Quanti grandi paesaggi ci sono in Sicilia? C’è da perdersi tra Palermo e la Conca d’oro, Catania e l’Etna, Ragusa e gli Iblei, i feudi dell’interno, Agrigento e la Valle dei Templi, le spiagge di Taormina, le saline scintillanti. Tra mandorli, agrumi fragranti, viti generose, carrubi, gelsomini, d’india, zolfo, sale, lava. Contrasti inimmaginabili in altre regioni. Grandi scenari, avvincenti e veri, dove tutto sembra perdere importanza e diventare un dettaglio apparentemente insignificante.

Invece ogni frammento aiuta a capire briciole di storia, tradizioni e schegge di notorietà. Come il paesaggio collinare dell’estremità occidentale dell’isola, nel trapanese, dove si trova una dei distretti vinicoli più floridi del nostro Paese.

Arrivati a Marsala, infatti, basta guardare in giro per capire che per il borgo marinaro l’etichetta Città del Vino è perfettamente calzante, e che l’affinità tra la città siciliana e il suo particolarissimo vino è completa e profonda. Ma per Marsala è appropriata, nella sua accezione migliore, anche un’altra definizione, quella di porto di mare giacché la sua è in definitiva la storia di un via vai millenario e senza sosta d’arrivi, partenze e sbarchi, alcuni dei quali illustri e certamente di gran valore.

Il più importante di tutti fu certamente quello di Garibaldi e dei suoi Mille nel 1860. Ma ancor prima ce ne fu un altro fondamentale per la sua valenza commerciale, nel 1773, dell’inglese John Woodhouse. Il quale, arrivato casualmente nella zona, fiutò le enormi potenzialità del vino prodotto nell’agro marsalese, che inserì di buon grado nel suo listino merci poiché, a fronte dell’alto livello qualitativo e dell’elevato gradimento, aveva anche l’indiscutibile pregio di costare meno dei suoi concorrenti più affermati quali Malaga, Porto e Sherry.

Intuito, abilità, fortuna del commerciante inglese contribuirono in seguito a portare alla ribalta il vino Marsala e, come sovente accade, la notorietà crescente favorì ulteriori investimenti finalizzati sia all’aumento della produzione sia alla creazione di strutture utili a favorirne il commercio. E fu ancora merito di un altro inglese, Benjamin Ingham, che a sua volta poteva contare su una notevole flotta e una fitta rete commerciale che avevano già fatto la fortuna di tanti altri prodotti, se il mercato del Marsala si allargò ulteriormente e varcò i confini del Regno Unito. Bisognerà attendere fino al 1833 per vedere una iniziativa italiana, impostata e voluta da Vincenzo Florio, che con determinazione s’intromise nel florido commercio targato Union Jack e riuscì nell’arco di una ventina d’anni a ribaltare la situazione, riuscendo addirittura ad acquistare i marchi commerciali dagli inglesi.

Dalla fine dell’Ottocento, periodo nel quale nel distretto operavano a pieno ritmo più di un centinaio d’aziende vinicole, e per circa mezzo secolo a seguire, il vino Marsala conobbe così la sua stagione d’oro e proprio per tutelarlo, precorrendo una pratica che in seguito s’impose in tutta Italia, nel 1931 fu emanata una legge che provvedeva a delimitare la zona di produzione. Poi un incredibile e inesorabile declino, iniziato con le inevitabili difficoltà dovute al periodo bellico e accentuate in seguito dagli effetti negativi di una legge che nel 1950, con l’intenzione di ridare fiato al prodotto, dava spazio ai Marsala speciali, cioè addizionati a varie sostanze aromatiche.

Solo nel 1984 una nuova normativa cercava di rimettere le cose a posto. Ma fu anche grazie ad altri fattori, come la costituzione del Consorzio per la Tutela del Vino Marsala DOC che avvio un ampio movimento di crescita, d’innovazione e di ricerca di qualità, se il più importante vino liquoroso del nostro Paese è riuscito a risalire almeno in parte la china e a recuperare il meritato apprezzamento conquistando nuovi estimatori. Ancor oggi le aziende vinicole caratterizzano esteticamente e funzionalmente la città e i suoi immediati dintorni, realizzando una sorta di parco a tema dedicato al lento scorrere del tempo, alla sapienza e alla pazienza, applicate alla produzione vinicola. Le strutture denominate bagli sono edifici dissimili per dimensioni, storia, età, tuttavia però ugualmente importanti, particolari, quasi solenni, generalmente delimitati da alte mura che celano un ampio cortile interno e proteggono le spaziose cantine ad alte volte, dove, in lunghe file di botti sovrapposte, immerse in un’atmosfera quasi surreale e avvolte da un seducente aroma di spezie, cuoio, tabacco e salmastro, si affina il vino.

Utilizzando uve a bacca bianca (grillo, catarratto, inzolia e damaschino) e a bacca rossa (pignatello, nerello mascalese e nero d’Avola) con metodi di lavorazione differenti, che lasciano spazio ad alcune varianti della casa come l’aggiunta ai mosti base o ai vini o alle loro miscele d’alcol etilico, d’acquavite, di vino, di mosto cotto o di mistelle – sono prodotte, oltre ad alcune vecchie denominazioni tuttora in uso, almeno 45 varietà di Marsala doc. Infatti, in base all’invecchiamento e al relativo grado alcolico si ottengono il Fine, il Superiore, il Riserva, il Vergine o Soleras e lo Stravecchio, che a loro volta si differenziano per tre diversi livelli di colore e altrettanti di concentrazione zuccherina.

Quindi un’etichetta da non sottovalutare, per decifrare un gran vino che s’impone per ricchezza cromatica grazie alle sue mille sfumature, luminose e intense, oro, ambra rubino; per varietà aromatica, con eleganti, quasi balsamici, ricchi e morbidi profumi che riprendono note d’erbe selvatiche, frutta secca, zagara e gelsomino; per un bouquet di sapori ampio, inebriante e avvolgente, a volte secco e asciutto, proprio come talvolta è questo paesaggio meraviglioso.