Ofrenda la chiamano in Messico ed è l'oblazione, “l'offerta” appunto, che ogni famiglia provvede accuratamente a predisporre per i propri defunti in occasione del Dìa de los muertos. Si tratta di un altare casalingo, allestito nel rispetto di una rigorosa procedura che impone venga strutturato su più livelli (rimandi ai diversi piani della realtà visibile e oltremondana) e arricchito di tanti oggetti: candele, bicchieri, frutti o semi (simboli del fuoco, dell'acqua e della terra); l'intenso giallo-arancio dei fiori di chempasuchil, distribuiti a profusione anche lungo le strade e sulle tombe, perché con il loro intenso profumo siano da guida ai defunti che in questa notte speciale tornano alle proprie case e di cui l'ofrenda espone ritratti e fotografie; prelibatezze di ogni genere da condividere con i propri cari, vivi e non, persino all'interno dei cimiteri in un tripudio di musica e danze, dal pan de muertos (focaccia aromatizzata ai fiori d'arancio) ai tamales (involtini ripieni di carne), dal riso alla zucca; infine, immancabili, i calaveras, i celeberrimi teschi di zucchero, coloratissimi e scanzonati nei loro ghigni beffardi, espressioni di una semantica della morte che permea di sé addobbi e travestimenti, che mira a bandire ogni tristezza e a esorcizzare il timore attraverso il sorriso e l'ironia.

Tutt'altro il senso di mistero che, al contrario, aleggia nella fantomatica “notte delle streghe” dell'altra America, quella di Halloween, delle atmosfere lugubri e dei racconti di paura; quella dei mascheramenti macabri e spaventosi con i quali camuffarsi e sfuggire agli influssi malefici di spettri e demoni; delle zucche trasformate in grottesche lanterne a scongiurare le sgradite incursioni del leggendario Jack O'Lantern, losco figuro dell'immaginario anglosassone, condannato a scontare in un perenne inquieto vagare le astuzie che gli avevano consentito di ingannare ripetutamente il Diavolo, tanto da essersi poi visto negare persino l'accesso agli Inferi; quella dei banchetti a base di fave e granoturco, mele candite e nocciole, pumkin pie (l'universalmente nota base di pasta frolla riempita di crema di zucca aromatizzata con cannella, zenzero, chiodi di garofano e noce moscata) e soul cake (tortina ricoperta di uvette e ciliegine candite).

Nella Sicilia raccontata da Andrea Camilleri, invece, nel giorno loro dedicato sono i defunti stessi a portare doni ai bambini che al risveglio si lanciano alla cerca delle ceste che la sera vengono sistemate vuote sotto i lettini e che gli spiriti durante la notte nascondono in giro per la casa, dopo averle riempite di golosità e giocattoli. Nessun fantasma che incuta paura, però, solo la vicinanza rassicurante di chi si è amato e il calore di un'autentica riunione di famiglia, suggellata dal consumo dei piatti della tradizione: pupazzi di zucchero, marzapane, frutta martorana (dolcetti di pasta di mandorle). Del resto, in molte regioni d'Italia è consuetudine lasciare la tavola imbandita per tutta la notte, così che i morti in visita possano ristorarsi: in Puglia si cucinano grano dei morti (specialità di grano tenero, vin cotto, noci e melagrana) e un particolare pane farcito di ricotta, tonno, alici salate e pepe; in Calabria si regalano ai poveri piccoli doni (fichi secchi, noci, castagne e pane) e le pietanze vengono lasciate sui davanzali delle finestre; in Sardegna si prepara la saba (sciroppo a base di mosto e zucchero).

Ritualità differenti, figlie di culture distanti tra loro, segnate da specifiche e altrettanto variegate abitudini gastronomiche; eppure, a partire dal periodo dell'anno in cui vengono messi in atto, tali sistemi cultuali finiscono col richiamarsi e col farsi eco tra loro dalle regioni opposte del globo proprio grazie alla presenza costante del cibo che, pur nell'estrema eterogeneità di ingredienti e ricette, di forme e sapori, veicola immagini e significati affini. Da sempre investito di un ruolo primario all'interno del complesso di pratiche attraverso cui l'uomo ha imparato nel corso del tempo ad articolare la propria risposta all'evento drammatico della morte, l'alimento devozionale ha sempre esercitato un potere simbolico molto forte, muovendosi su un piano che va ben oltre l'aspetto consolatorio e la piacevolezza dell'accostarsi a una mensa comune.

