Prima che al palato i suoi piatti arrivano al cuore perché quando si parla di cucina etica è come se in ogni pietanza si concretizzassero tanti concetti positivi: il rispetto per l’ambiente, la stagionalità, l’attenzione agli sprechi, la salubrità, la condivisione, la convivialità. Sono questi, in sintesi, gli obiettivi di Marzia Riva, personal chef, advisor e docente di cucina naturale per la quale ogni creazione culinaria non è un’opera d’arte fine a se stessa ma anche un modo per trasmettere una filosofia di vita.

Ha fatto “di necessità virtù” quando alcuni anni fa, per intolleranze alimentari, ha iniziato a condividere nel blog La Taverna degli Arna, le sue ricette dimostrando che, nonostante i necessari accorgimenti nella scelta di ingredienti compatibili con la propria salute, il gusto non viene affatto penalizzato. “Un cuoco ha una responsabilità importante. Attraverso il cibo può determinare la salute o meno di chi assaggia i suoi piatti. Fare emozionare, suscitare sensazioni che si tramuteranno in ricordi. A maggior ragione se i piatti saranno strutturati anche per il nostro vero fabbisogno, senza rinunciare all’appagamento. Per questo ho scelto una cucina etica, biologica, consapevole, sostenibile, sana e salutare. In poche parole: virtuosa”, spiega Marzia Riva che si è diplomata all'Accademia di Alta Cucina Joia Academy dello Chef Pietro Leemann.

Per lei cucinare è un modo di dimostrare attenzione e affetto a coloro che le sono accanto in quel momento e lo ha fatto anche in occasione del contest di Officine Buone che sta portando in diverse strutture ospedaliere italiane competenti chef che si sfidano sotto gli occhi – e il palato – dei pazienti che poi giudicheranno le loro creazioni. Collabora inoltre con nutrizionisti e medici specializzati in scienze dell’alimentazione per divulgare uno stile alimentare corretto ed equilibrato con seminari, corsi di cucina ed eventi e, in collaborazione con il biologo nutrizionista Ferdinando A. Giannone, ha dato vita al progetto Effemme, un format esperienziale finalizzato alla divulgazione di una cucina gourmet salutare, consapevole, bilanciata e basata sulla condivisione e socialità, con la profonda convinzione che il benessere passi necessariamente dalla buona tavola. Ne abbiamo parlato con lei, curiosando tra le sue esperienze e i suoi progetti.

Quando e come nasce il progetto di cucina La Taverna degli Arna?

La Taverna degli Arna è nata virtualmente circa sei anni fa. Da tempo gli amici mi spronavano a fare qualcosa nell’ambito della cucina, notando la mia forte passione, ma non li avevo mai seriamente ascoltati fino al momento in cui capii che avevo qualcosa da condividere e raccontare. Un brutto shock anafilattico, che scatenò una serie di allergie e intolleranze, mi ha incoraggiato ad aprire il blog per condividere le mie ricette, che erano i piatti che mangiavo e proponevo alla mia famiglia e ai parenti, per dimostrare e raccontare che si poteva mangiare bene e in modo appagante anche con limitazioni alimentari, dettate da una scelta o da motivi di salute. Da quel momento il mio approccio alla cucina è completamente cambiato ed è stato l’inizio di qualcosa di travolgente che mi ha portata ad aprire l’anno scorso un’attività come personal chef trasformando il blog in un progetto di divulgazione e cultura del cibo e creando un’attività professionale attraverso la quale mi propongo come cuoca a domicilio, catering, eventi e corsi di cucina, ma anche team building aziendali e attività di marketing per le aziende, in cui il cibo e l’alimentazione siano al centro.

Cucinare per gli altri è anche un modo di comunicare. Qual è la sensazione che più ama trasmettere attraverso le sue creazioni culinarie?

A mio parere il cibo è uno dei mezzi di comunicazione più potenti che abbiamo. Nutrire è un gesto carico di amore e di attenzione, di rispetto e responsabilità. La tavola ci mette tutti sullo stesso piano e ci permette di instaurare relazioni. Non a caso tutte le cose importanti le celebriamo a tavola, dalla vita pubblica e lavorativa a quella privata. Il cibo è per noi un legame profondo con noi stessi e con gli altri. È legato alla nostra evoluzione, alla cultura e tradizioni, ci identifica e ci caratterizza.

Quando cucino lo faccio con estremo rispetto. Lo sento vivo come un grande privilegio e responsabilità. Rispetto per la materia prima, che ho l’occasione di manipolare e rendere in qualche modo speciale, verso chi l’ha prodotta e verso chi la consumerà e mi ha scelta. Attraverso quel momento di soddisfazione del palato posso seminare la consapevolezza verso un cibo vero, sano e salutare, preparato con cura seguendo un principio etico, ecosostenibile, di scelta della materia prima biologica, stagionale e territoriale. Scelgo ingredienti la cui filiera segua un mio stesso principio di attenzione etica, non solo verso il prodotto ma anche l’impatto verso l’ambiente e verso le persone che collaborano alla realizzazione stessa. Amo poter trasmettere la gioia che provo in tutto questo.

