Mangiare è un atto sacrificale. Nutrirsi coscientemente è un atto di adorazione. Cosa vuol dire adorare? Etimologicamente ad-orare, pregare verso. Se il sacrum facere dell’alimentarsi è stato completamente dimenticato (desacralizzato), la nutrizione cosciente e consapevole riporta il mangiare, da atto di bisogno istintivo e sensoriale, all'adorazione della presenza della vita nel cibo. Come esprime l’amato poeta: "Vorrei che poteste vivere del profumo della Terra e che la luce vi nutrisse in libertà come una pianta. Ma siccome mangerete uccidendo e ruberete al piccolo il suo latte materno per estinguere la sete, sia allora, il vostro, un atto di adorazione".

Una vita viene sacrificata per permettere la continuità della vita, l’esistenza si basa sul sacrificio, sull’annientamento della vita di un altro essere vivente che sia animale o vegetale. Nelle Upanishad si afferma che la vita si nutre della vita. Una profonda consapevolezza dell’atto del nutrirsi dovrebbe permettere di cogliere la presenza della vita in ogni essere. Questa consapevolezza della sacralità del cibo e della sofferenza che procura dovrebbe spingerci a considerare il mangiare come un’offerta, una oblazione quotidiana. Nella tradizione orientale la parola sanscrita Ahuti, l’offerta, ha la stessa radice di Ahara, cibo. Nella Bhagavad Gita, Krishna definisce un ladro chi mangia senza offrire al divino.

Questo atteggiamento armonizzava l’agire quotidiano dell’essere umano di un tempo: la preghiera prima dei pasti, la benedizione del pane su cui veniva impresso il segno della croce (per questo motivo non si teneva rovesciato). Ma è possibile ritrovare ancora questa propensione rispettosa verso il cibo e la natura in qualche vecchio e saggio contadino: “quando raccolgo la frutta dall’albero una parte la lascio agli uccelli, una parte a chi passa, una parte all’albero… così faceva mio padre, così gli aveva insegnato suo padre”.

Da migliaia di anni la prassi rituale quotidiana della famiglia induista è stata caratterizzata dall’atto di destinare una parte del cibo come offerta, definita Prasad. Cibo offerto che “nutre” la Divinità (Krishna stesso afferma, nella Baghavad Gita, la partecipazione del divino), offerto al fuoco (Agni) che lo ha cucinato, all’ospite presente, ai pellegrini erranti e ai monaci, a chi è indigente, e anche agli animali. Il cibo offerto, riunito al resto delle pietanze, rende il nutrimento più sattvico, più sottile e nutriente. Così come viene offerto del cibo nello svolgimento rituale della Puja, atto celebrativo verso una particolare manifestazione della divinità, officiato attraverso cerimonie particolari e rituali. Il cibo in questo modo è considerato come prasad, cibo benedetto, ed è offerto ai partecipanti.

Offrire il cibo è come una preghiera, attraverso questo atto si crea una azione di ringraziamento e di riconoscimento di ciò che è stato ricevuto, è un "peccato" nutrirsi senza riconoscere la vita che si è offerta per noi, animale o vegetale che sia, dal microbo, al mammifero più evoluto vicino alla nostra manifestazione biologica umana. Il prasad ci aiuta ad allontanare il “peccato” dell’inconsapevolezza, dell’ignoranza, dell’egoismo, dell’avidya. Ma questo richiede la coscienza di sentirsi parte integrante della Madre Terra e non padroni arroganti che uccidono, sperperano, sfruttano, senza nessuno scrupolo di coscienza e con una intelligenza egoistica che non sa riconoscere nell’animale macellato o nel terreno reso improduttivo, la comune origine biologica e la coesistenza sul pianeta. Nell’offerta del prasad non si richiedono particolari rituali o preghiere, ma un atteggiamento interiore rispettoso che mi porterà a comprendere come il cibo non vada sprecato, che è in mio dovere (e diritto) sapere come è stato prodotto, e se posso fare qualcosa per la fame nel mondo o limitare lo sfruttamento abominevole degli animali che nella maggior parte dei paesi industriali è fonte di inquinamento e sovra-alimentazione patologica. Se non voglio o non concepisco un “grazie” per un essere superiore, il mio prasad lo potrò indirizzare alla vita stessa che si offre e mi sostiene. Ma leggiamo per intero cosa afferma Kahlil Gibran da il Il Profeta.

Allora un vecchio oste domandò: Parlaci del Mangiare e del Bere.
Ed egli disse:
Vorrei che poteste vivere del profumo della terra e che la luce vi nutrisse in libertà come una pianta.
Ma siccome mangerete uccidendo, e ruberete al piccolo il suo latte materno per estinguere la sete, sia allora, il vostro, un atto di adorazione.
E la mensa sia un altare, sul quale i puri e gli innocenti dei campi e delle foreste s’immolino alla parte più pura e più innocente che vi è nell’uomo.
Quando ucciderete un animale, ditegli in cuore:
“Dal medesimo potere che ti abbatte, io pure sarò ucciso e consunto, poi che la legge che ti consegnò nelle mie mani, consegnerà me in mani più potenti.
Il tuo sangue e il mio non sono che la linfa che nutre l’albero del cielo”.
E quando mangerete una mela, ditele in cuore:
“I tuoi semi vivranno nel mio corpo,
E i tuoi germogli futuri fioriranno nel mio cuore,
E il mio respiro sarà la tua fragranza,
E noi godremo insieme in tutte le stagioni”.
Quando d’autunno coglierete dalle vigne l’uva per il torchio, dite nel cuore:
“Io pure sarò vigna e per il torchio sarà colto il mio frutto,
E come vino nuovo sarò tenuto in botti eterne”.
Quando d’inverno spillerete il vino, per ogni coppa cantate una canzone;
E in questa ricordatevi dei giorni dell’autunno, della vigna e del torchio.