Fame

Ho fame
ho fame di vita
ho fame di tempo.

(Laura Castoldi)

Come può disegnare un autoritratto che parli di lei?

Mi considero una persona allegra e positiva, caparbia e volitiva, curiosa ed entusiasta della vita, credo molto nell’amicizia che coltivo con cura e dedizione, ma mi piace ritagliarmi dei momenti per stare in compagnia di me stessa, ho un forte senso materno e mi piace “prendermi cura” degli altri, adoro le parole, la lettura ma soprattutto la scrittura (non a caso nella mia prima vita ho scelto di fare la traduttrice e non l’interprete) che uso come strumento di introspezione profonda e che mi ha aiutato a superare tanti momenti difficili, amo viaggiare, confrontarmi con il nuovo e il diverso, sono anche una persona attiva e quindi lo sport e le attività all’aria aperta fanno parte della mia quotidianità, pratico quotidianamente la gratitudine.

Da dove scaturisce la passione per le lingue straniere e, di conseguenza, il suo mettersi grandemente in gioco per conoscerle, praticarle, introiettarle facendole diventare parti di sé?

La passione per le lingue straniere nasce dal desiderio di mettermi in comunicazione con l’altro e il diverso in modo diretto, senza dover ricorrere a un’intermediazione, inoltre ogni lingua ha le sue caratteristiche, ci sono quelle più sintetiche e quelle più elaborate, quelle più dirette e quelle più diplomatiche, senza dimenticare le diverse musicalità, tutti aspetti che mi hanno sempre affascinato.

E poi la malattia… forse come linguaggio altro? Linguaggio disarticolato, confuso, doloroso, strano… certamente nuovo e inaspettato. Il linguaggio del trauma?

Sicuramente un linguaggio insolito, che per essere compreso necessità che ci sintonizziamo su una lunghezza d’onda diversa (credo fermamente che il secondo tumore sia arrivato perché non avevo compreso al fondo il messaggio che voleva portarmi il primo), ma anche un linguaggio che scardina, che ti costringe a rimetterti in gioco, a rivedere valori e priorità, ma soprattutto a metterti a nudo e vederti per quello che sei e non per quello che hai creduto di essere, o che ti hanno fatto credere di essere.

Come è riuscita a tradurre dentro di sé questo inquietante, perturbante linguaggio del corpo tanto da addomesticarlo, da renderlo quasi familiare?

È stato un processo lungo, doloroso e faticoso perché è dovuto passare attraverso l’accettazione di un nuovo corpo (nel mio caso la parte mutilata è il seno, quindi profondamente legata alla mia femminilità) e la scoperta della vera Laura (la malattia ha fatto nascere in me il bisogno di intraprendere quello che è stato il viaggio più lungo, impegnativo e affascinante della mia vita, un percorso di 10 anni con una psicoterapeuta che mi ha permesso di liberarmi da schemi e stereotipi nei quali ero rimasta intrappolata e rischiavano di spegnermi giorno per giorno, facendomi credere di essere quello che non ero, facendomi accettare cose, persone, situazioni che minavano alla base le radici del mio essere), ma è stato anche un processo di grande soddisfazione, di presa di coscienza, di crescita personale e spirituale.

Un viaggio che è stato come una rinascita… e che forse ha permesso la folgorazione per la cucina, per la buona nutrizione. Cosa è successo?

In realtà la passione per la cucina è una cosa innata per me, la casa dei miei genitori è sempre stata aperta, c’è sempre stato un gran via vai di amici e parenti e a me è sempre piaciuto aiutare mia mamma ai fornelli, le magie che avvenivano nel forno con i lievitati mi hanno sempre affascinato e incuriosito, così come mi è sempre piaciuto impastare e sporcarmi le mani. Quando poi ho sperimentato su di me il potere di un certo tipo di cibo, imboccare questa strada è stata la scelta più naturale.

È iniziata una nuova formazione, un cammino nuovo e sorprendente.

Proprio così, un cammino che mi ha portato a scoprire nuovi ingredienti, a prendere in considerazione l’aspetto energetico del cibo, a imparare a giocare con i tagli delle verdure e gli stili di cottura, a creare contrasti di sapori, colori, consistenze, potremmo definirla una nuova forma di scrittura.

