolgerlo singolarmente in stoffa o carta leggera e tenerlo al fresco in cantina o nella parte meno fredda del frigo. Prima di consumarlo, si deve nettare strofinando delicatamente la sua superficie con una morbida pezzetta di panno imbevuta di una minima quantità di acqua. Si usa crudo, tagliato sottilissimo per impreziosire e dare uno straordinario tocco di ricercatezza a svariate preparazioni della cucina piemontese tra cui tajarin, tagliatelline tradizionali condite con burro e formaggio; fonduta, crema di formaggio fuso all'interno di un’apposita pentola di ghisa, terracotta o porcellana da gustare rigorosamente calda; risotti in genere; insalate di funghi e, infine, carne all'albese, antipasto diffusissimo in tutto il Piemonte che consiste in carne di vitello, preferibilmente di razza fassone, necessariamente freschissima, tagliata molto sottile e condita con limone, un velo di olio di oliva extravergine, aglio, sale e pepe.

Ma, i veri estimatori preferiscono gustarlo accompagnato da un semplice uovo al paletto ancor meglio se cotto in un fojòt, piccolo contenitore in terracotta, nel quale si abbia appena terminato di mangiare una saporita bagna càuda, una robusta salsa dall’alto valore conviviale che condisce verdure di stagione cotte e crude, composta di pochi ma indiscutibilmente efficaci ingredienti come aglio, olio e, a conferma di quanto il Piemonte sia vicino al mare, acciughe dissalate. Un buon bicchiere di rosso è d’obbligo.