Trasportati dall’egocentrismo e dalla creatività smisurata, in un clima di eterna gara con i propri colleghi a “chi la combina più strana”: ahimè, troppo spesso mi capita di vedere questo tipo di cuochi all’opera dietro i fornelli dei più rinomati ristoranti, trascurando la ristorazione autentica, quella fatta di accoglienza, passione e soddisfazione non di se stessi ma degli altri.

Detta così potrebbe suonar male, ma vi assicuro, è davvero sempre più raro trovare bravi cuochi che non abbiano il desiderio di servire in tavola le proprie stravaganze, spesso tralasciando particolari non proprio piccoli. La ristorazione moderna sta assumendo effettivamente un volto che lascia sempre meno spazio all’improvvisazione: basti pensare che la proposta gastronomica del menù (e non solo) viene associata oggi al marketing strategico, che diventa uno strumento di aiuto per l’imprenditore aiutandolo nell’analisi preliminare dei suoi punti di forza e debolezza e nell’identificazione degli strumenti reali a disposizione per indirizzare verso il successo la propria attività.

Target, location, posizionamento di prezzo e qualità offerta, livello di servizio, comunicazione: davanti a queste e tante altre variabili che diventano parte sempre più integrante della ristorazione, vince sempre più chi riesce a rispettarle senza tralasciare di mettersi sempre al posto del cliente, in fatto sia di necessità che di gusti. Nella mia esperienza personale professionale, posso dire ad oggi di aver imparato forse più dall’essere commensale che da cuoco. O meglio, probabilmente si tratta di due tipologie di apprendimento diverse, la prima più emozionale, la seconda più tecnica.

Il mio stile di cucina ha iniziato così ad essere influenzato anche dalle esperienze fatte nei ristoranti in qualità di avventore, che mi hanno portato a riflettere su quelli che io stesso ho compreso essere errori su cui lavorare e migliorarsi. Indimenticabile il ricordo di come cambiò il mio modo di percepire e preparare la pasta ripiena: iniziò tutto molti anni fa in un ristorante della capitale, di cui era patron un noto chef.

All’arrivo del maître, gli chiesi di consigliarmi in merito al menù: mi suggerì un grande raviolo dal nome che rimandava ad abbinamenti raffinati e altisonanti, una sicura ottima proposta per giornalisti affamati di lodi da tessere per lo chef sui propri giornali. Ed è proprio assecondando la proposta del maître che poco dopo mi vidi servire la sorpresa. E che sorpresa! Un raviolo di dimensioni davvero eccessive, dalla farcia simile a quella di un polpettone racchiusa in un involucro di pasta all’uovo troppo spessa e dai bordi alti e crudi. Non di meno, anche il palato meno raffinato avrebbe intuito, tra sapore e tempi di servizio, che era un prodotto tirato fuori dal congelatore, per altro ancora non ben scongelato al cuore una volta adagiato nel piatto. Una vera delusione, seguita dal rendersi conto di aver degustato un’invenzione senza un reale senso, preparata in modo sorprendentemente maldestro, un piatto di quelli neanche indifferenti, ma che restano impressi nella mente anche a causa delle aspettative: la mente raramente “scusa” l’associazione della notorietà alla delusione.

Mentre mangiavo quel raviolo, ho iniziato a pensare a tutti gli errori che non avrei voluto fare se fossi stato al posto di chi lo aveva preparato: dal servirlo in un piatto ben caldo al non eccedere con le decorazioni, dalla pasta all’uovo che doveva essere tirata più sottile alla tecnica utilizzata per la chiusura dei bordi (di certo rimboccare la pasta spessa su se stessa non è mai una grande idea).

Ma ai pensieri da puro cuoco sono seguiti quelli da vero commensale: cosa non mi era davvero piaciuto del piatto? Quale aspetto avevo trovato più “insopportabile” al palato? Ebbene, il raviolo era talmente grande e saporito che il gusto della farcitura andava a prevalere completamente su quello della pasta, rendendolo impercettibile.

È da questa esperienza di quando ero giovane che ho imparato a riflettere sempre molto bene, prima di approntare una pietanza di questo tipo, se il ripieno dovesse essere protagonista o complementare, andando a calibrare così il numero di ingredienti da utilizzare, la quantità di sale, le forme della pasta ripiena e tanti altri piccoli aspetti che concorrono al suo gusto.

“Sedersi al posto del commensale” in maniera autentica, utile e costruttiva per un cuoco, richiede tuttavia uno sforzo ulteriore, insito nell’essere disposti a criticare non solo l’operato altrui ma anche e soprattutto il proprio. Sedete nel vostro ristorante e degustate il vostro nuovo piatto, sia da soli che in compagnia dei vostri collaboratori, lasciando spazio alle idee, al dialogo volto al miglioramento, alla conoscenza delle aspettative di tutti, in una sorta di “focus group” che ha come fine l’evoluzione della nuova idea di uno chef in qualcosa che diventi di appartenenza di tutti i suoi fruitori. Dopotutto, il fine è entusiasmarli sempre di più imparando a conoscere i loro palati.

Alici panate al cacao con Jalapeño e mozzarella

Ingredienti per 4 persone:
Alici fresche, n.16
Mozzarella,150g
Mollica di pane in cassetta setacciata,150g
Fecola di patate, 60g
Peperoncino: Jalapeño, ½
Olio extravergine d’oliva dal fruttato delicato, 60g
Cacao amaro, 5g
Timo fresco, 4g
Per guarnire: germogli misti

Procedimento:
In una ciotola mettete la mollica del pane in cassetta setacciata, il cacao, il timo appena tritato e miscelate il tutto fino a renderlo omogeneo. Disponete le alici pulite e aperte a libro su un vassoio con la pancia rivolta verso l’alto, cospargetele con un po’ di fecola di patate, giratele e ripetete l’operazione dall’altro lato, poi lasciatele riposare per cinque minuti, fin quando non vedrete che la fecola è stata assorbita dai liquidi delle alici; a questo punto avete ottenuto un valido collante senza mettere farina, troppo lunga da cuocere e più pesante. Farcite un’alice con un filetto di mozzarella e uno di peperoncino, poi copritela con una seconda alice, accoppiandole fra loro. Passate, quindi, le alici farcite nell’uovo battuto, poi nella panatura al cacao, facendo attenzione a non far penetrare il pane all’interno dei pesci, quindi disponetele di nuovo su un vassoio con la pancia rivolta verso l’alto. Poco prima di servire, scottate le alici in padella con l’olio caldo badando di non farle friggere (devono risultare croccanti fuori e morbide dentro). Servite accompagnando con un’insalatina di germogli.