Straordinario come dalle diverse forme i contenuti acquisiscano significati differenti. E dalla passione per le lingue straniere alla passione per cucinare. La “lingua” è il personaggio principale comunque.

Credo che la cucina e le lingue abbiano in comune il fatto di essere strumenti di comunicazione, certo vanno a lavorare su livelli diversi, ma ti permettono di arrivare al cuore delle persone.

Ho usato spesso la parola “passione”, ma non mi viene da cercarne un’altra; forse è perché la passione di vivere fa parte di lei, si percepisce dalla forza vitale che irraggia a tutto tondo.

Direi che passione è proprio una parola che mi si addice, sono un’appassionata della vita, nel bene e nel male perché, come ho imparato studiando la macrobiotica, ogni cosa ha due facce e se non ci fossero gli aspetti negativi, non potremmo apprezzare nemmeno quelli positivi. Cambiare radicalmente modo di mangiare, “alleggerire” la mia alimentazione, mi ha anche permesso di fare emergere una parte più spirituale che era sommersa e oscurata dal “fare” e il fatto di sentirmi parte di un unico Infinito mi aiuta molto a superare quelle situazioni che magari al momento non riesco a decodificare, ma che assumono un loro significato inserite in un contesto più ampio, ho imparato a vivere quello che è oggi è quasi diventato uno slogan, ho imparato a lasciare andare e a seguire il flusso, ho imparato a non contrastare il cambiamento (certo, non sempre ci riesco, ma almeno ci provo!).

La funzione digestiva è anche metafora della funzione del pensare. Il pensare, infatti, è “addetto” a metabolizzare le pesantezze della realtà per renderle digeribili.

Esatto, e infatti anche quando le persone vengono in consulenza sottolineo sempre l’importanza di masticare: porre attenzione alla masticazione significa mangiare in modo più consapevole e anche vivere in modo più consapevole.

Certo riguarda l’assaporare la vita. Siamo appieno dentro il corpomente. I filosofi greci avevano naturalmente riconosciuto una coscienza incarnata, il respiro/anima incarnato nel diaframma, nel cuore, nel cervello… poi l’indirizzo prevalente della filosofia successiva ha dissociato il corpo dalla mente, creando anime belle, ma asettiche, lontane dai movimenti degli affetti… La sua esperienza, Laura, la sua passione sono la testimonianza di questo nostro essere un tutt’uno.

Proprio così! Purtroppo la mentalità occidentale tende a parcellizzare, scomporre, dividere e questo però porta a una visione per certi versi distorta della realtà, la cosa più affascinante dell’approccio che ho scelto al cibo, ma anche alla vita, è che cerca di conciliare la visione occidentale con quella orientale, si pone come un ponte per unire invece di dividere, e credo che questo sia un aspetto molto importante, soprattutto alla luce della situazione contingente che stiamo vivendo.

Il suo impegno, la sua attenta dedizione nel preparare e proporre cibi buoni, sostenibili, nutritivi e leggeri, mi fa pensare all’accudimento di una madre amorevole e devota. Una madre che si prende cura.

Esattamente! Come ho scritto all’inizio ho uno spiccato senso materno che va oltre l’accudimento dei miei figli e la mia nuova attività mi permette di esprimerlo al meglio. Cucinare può davvero diventare un atto d’amore, soprattutto se cucini con intenzione. La gente scoppia sempre a ridere quando dico di non cucinare quando si è nervosi, arrabbiati o svogliati perché tutto passa attraverso il cibo. Il fatto prendermi cura degli altri passa anche attraverso la mia attività di consulente olistico, quindi direi che non potevo trovare professione migliore per dar voce a quella che è una delle mie inclinazioni più forti.

Cosa vuol dire fare il consulente olistico?

