È noto come già nella prima metà del secolo scorso alcuni dietologhi stranieri, approdati in Italia, iniziassero a raccomandare, anche a fini salutistici, la cosiddetta dieta mediterranea – oggi riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità - basata su pane, olio e vino.

La Toscana l’ha declinata secondo le sue tradizioni di storia, cultura e gusto: con il pane toscano (rigorosamente sciapo, perché spesso accompagnato dai salumi) d’inverno si fa la ribollita e la pappa col pomodoro; d’estate il pammolle e la panzanella. Fra i primi piatti spiccano i crostini, i crostoni, la fettunta: per dessert Lorenzo il Magnifico avrebbe raccomandato i confortini, biscottini cui aveva dedicato una “canzona”. La canzona dei biscottini; da recitare nelle cene della lieta brigata, perché il maneggio dell’impasto, fatto da procaci donne, ricordava ai gaudenti un che di sessuale. Del resto, aveva scritto uno di loro, il Pulci nel Morgante, il loro anfitrione sapeva bene come “tener unta la gola dei suoi amici”.

I biscottini di Lorenzo riportano a quelli di Prato (la famosa “mattonella”) da gustare col vin santo; il cui nome, a quanto tramandato, risale al 1439 quando in Firenze venne celebrato il concilio ecumenico. Venne servito un vino dolce, derivato dalle uve passite: ma è vino di Xantos, esclamò il cardinal Bessarione, pensando all’isola greca. No, è roba nostra! Da allora fu vin santo, anche tenendo conto del fatto che fu presto adoperato per la santa messa.

L’olio in Toscana è basilare condimento per le verdure e i legumi; inoltre è usato per la gran parte dei fondi di cottura. Per i vini toscani non c’è che da scegliere. Sono tanti e famosi, da quelli più antichi ai più recenti. Ma basterà qualche citazione dal ditirambo Bacco in Toscana del naturalista e letterato Francesco Redi (1626-1698) per ricordarne l’origine antica e popolare: “Io di Pescia il Buriano,/ il Trebbiano, il Colombano/ mi tracanno a piena mano./ Egli è il vero oro potabile,/ che mandar suole in esilio/ ogni male irrimediabile”. Oppure: “Del buon Chianti il vin decrepito/ maestoso/ imperioso/ mi passeggia dentro il core,/ e ne scaccia senza strepito/ ogni affanno e ogni dolore”. Redi non voleva bevande sostitutive: “Chi la squallida Cervogia/ alle labbra mie congiunge,/presto muore, o rado giugne/ all’età vecchia e barbogia”.

Nel suo secolo si affermavano anche altre bevande, che faceva moda servire. Ma: “Non fia già che il cioccolatte/ v’adoprassi, ovvero il tè;/ medicine così fatte/ non saran giammai per me:/ beverei prima il veleno,/ che un bicchier che fosse pieno/ dell’amaro e reo caffè”. Viva il vino, quindi; viva Bacco in Toscana!

Si può anche uscire dalla dieta mediterranea con altri piatti tipicamente toscani: per esempio quelli della cucina povera, fatta con gli avanzi, di quella tradizionale, magari legata alle feste patronali cittadine o ad altre ricorrenze. Tutte manifatture culinarie composte in modo semplice: “con poco o nulla”, come si diceva un tempo. Comunque qualcosa che è sempre sostanziato, o almeno accompagnato, da pane, olio e vino.