La critica, critica, si sa. "Ma non dovrebbe essere critica?". Sì, ma nel senso più stretto del significato, intesa come messa in discussione di pareri o concetti e non turpiloqui mal digitati da molti che giungono, inevitabilmente, allo schermo di tutti. Noi consigliati, noi raccomandati, noi illusi da dita poco esperte che si dilettano a scrivere opinioni, che tanto non fregano a nessuno ma alle quali tutti ci affidiamo.

Benvenuti nell'era moderna, quella dove tutti sanno tutto, e tutti sono in diritto di dire tutto, travestiti da gran maestri detentori unici della verità, spesso celata sotto forma di un consiglio utile e indispensabile, di cui non puoi più fare a meno. Commentiamo, linkiamo, condividiamo, pollice in su, stato da aggiornare, dicci cosa ne pensi. Clicca clicca linka, linka linka clicca, banna, condividi. Nel nostro profondo, in ognuno di noi c'è un piccolo Napalm51, personaggio rude e meschino che prima o poi si riversa nel mondo virtuale per infastidire la realtà. Certo nessuno si identifica in lui, ma tutti nella riservatezza condivisa attraverso uno schermo touch, che ci propone una realtà aggiornata alle abitudini odierne, agiamo come lui. Forse non tutti. Probabilmente parecchi.

Un accanimento quotidiano per sentirci meno soli, per raccontare qualcosa di differente, per imbastire discussioni che vadano oltre la condizione atmosferica dei giorni passati e quelli che dovranno ancora venire. Ma cosa c'é di più democratico della critica? Riguarda tutti e tutti ne facciamo parte. Anche gli argomenti trattati risentono fortemente di democrazia. Si spazia dalla recensione di un ristorante al nuovo trattore agricolo, dove anche il pulcino nel finale viene schiacciato da carichi troppo pesanti, attorniato dal coro di tutti quegli animali che devon dire la loro, ognuno col suo verso ripetitivo, ognuno con la sua fine già scritta. Un giro di condivisione straziante ormai, per fortuna, dimenticato. Un turbinio vorticoso di tastiere digitate impazientemente, dove nulla e niente può essere escluso. E cosa dire a riguardo del cibo, di questa moda che non si viveva dall'epoca in cui alcuni esteti di metà Settecento si trovarono a occuparsi del gusto, in maniera seria e profonda interrogandosi sul duplice significato, quello inteso come bellezza e l'altro facente riferimento al sapore.

Oggi il cibo torna protagonista, tanto che un piatto non può più essere consumato se prima non viene fotografato, condiviso e commentato. Siamo i nuovi esteti del gusto, i filosofi della citazione. Produzione, vendita, consumo, in ogni fase il cibo viene osservato e scannerizzato. Fenomeno che può essere analizzato come elemento positivo, quando ci si avvale ad analisi oggettive. Ma la linfa vitale del sistema "pubblica e commenta" soffre di alcuni difetti, tra i quali molto spesso, l'eccesso di soggettività. Dai campi alla trasformazione, per poi giungere al settore marketing. È tutto oggetto e soggetto al sistema critico. Nel bene e nel male. Dall'allevatore al ristoratore, e questi ultimi (i bersagliati per eccellenza) ne hanno una chiara idea di quanto sia complicato trasformare recensioni negative in un qualcosa di buono - azioni tanto delicate quanto manesche le accuse - e quanto sia importante un riscontro positivo, per sua natura accattivante verso i nuovi clienti e rassicurante per gli abitué.

Questo è quanto accade nella nostra normalità, un dilagante populismo che porta la veste di democrazia intaccando ogni settore: dalla politica alla gastronomia. Voci differenti che spesso urlano a platee vogliose di espletare il proprio giudizio in stampatello; ogni tanto applaudono, altre volte si infervorano e sottolineano il malcontento con sonori VAFFA, vaffaqui, vaffalì, vaffalà. (...) "Ma cosa ne sappiamo noi, che invece di odiare la povertà, odiamo i poveri. Perché siamo i re del vaffanculo, abbiamo mandato a fanculo talmente tanta gente che dobbiamo ricominciare il giro". Così esternava Balasso. E io un po' sono d'accordo.

