Il nome attuale è stato definito nel 1923, durante il fascismo, trova origine forse dalla pianta di sambuco, una volta presente nei dintorni come pianta spontanea, oppure dalla vecchia denominazione derivante dal castello arabo Zabut e dal suo costruttore l’emiro Al-Zabut, o ancor più pensando al passato nella forma latina del nome di uno strumento musicale usato nelle antiche colonie greche, ‘sambyke’, simile all’arpa, attualmente presente nello stemma comunale.

Le colonie greche di Selinunte e Agrigento lottano per un territorio chiamato Adranon, già nel IV secolo, ma il centro abitato del luogo chiamato Adranone, pur resistendo viene comunque definitivamente cancellato intorno al 250 a.C., per poi risorgere poco distante in un borgo rurale prima e nel castello dell’emiro arabo Al-Zabut in seguito, durante la dominazione araba (830 d.C.), che si definisce storicamente come periodo della fondazione di Sambuca di Sicilia, conosciuta al tempo appunto con il nome arabo Zabut.

Una popolazione islamica abita il luogo fino al 1225, quando deve arrendersi, dopo due anni di strenua resistenza, all’esercito imperiale di Federico II e nel 1863, il nome del comune raddoppia in Sambuca-Zabut, per poi diventare Sambuca di Sicilia con l’italianizzazione voluta dal regime fascista.

Il borgo ha un’anima multiculturale, non è, infatti, racchiusa nell’abitato, adagiato sopra il lago Arancio, che si vede da lontano. La sua storia comincia in alto, dal sito greco originario di Adranon, e poi continua sul colle dove gli arabi fondarono Zabut. Le stradine, le architetture arabe, poi le chiese barocche, i cortili e le scale di sapore catalano. Un misto di storia e di vicende che rendono il centro degno rappresentante della Sicilia intera.

Un caratteristico teatro ottocentesco arricchisce di cultura la presenza di edifici signorili lungo il corso, che si alternano a luoghi di culto, ed ecco che vediamo Palazzo Panitteri con la sede del museo archeologico, Palazzo Ciaccio in pietra arenaria, la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria con il suo magnifico apparato decorativo espressione dell’architettura barocca, esaltata da stucchi, statue allegoriche e stemmi di casati.

Poi ci sono le ‘purrere’, le cave di pietra della città antica fatta di camminamenti e antri svuotati nel corso dei secoli.

L’effetto scenografico della secentesca chiesa del Santuario del Carmine è accentuato dal fronte che si sviluppa su due ordini sovrapposti. Qui vi trovano le sepolture delle famiglie aristocratiche, abbellite da statue lignee e marmoree, qui risiede la storia ed il mito di un borgo dal passato variegato e vissuto in pieno, tanto da ritrovarlo anche nella pasticceria locale.

Racconta infatti la tradizione che, su commissione della Marchesa di Sambuca, desiderosa di rendere speciale il matrimonio del figlio nel 1725, una suora del locale convento inventò un dolce nuovo ispirandosi alle colline della zona, ma la forma molto simile anche alla mammella di una donna in un momento trasformò queste sode e compatte colline in ‘seni di vergine – minni di virgini’, ricordate anche nel celebre romanzo Il Gattopardo.

Minni di virgini

Ingredienti per un vassoio:

Per la pasta:
400 g di farina tipo 00
150 g di zucchero
150 g di strutto
un uovo latte una bustina di vanillina

Per il ripieno:
800 ml di latte
160 g di zucchero
130 g di amido per dolci
100 g di zuccata siciliana
80 g di cioccolato
polvere di cannella

Per la guarnitura:
200 g di zucchero
un albume d’uovo
palline di zucchero

Per la pasta: impastare la farina con lo zucchero, lo strutto tagliato a cubetti, l'uovo e la vanillina, aggiungendo latte fino a ottenere una pasta liscia e omogenea, ricoprire con un panno e lasciare a riposare per almeno un’ora.

Per il ripieno: versare in un pentolino e cuocere 700 ml di latte insieme allo zucchero e alla cannella in polvere. Versare l’amido in una ciotola e scioglierlo con il latte freddo rimasto. Unire il tutto nel pentolino e mescolare di continuo a fuoco lento. Controllare che la crema sia pronta e addensata, quindi metterla nella ciotola ed aggiungere il cioccolato in piccoli pezzi.

Preparazione: stendere l’impasto fino ad uno spessore di circa mezzo centimetro, fare poi dei dischi doppi, uno piccolo di circa 10 cm e uno grande di circa 15 cm fino a terminare l’impasto. Spalmare su ciascuno dei dischi piccoli uno strato di zuccata alto circa un centimetro. Ricoprire lo strato di zuccata con scaglie spesse di cioccolato e una dose alta e abbondante di crema. Mettere ancora sopra qualche altra scaglia di cioccolato, un altro pezzo di zuccata e, infine, una punta di crema. Coprire tutto con un disco più grande, chiudendo bene alla base di contatto dei due dischi, cercando di dare la forma di una mammella con il capezzolo in alto. Spennellare con l’albume e mettere in forno a 200 °C per 20 minuti. Raffreddare e spennellare con glassa di zucchero a velo e acqua, aggiungere sopra le palline di zucchero, lasciare asciugare e poi servire.