Bulimico voyeurismo. Potremmo definirla così la spirale nella quale siamo finiti in fatto di cibo e vino negli ultimi vent’anni, perdendoci un po’ il senso del gusto. E forse anche la consapevolezza del gesto che accompagna il mangiare e il bere.

Il racconto sempre più visivo ha esaltato i virtuosismi culinari, ma ci siamo persi l’esperienza diretta; la narrazione del mangiare e del bere ha sì portato a un più vasto pubblico i concetti dell’etica alimentare, della salute e della biodiversità ad essa legate, ma ha spesso generato mistificazioni e, nel tentativo anche lodevole di ribadire questi concetti per favorire un approccio più ecologico al mondo agroalimentare, ha finito per svuotare di pregnanza il linguaggio del cibo e del vino.

Come sempre accade, dopo la scintilla innovativa servono forze in grado di tenere la barra. Ogni tanto la barra è sfuggita di mano. Rintracciare la liturgia della tavola e del convivio, che chiedono sincerità, silenzio, ascolto e conoscenza; non affidarsi più solo al sapere astratto o ai piaceri della gola per pochi confondendo eccellenza con élite; superare l’idea del cibo e dell’agricoltura come spettacolo per affidarsi a una gastronomia calata nel reale; tornare cioè alla cultura materiale di veronelliana memoria è l’obiettivo dell’Alta Scuola Italiana di Gastronomia Luigi Veronelli, nata nel 2018, che accoglie e rilancia la sfida, come dichiara Andrea Bonini, ideatore e coordinatore: «Riteniamo urgente proporre una gastronomia che sia un’indagine sul mondo a partire dagli atti alimentari, cioè dall’essere umano che raccoglie, coltiva, alleva, trasforma, cucina, beve e mangia. L’opera e il pensiero di Luigi Veronelli appaiono, in questo senso, fondamentali e straordinariamente anticipatori e costituiscono le fondamenta del percorso intellettuale che l’Alta Scuola Italiana di Gastronomia Luigi Veronelli ha intrapreso».

La scuola, che annovera nomi di prestigio tra i docenti e un comitato scientifico d’eccellenza presieduto dallo storico dell’alimentazione Alberto Capatti, punta sulla relazione tra docenti e corsisti con un approccio di tutoraggio stile anglosassone. Il primo corso che si avvia il prossimo maggio s’intitola Camminare le vigne, espressione di Veronelli, grammaticalmente scorretta, «un controsenso da lui usato per attirare l’attenzione su un altro modo di pensare», precisa Capatti. Dura un semestre e approfondisce le produzioni vitivinicole italiane mettendone in luce sia l’appartenenza a un sistema alimentare che comprende la cucina e i giacimenti gastronomici, sia le connessioni con il mondo dell’arte, del design, della cultura.

Un’interdisciplinarietà incarnata dalla sede: la Fondazione Giorgio Cini, partner del progetto, sull’isola di San Giorgio a Venezia. Un luogo di estraneamento capace di unire – come nella visione veronelliana - bellezza, storia, architettura, cultura del paesaggio: «Camminare la Terra in un museo su questa isola è il modo migliore per omaggiare spazio cognitivo e spazio materiale, per far incontrare i linguaggi e farne nascere uno nuovo», commenta Capatti. Una cornice umanistica ideale per i corsi residenziali destinati a operatori dei settori dell’agro-alimentare e del turismo, ma volendo anche gli appassionati non professionisti possono avvicinarsi. A tutti, più che nozioni, sarà data metodologia. La domanda però è: ma non ce ne sono già abbastanza di scuole e corsi?

In effetti alla spettacolarizzazione di cui sopra, che ora ha esaurito la sua funzione storica ma che ha contribuito a rendere di nuovo attraenti certe “povere” professioni, si è affiancata una fioritura di scuole, università, corsi. In queste si sono formate le nuove generazioni di agricoltori, vignaioli, ristoratori, distributori, artigiani divenuti operatori specializzati, dotati di competenze produttive, commerciali, di marketing e comunicazione. In questo percorso si è però spesso smarrito ciò che è intrinseco all’enogastronomia: la cultura.