Ognissanti e Commemorazione dei defunti sono ricorrenze basilari per l'occidente cristiano. Rievocazioni dei martiri esistevano già nel IV secolo, ma nell'840 al momento della sua istituzionalizzazione la Festa delle reliquie dei Santi fu spostata dal 13 maggio al 1° novembre; dal canto suo, in Europa la fissazione del Culto dei morti al 2 novembre risale al 998, sebbene compaia ufficialmente nella liturgia solo nel XIV secolo in seguito alle enunciazioni definitive del Concilio di Trento in merito alla dottrina delle anime del Purgatorio, al cui suffragio sono appunto finalizzate le celebrazioni novembrine. L'intento era stato evidentemente quello di sradicare le preesistenti usanze pagane di ambiente rurale; di fatto, collocate nel delicato momento di passaggio tra le due principali stagioni agricole, le due solennità finirono per essere a tutti gli effetti inglobate nel calendario rituale contadino, generando un'inevitabile (e tutt'ora persistente) commistione di credenze, specie in relazione al ritorno dei morti e alla comunione alimentare con loro.

A dispetto dell'odierno carattere profano e consumistico, le origini di Halloween affondano nel Capodanno celtico, il Samhain, risalente al IV secolo a.C. Celebrato tra il 31 ottobre e il 1° novembre, esso segnava la fine dei raccolti e dei mesi di luce (il suo nome significava “fine dell'estate”), e nel buio dell'inverno dava inizio a un nuovo anno nel quadro di una società intimamente legata al lavoro della terra e ai cicli naturali; nelle ore magiche della transizione, cadevano le barriere tra i mondi e gli spiriti invadevano i villaggi; allora si accendevano fuochi per tenere lontani quelli malvagi e si lasciavano offerte di frutta intorno alle case per accogliere quelli graditi. Entrati in contatto con i Celti, i Romani identificarono Samhain con le festività da loro riservate ai propri morti, e ne conservarono traccia fino al suo incrociarsi col pensiero cristiano: non sono forse i Santi, vittoriosi sulla morte e rinati a vita nuova, come i chicchi di grano che scendono sotterra e si rigenerano a primavera? La stessa cosa avvenne più tardi con Halloween (variante scozzese di All-Hallows-Eve, “Vigilia di tutti gli spiriti sacri” prima, “Vigilia di Ognissanti” poi), di cui, peraltro, non esiste attestazione alcuna prima del 1556: a cos'altro si ispira l'usanza di bussare alle porte chiedendo cioccolato e caramelle, se non alla pratica medievale delle elemosine ottenute in cambio di preghiere a beneficio delle anime? cos'altro si cela dietro la velata minaccia di scherzose ritorsioni (trick...) in caso di mancata consegna dell'obolo richiesto (...or treat?), se non l'antica convinzione che le ombre di Samhain si sarebbero vendicate non trovando i doni loro destinati?

Anche nel Messico precolombiano (dove l'agricoltura stanziale si era imposta già a partire dal V millennio a.C.) gli atti di devozione verso i defunti avevano sempre manifestato una fortissima impronta agreste: i morti sepolti nel suolo ne risorgevano quali numi tutelari, vivificati da quella stessa incredibile energia che ciclicamente (non meno che misteriosamente!) dal silenzio e dall'oscurità - solo in apparenza infecondi - era in grado di trarre germogli nuovi. Fu su questo inestirpabile sostrato che andarono a innestarsi le cerimonie portate dagli Europei nel nuovo continente a partire dal XVI secolo; collocato nei consueti giorni di raccordo tra i mesi di ottobre e novembre nel nome di un'esplicita volontà di continuità con il passato, il Dia de los muertos che ne risultò si definì nel segno di un complesso sincretismo, capace di mescolare il folklore preispanico di matrice azteca con i riti cattolici appena importati.

La lunga storia delle civiltà insegna questo, che ovunque i ritmi della cultura si siano ritagliati sui ritmi della natura, tra la condivisione rituale di cibo e gli anniversari commemorativi dei morti si è sempre instaurato un legame simbiotico. La sapiente preparazione dei frutti che la terra abbondantemente regalava e il loro consumo comunitario nel tempo in cui al contrario essa tornava a essere brulla e fredda hanno a poco a poco insegnato all'uomo a cogliere nell'alternarsi dei cicli della propria esistenza la stessa insospettabile ricchezza custodita dall'alternarsi dei cicli dell'anno. Egli ha così imparato a coltivare la speranza, riscattandosi dalla precarietà e dal senso di finitezza che l'avevano sempre attanagliato; a cogliere i segni evidenti della “presenza” anche nella più silenziosa e angosciante assenza, inglobando persino lo scandalo della morte nel continuum di una vita nella quale tutto muta e si trasforma senza perdersi mai definitivamente.