Lei si lascia ispirare dalle ricette ma ama molto sperimentare. Le è mai capitato un esperimento mal riuscito al primo tentativo?

Sperimentare è un gioco di scoperta. Nutre profondamente la mia curiosità e stimola la mia creatività. Mi ritengo fortunata perché, anche grazie al continuo studio e alla collaborazione con persone competenti, la sperimentazione dà sempre dei bellissimi risultati. Si va ovviamente per tentativi e si migliora sempre. Non mi sento mai arrivata o completamente soddisfatta. Sarebbe presuntuoso pensare che al primo tentativo tutto sia già perfettamente riuscito. Qualche pasticcio ogni tanto mi capita e rende più divertente la vita in cucina. Come la volta che stavo realizzando un fermentato di anacardi e che, nell’aprire il vaso, è esploso in tutta la stanza.

In collaborazione con il biologo e nutrizionista Ferdinando A. Giannone ha dato vita a un altro importante progetto: Effemme. Di cosa si tratta?

Il progetto Effemme è nato circa un anno e mezzo fa con l’obiettivo di divulgare un’educazione alimentazione consapevole, sana e salutare ma che sia buona e appagante per vista e palato, basata sulla convivialità e aggregazione sociale. Inoltre ha lo scopo di educare e rendere libere le persone di poter scegliere, riconoscere e nutrirsi in maniera il più corretta. Cerchiamo di dimostrare come un piatto gourmet possa essere sano e salutare e ne sfruttiamo la complessità delle preparazioni, la bellezza estetica e l’appagamento di gusto per riportarlo a una dimensione facilmente alla portata di tutti e con il quale si possano trasmettere principi e nozioni. Attraverso momenti e format esperienziali, dall’aperitivo a delle vere e proprie cene gourmet oltre che i corsi di cucina più istituzionali, complice la convivialità della degustazione, informiamo e facciamo cultura del cibo da un punto di vista scientifico, storico, antropologico e sociale oltre che gastronomico. Trasmettiamo valori di responsabilità, sostenibilità ambientale e sociale, attenzione alla materia prima e alla salute. Inoltre, facciamo consulenza ai ristoratori e chef per l’ideazione di menù “plant based” e collaboriamo con le aziende per consulenze e divulgazione.

Il benessere psicofisico di ognuno dipende inevitabilmente da una sana alimentazione e uno dei suoi obiettivi è proprio la divulgazione di un regime alimentare consapevole e bilanciato, ma anche basato sulla condivisione e socialità. È difficile riuscire a trasmettere l’importanza di questo concetto? E soprattutto, riuscire a far mantenere con costanza queste buone abitudini?

Il grande lavoro di educazione alimentare verso un approccio consapevole è lungo e lento, ma allo stesso tempo molto costruttivo. Prendo le persone per la gola, facendo provare loro l’esperienza gastronomica come mezzo di divulgazione. Provare sulla propria pelle e sentirsi appagati ci aiuta ad aprirci a qualcosa di nuovo e incuriosirci. È sicuramente più immediato che se appreso da altre fonti. Certo non è semplice cercare di trasmettere determinati valori e ci vuole costanza, attenzione e dedizione per mantenerli vivi. Lo scoglio maggiore lo trovo durante le proposte per i catering dove l’attenzione al costo troppo spesso è più forte rispetto a determinate caratteristiche.

Lei è anche tra i concorrenti del talent Special Cook, contest di cucina indetto da Officine Buone che coinvolge diverse strutture ospedaliere italiane e i pazienti in qualità di assaggiatori e giudici. Come sta vivendo questa esperienza?

Avere il privilegio di fare un lavoro che si ama non ha prezzo e ritengo che tutti noi possiamo e dobbiamo fare qualcosa anche per gli altri. Dà un senso e completa la nostra vita. Vedere i sorrisi e l’entusiasmo delle persone, quando partecipo, mi riempie di gioia perché mi trasmette un grande valore e insegnamento. Sapere che sto facendo qualcosa di buono e utile è di grande stimolo. Officine Buone si prefigge di portare serenità, animare e allietare pomeriggi che sarebbero altrimenti anonimi in realtà difficili eppure incredibili, e allo stesso tempo fare sensibilizzazione su diversi temi alimentari lavorando con le strutture ospedaliere. Condivido pienamente questo progetto e, pur non credendo nella competizione, partecipo per un senso di condivisione perché sento e vedo le persone contente.