L’Emilia Romagna ci riserva altre sorprese dal punto di vista eno-gastronomico e non solo: spostandoci da un luogo a un altro l’elenco delle specialità è lungo ed eterogeneo; decine di località, dalla costa ai picchi appenninici, hanno i loro sapori tipici ed esclusivi, ma quasi dappertutto un posto d'onore è riservato alle minestre: i manfrigul, i passatelli, gli strichetti, la zuppa di ranocchi e altre di carne o pesce, e poi gli strozzapreti, le lasagne, le pappardelle e i risotti nelle mille versioni e con i mille e più "tocchi segreti"; un’incredibile varietà di pietanze a base di stufati, costate e poi pesci, dolci e budini e soprattutto la buona, casareccia piadina! Vegetariana o ripiena di carne o formaggio, dolce o salata, spolverata di zucchero e odorosa di miele, è di certo “lei” che ha portato questa regione in giro per il mondo, si troverà infatti questo street food nostrano servito a New York, cosi come a Sidney oppure a Città del Capo.

Finiamo di esaltare questo prodotto e spostandoci ora verso l’appennino del modenese e dell’emiliano, c’è da chiedersi se fu il bel canto, l’eccelsa pittura o piuttosto la tenera e rosea polpa del prosciutto o l’inebriante aceto balsamico a rendere note queste zone. Dalle alte colline di Langhirano a quelle di Montechiarugolo, Fornovo e Corniglio, ai picchi impervi, agli orridi e alle gole che si aprono tra Fiumalbo e Vignola, Bozzano e Zola Predosa, tra le acque spumeggianti dei torrenti che pare si arrampichino sui costoni rocciosi, i boschi fittissimi di castagni e le valli erbose accovacciate tra un dirupo e l’altro, è un susseguirsi di profumi e aromi intensi che sprigionano dai pregiati cosciotti di maiale che qui, in montagna, riposano per la stagionatura, protetti esclusivamente da uno spesso strato di sale.

Cura, amore e sapienza hanno valso la denominazione di origine controllata all’intera produzione regionale, la passione e la serietà dei titolari di una serie di aziende consorziate e il fine palato dei gestori di ristoranti tipici favoriscono sani allevamenti, un'abbondante produzione e una qualità certificata da inconfondibili marchi di "nobiltà".

Il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, nati tra le pianure di Modena, Reggio Emilia e Parma, sono la miglior cornice che completa questo rapido quadro sulla produzione agricola più tipica dell’Emilia Romagna. Questi prodotti non hanno eguali e dire che sono conosciuti ovunque è indubbiamente riduttivo, infatti sono talmente conosciuti che anche solo le loro imitazioni o brutte copie sono famose in ogni dove. E già nel passato lo erano, in particolare il Parmigiano Reggiano le cui origini risalgono al Medioevo e vengono generalmente collocate attorno al XII secolo: viene decantato da Giovanni Boccaccio nel Decamerone e ciò dimostra che già nel 1200-1300 il formaggio aveva raggiunto la tipizzazione odierna e una fama nazionale, il che spinge anche a supporre che le sue origini risalgano a diversi secoli prima.

Ricordare lo zampone e il cotechino o la salama da sugo di Ferrara, annaffiati da un buon Lambrusco o da un vivace Trebbiano, serve ad arricchire quella che potremo definire una vera e propria “sinfonia di sapori" nella quale si inserisce, in un virtuosistico assolo, l’eccellente aceto balsamico naturale di Modena. La sua produzione, ad opera di una consorteria di piccole e selezionate aziende agricole, rende queste ultime "nobili" rispetto alle altre; derivato da puro mosto di uve di Trebbiano (e non da vino degenerato, come si tiene sempre a sottolineare), questo particolare aceto necessita di una preparazione laboriosa e meticolosa, locali adatti, botti selezionate per l’aromatizzazione e, soprattutto, una passione secolare che si tramanda da padre in figlio.

Anche in questo caso l’altissima qualità, che lo fa apprezzare in tutto il mondo, è frutto di un lavoro ancora oggi effettuato con metodi antichi e tradizionali: dieci anni per garantirne un ottimo invecchiamento; una rotazione costante e lenta delle botti e un'attenta scelta dei legni per il caratteristico aroma (ciliegio, castagno, rovere); una tempestiva opera di travaso e un delicato imbottigliamento in vetro con chiusura in sughero per completare un ciclo di lavoro che offra al mercato un alimento puro e inconfondibile, che sia di supporto alle terapie mediche, che arricchisca sontuose insalate o esalti e rallegri bocconcini di grana e succosi frutti di bosco, ovviamente non vi sono limiti all’uso che se ne può fare, come non vi sono limiti alla fantasia con cui vengono preparati e “inventati” nuovi prodotti, combinazioni di vecchie produzioni o rifacimenti di laboriosi dettami redatti su carta di epoca romana, sempre in una costante ricerca del prodotto nuovo e perfetto.

Scrivere un articolo sull’Emilia Romagna e sulla sua tradizione eno-gastronomica è assai riduttivo, quando su un solo alimento o su un solo vino nel corso della storia sono stati scritti interi libri, interi trattati, se non addirittura qualche enciclopedia, tuttavia ritengo che il modo migliore per poter comprendere quanto finora detto è quello di farsi un bel giro in una terra che da sempre è accogliente con ogni tipo di visitatore. Le strutture in loco ci sono, sono ben organizzate, e soprattutto se si proviene da molto lontano, non serve parlare una lingua comune, serve solo saper apprezzare un comune gaudio di arte culinaria e vinicola.