Da qui riparte l’Alta scuola, in nome di ciò che sin dal 1986 stava più a cuore di Luigi Veronelli, convinto fin da allora che le eccellenze di vino e cibo parlino la lingua della cultura, l’unica in grado di dare un futuro al paesaggio e a chi lo abita. In questa direzione si è impegnato, spingendo lo sguardo oltre perché per innovare “serve vedere ciò che non si vede”. E Veronelli, scomparso 15 anni fa, un visionario lo era.

Filosofo, giornalista, scrittore, editore, gastronomo italiano, è stato un antesignano delle battaglie per la preservazione delle biodiversità, ha lasciato eredità concrete come la creazione delle De.Co. (Denominazioni Comunali), ha indicato nei produttori al dettaglio gli interlocutori nodali per tenere insieme cultura teorica e cultura materiale; ha ingaggiato lotte a colpi di pensieri scomodi come quella per il “prezzo sorgente” (dichiarare nella carta dei vini dei ristoranti il prezzo di acquisto dal produttore); ha sempre guardato al futuro e quindi alle nuove generazioni, tanto che a 77 anni, un anno prima della sua morte, sfidando il mondo dell’enologia ha dato vita a Critical Wine, fiera alternativa del vino: più di 150 vignaioli - blasonati e no – riuniti al Leoncavallo, storico centro sociale autogestito simbolo di impegno della Milano “dal basso”. Eredità raccolta dai giovani agricoltori periurbani di Milano che, in nome di quell’esperienza, dal 2005 organizzano La Terra Trema al Leoncavallo fiera enogastronomica riconosciuta in Italia ed Europa, realizzata in autogestione, senza sponsor, né patrocini, con un centinaio di vignaioli, prodotti della terra, incontri, dibattiti, musica e cene a filiera corta.

Tra le eredità lasciate da Veronelli c’è poi la primogenita e longeva associazione Seminario permanente Luigi Veronelli. Fondata nel 1986, ancora vive e persegue l’obiettivo “di promuovere la cultura del vino e degli alimenti attraverso lo studio delle produzioni agroalimentari di qualità, la formazione e l’informazione di professionisti e consumatori, la comunicazione delle eccellenze gastronomiche italiane. Tutto caratterizzato da una visione che, partendo dalla degustazione e dall’analisi sensoriale dei prodotti, valorizzi e approfondisca i saperi tecnico-scientifici dei processi produttivi assieme al portato culturale, alle relazioni con i territori e le comunità […] per dare voce a quelle parti dell’agricoltura e della ristorazione d’Italia capaci d’essere contemporaneamente contadine e colte, scientifiche e sensibili, responsabili, inclusive e leader per qualità delle produzioni”.

Sembra pensato oggi, anziché 33 anni fa. Veronelli aveva visto ciò che non si vedeva e così ha innovato imboccando una strada «contromano, dicendo sempre quel che pensava e quando questo è diventato difficile ha fondato la sua casa editrice per continuare a dire quello che voleva lui, come voleva lui», ricorda la figlia di Luigi, Chiara Veronelli, membro della faculty dell’Alta Scuola, progetto che ritiene molto somigliante a suo padre: «gli piacerebbe tantissimo perché va “controsenso” e a me sembra davvero il compimento del suo pensiero perché si fonda sui capisaldi del Seminario permanente e aderisce al suo modo di affrontare le questioni: determinato ma capace di attendere dietro le quinte quando necessario. Come il vino. D’altra parte sul portone di casa di papà è incisa questa frase: Qui bene latet bene vivit (Chi ben si nasconde meglio vive, ndr)».

E dunque le ragioni di questa nuova scuola originano dal pensiero fondante di Veronelli, riproposto oggi come uno degli antidoti alla bulimia voyeristica, per ricentrare la barra e sperimentare dal vivo e con i sensi che, come diceva l’anarco-enologo, il vino è il canto della terra verso il cielo. E anche il cibo.