Grazie a questo sistema - mormorano alcuni - la via della democratizzazione del cibo aiuterà il consumatore, ma anche il produttore e di conseguenza tutte le comunità. Sfavillanti abbagli di libertà che si prospettano per un avvenire migliore. Una sorta di indipendenza che stride col concetto di sistema, dal quale non vuole estraniarsi - perché dev'essere contenuta in un contesto - ma che piuttosto cerca nuove forme per modellarsi a una via di fuga, mai scontata, che è la differenziazione dai propri competitor (che fa figo scriverlo così, almeno da giustificarne il merito a chi si sente glocal).

Il cibo è libero, il vino anche. L'essere umano deve ancora capirlo. I radicali da sempre lo sono. Io sono ancora distante dal capire cosa sia libero e cosa no, ma da un po' di tempo mi domando quale strano essere o entità fosse detentore, oppure chi per diletto o professione ne avesse mai tentato la detenzione, di questi cibi e bevande che ora occupano gli scaffali, in ordine e ben sistemati, vestiti a festa come un fanciullo nel giorno della prima comunione. In una controversa situazione di semilibertà, le catene si rompono e appare la luce. E capita anche a me, il bagliore accecante mi si ripropone ogni qualvolta il dogma vino libero si esprime per mezzo di un'etichetta sospesa nel mezzo di un vetro scuro, ben visibile, accattivante e accuratamente studiata per distinguersi nella folla di mille altre. E il mio sorriso si fa largo a mostrare i denti, una smorfia di compiacimento necessaria, come al saluto di una persona che dice di conoscerti ma che tu proprio non vuoi ricordare, deglutisco e dal profondo del mio stomaco giunge perplessità e imbarazzo, nell'attesa frettolosa che quell'istante voli via a rifugiarsi altrove. Il momento dei convenevoli passa e il pensiero torna per dar vita all'immagine del povero liquido, sino ad allora costretto in cantine buie e impolverate, che riposa lì triste e mogio nella sua coperta di legno in attesa di una visita, che un giorno giunge decretando l'inizio della fortunata carriera in piena libertà.

Mi piace immaginare che l'inizio di questo percorso sia da attribuirsi a una bottiglia, trasparente e dall'aria invitante, che ha aspettato troppo tempo per un barilotto di whisky mai pronto e - sicuramente - stufa di continui rifiuti, si sia tanto rammaricata da tentare un timido approccio a qualcosa di differente: un liquido di uva fermentata, che da ora in poi sarà forgiato della dicitura che ha per omonimo il cane di quell'amico fragile, quello di Fabrizio, che è già un po' di tempo che lo chiama così, probabilmente a causa della sua curiosità ad attraversare litri e litri di corallo senza mai che gli venisse in mente di essere più ubriaco di noi.

Ma che bello, ma che meraviglia! Un sogno quasi comunista. Un continuo susseguirsi di ideologie perse, spesso fallimentari, non per loro natura, ma per immaturità dell'essere. Ma dopo tutto, bofonchiano alcuni, come può rivelarsi vincente una ideologia, parola che da dizionario porta tale dicitura: "il complesso delle idee e delle mentalità proprie di una società o di un gruppo sociale in un determinato periodo storico"... ebbene, un complesso di idee e di mentalità... Sarebbe ottimo, indispensabile, e persino beneaugurante per il futuro del genere umano avere delle ideologie, se solo non fossimo esseri individualisti in una collettività sempre più virtuale, deviati con facilità dal messaggio che giunge, esattamente come è stato partorito, da uno schermo luminoso o dal ticchettio di una tastiera che non trova pace nemmeno nelle ore più stanche di una notte dove dovrebbe regnare solo il silenzio.

Siamo incapaci di vedere al di là del miraggio di un posto di lavoro fisso, di una stabilità apparente fatta di critiche verso tutto, di consolazioni calcistiche domenicali, dell'esclamazione felice "c'è Sanremo!", dove anche se guadagnano troppo i presentatori, "come fai a non guardarlo?" Siamo infanti, mai cresciuti, con una evoluzione emotiva pari al carattere di un cardo bollito, senza nemmeno la decenza di poter sceglierne il pinzimonio. Importati e belli solo a occhi curiosi, che ci mettono i cuoricini e il pollicione all'insù, scorrendo insaziabili di arduo e elevato sapere, pagine di foto al mare, in montagna, al lago, al parchetto, con e senza animali, in auto, fuori dall'auto, sopra, sotto, tutt'intorno; e poi ancora: matrimoni, compleanni, convivenze, tradimenti, infatuazioni, infiltrazioni, frustrazioni, discriminazioni, azioni e mozioni.

