Parliamo oggi di un non mai abbastanza celebrato autore torinese e del suo esotismo fantastico, quello dei viaggi intorno al mondo, tra giungle e oceani, ma anche tra i fornelli creati dalla sua incredibile fantasia.

Nelle taverne dei suoi romanzi, i personaggi, forse già soggetti a luoghi comuni, si confrontano anche con nuove cucine e ingredienti curiosi. Sono luoghi in cui le buone maniere non sono mai state ben viste e, anzi, non era insolito che i suoi personaggi si offendessero se apostrofati con un milord. Succede al pur signorile Yanez alla Taverna Cinese ne I pirati della Malesia pubblicato nel 1896.

“- …
- Monsieur?... Señor!...
- Appiccati. Che pranzo è questo?
- Cinese, señor, cinese come la trattoria”.

Ma pur mancando la gentilezza nei modi e la cortesia torinese di quelle conversazioni borghesi, lo spirito piratesco, così incline alla scoperta e alla sfida dell’ignoto, rileva tutta la sua colta ansia di conoscenza e non blocca le mandibole neppure di fronte a piatti tanto lontani dai ravioli del proprio cortile.

“- E tu vuoi farmi mangiare alla cinese! Cosa sono queste bestioline che si muovono?
- Gamberi del Sarawak ubriacati.
- Vivi?
- …
- Cucina cinese, monsieur.
- E questo arrosto?
- Cane giovane, señor.
- …
- E questo stufato?
- È gatto, señor.
- Tuoni e fulmini! Un gatto!
- Un boccone da mandarino, sir.
- E questa frittura?
- Topi fritti nel burro. Cucina cinese, señor.
- …

Corpo d'un cannone! Gamberi ubriachi, frittura di topi, cane arrosto e gatto in stufato per pranzo! Se mio fratello fosse qui riderebbe tanto da scoppiare”.

“Orsù, non bisogna essere schifiltosi. Se i cinesi mangiano questa roba, può mangiarla anche un bianco. Animo, portoghese mio!”

Quindi, in un boccone solo, Janez digerisce l’idea di due cucine, quella etnica e quella internazionale. È proprio per via della capacità di adattamento gastronomico corsaro, sicuramente aiutato dai richiami della fame non meno che da quelli delle sirene nei mari della Malesia e del Caribe, che sobbolle il minestrone tra le abitudini europee e gli ingredienti esotici, imbibendo le due vie che conducono alla cucina internazionale che, ovunque nel mondo, utilizza gli stessi ingredienti (e quindi piace a tutto il mondo) e alla cucina etnica e migrante che, in ogni parte del mondo, porta con sé l’intensità del proprio.

Emilio Salgari (Verona, 1862 – Torino, 1911). Genuino alfiere del romanzo avventuroso, ricordato soprattutto per essere l’ideatore di Sandokan, nasce a Verona da madre veneziana e padre veronese e nel 1894 si stabilisce con la famiglia a Torino. Condizioni di vita precarie, il difficile stato di salute dell’amatissima moglie Ida e le continue difficoltà economiche lo spinsero, dopo innumerevoli tormenti, a togliersi la vita. Compie un unico viaggio di tre mesi in Adriatico: in compenso, nei suoi fantasiosi itinerari, raccolti in una nutritissima produzione di romanzi e novelle, egli porterà il lettore in giro per il mondo, sulle piste di avventure d'ogni genere.