E poi scriviamo, spesso maree di frasi sconnesse dettate da una luna, dritta o storta che sia, sempre troppo clemente. Siamo anche membri di un sito, il cui proprietario è un gufo,( in evidente stato di alterazione a effetto spirale, e per di più, sofferente di eterocromia) che ci dice dove andare a mangiare e bere, perché grazie a lui noi tutti possiamo esprimerci in maniera democratica, pulita e decorosa. Ora, di quanto fidarmi realmente non saprei. Il gufo lo hanno trascinato - dubito fortemente ne avesse le capacità motorie per agire in maniera autonoma - su di uno sfondo verde, colore evocativo della natura e dell'equilibrio, per poter donare a tutti la godereccia possibilità dell'usufruire gratuitamente dei molteplici servizi offerti e dei tanti effetti benefici. Siamo trascinati da parole, che come massi fluttuanti nell'acqua raggiungono il fondo del mare, componendo versi, utili al benessere di tutti e di nessuno.

Talvolta l'effetto desiderato sembra venir meno. Mettiamo le stelline, diamo consigli, giudizi, tutti aggrappati a un filo senza averne coscienza, insegniamo allo chef a cucinare e così ci sentiamo tutti in possesso del mestolo d'oro per le nostre mezze parole che spesso finiscono in issimo, buonissimo, bellissimo, gentilissimo, schifosissimo, meravigliosissimo, salatissimo, affollatissimo, caldissimo, marmellatissimo, sudatissimo, fighissimo, lovvissimo. Bellissima struttura alle porte della città, sì per feste con bambini, sì animali, no aria condizionata - faceva un caldo che si bruciava - necessaria l'auto per arrivarci con segnaletica poco chiara. Parcheggio vicinissimo al chilometro 41, presso la casa cantoniera, il conto superiore ai 50. Minchia signor tenente!

Utilizzo di superlativi lassativamente sdolcinati e tremendamente appuntiti, parole affilate come coltelli da cucina o morbide come cuori di torte che finiscono in tazza, il tutto condito da saggezza culinaria popolare di chi crede che il sorbetto a metà pranzo favorisca la digestione. La gastronomia è di tutti, quindi tutti se ne possono occupare. Forse è sempre stato così, o forse no. Un tempo c'erano le guide che ti consigliavano con pareri professionali, o almeno questa era la percezione, che cosa fosse meglio o semplicemente più adatto a te. Ora ci sono ancora, con la differenza che è giunta la crisi, e poi internet... quindi nella maggior parte dei casi il lavoro odierno e moderno dei professionisti della gastronomia viene effettuato gratis, si lavora per piacere di farlo, per riportare un po' di ordine, un po' di giustizia. Grandi professionisti al servizio della critica riconosciuti semplicemente come collaboratori, del tutto privi di ricompensa, dove anche un auspicabile rimborso spese sembra essere un miraggio. Dalla flemmatica lumaca piemontese al gambero scotto romano la situazione non cambia.

Chi ci guadagna veramente da questo gioco non mi è chiaro. Anzi, forse, a onor del vero, sempre i soliti, anche se crediamo di guadagnarci prima di tutto noi, probabilmente a causa di quell'indole "dell'italiano furbetto", riconosciuta internazionalmente, che non ci ha mai abbandonati. Al momento percepisco una morbida ondata di populismo tutto intorno a me. "Ah che gioia!" Che meravigliosa epoca di democrazia, dove anche la lasagna fumante di mia nonna diviene oggetto di attente analisi con tanto di reperti fotografici e analisi dettagliate sulla quantità di calore perso nel tragitto che dal forno porta alla tavola, descrivendo dettagliatamente le conseguenze sull'umidità della pasta interna nel bilancio, mai sommario, tra croccantezza della parte superiore in bilanciamento col sapore del formaggio filante che, chissà come, ora già volteggia al lato della mia bocca e si tuffa in uno schianto tra ragù e besciamella a centrare in pieno la camicia nuova appena comprata, con un coupon sul web, a un prezzo imbattibile. Servizio pessimo, signora addetta al servizio parecchio attempata e con mano poco ferma, cortese ma distratta.

Ma il pensiero vaga e fugge, ritrovandosi tristemente tuffato - come sempre capita nel giorno di festa - nel brodino serale che, sempre troppo asciutto, è dato in pasto ai commenti. La critica ha sempre fame, soprattutto in tempi di magra. E allora scrivete gente. Scrivete, condividete e scrivete. Scrivete, che ora scrivo anch'io.