Vorrei spiegare in cosa consiste la consulenza macrobiotica. Mi riferisco al progetto che ho chiamato “Food&Care” dove non mi limito a suggerire cosa mangiare o non mangiare. Accolgo la persona nella sua totalità, tenendo conto del suo stile di vita, abitudini, gusti, come richiede appunto un approccio olistico. Durante il tempo del colloquio, che è di circa un’ora e mezza, osservo il volto, le mani, la lingua di chi mi parla. In seguito spiego perché eliminare alcuni alimenti e privilegiarne altri. Suggerisco anche alcune pratiche esterne come pediluvi, impacchi o frizioni.

Tutto questo poi ha un riscontro di condivisione, per pensare assieme a come procedere… e nel progetto è previsto imparare a preparare i cibi o li posso cucinare io se inizialmente ci sono difficoltà.

Quanta bellezza e quanta bontà, mi fa venire una gran voglia di sperimentare questo accudimento così accurato, di assaggiare questo nutrimento buono anche perché così pensato e dedicato. Mi chiedo anche cosa succede dentro di lei quando si accinge a cucinare… È la quintessenza della sensorialità, dell’affettività primaria... Immagino un brulicare di sensazioni, pensieri, fantasie, immagini, colori e sapori.

Cucinare è un vero e proprio processo creativo che riguarda la scelta degli ingredienti e di conseguenza dei sapori e dei colori, a cui si aggiunge la scelta degli stili di cottura per creare consistenze diverse e che si conclude con l’assemblamento dei vari elementi fino a creare il piatto finale che è ben più della somma delle singole componenti.

Cucina, fantasia, creatività. Poesia del cucinare.

Cucinare è poesia e libertà, cucinare è partire da una ricetta e allontanarsi dalla strada tracciata per seguire l’ispirazione del momento o più banalmente per usare gli ingredienti che rischiano di andare a male in frigorifero, cucinare è osare accostamenti insoliti che a volte funzionano e altre no, ma da ogni esperienza si impara sempre qualcosa, cucinare è magia!

Ha scritto La mia cucina contro il cancro. Ce ne vuole parlare?

Certo! Questo libro è nato da una collaborazione con il mio insegnante e mentore Martin Halsey, la persona che mi ha seguito e supportato nel mio percorso di rinascita dopo la malattia e con il quale tuttora sto continuando a formarmi. Naturalmente c’è un capitolo che racconta la mia storia, perché è da lì che tutto è iniziato, ma l’aspetto secondo me davvero interessante e innovativo è che non si limita ad essere una semplice testimonianza. Questo libro, volutamente con un formato agile e la copertina morbida, vuole essere un manuale da portare sempre con sé, un supporto a cui attingere giorno per giorno, un accompagnamento per affrontare una situazione difficile e complessa come può essere una malattia degenerativa. In altre parole è il libro che mi sarebbe piaciuto avere quando io stessa mi sono trovata ad affrontare la malattia.

Ha trovato in Milano un supporto nell’accompagnarla nel suo percorso di rinascita?

Sì, come racconto anche nel libro il nome della Sana Gola mi è stato fatto da un’amica mentre, in piedi davanti a un cartellone su cui avevo abbozzato quella che oggi è la realtà dei Buoni Sani, provavo timidamente a dare voce al mio sogno. Ho iniziato la scuola per “uso personale”, per imparare a cucinare in un modo nuovo creando piatti che fossero buoni e appaganti, mai avrei pensato che sarebbe diventata una nuova professione, anzi la mia missione. Alla Sana Gola ho scoperto il mondo dell’energia del cibo, ma soprattutto grazie alle consulenze con Martin ho potuto sperimentare su me stessa l’effetto del cibo sul corpo e il suo potere rigenerante. Certo, la mia dedizione e il rigore con cui mi sono applicata mi hanno aiutato (Martin mi prende in giro dicendo che se mi avesse chiesto di alzarmi di notte e andare nel bosco a cercare dei vermi al chiaro di luna per mangiarli come rimedio, non avrei battuto ciglio e la mia unica domanda sarebbe stata “quanti devo prenderne?”), ma sicuramente ho trovato tante persone meravigliose che mi hanno preso per mano e accompagnato fino a diventare io stessa insegnante della scuola.

Abbiamo parlato della poesia del cucinare, ma non manca in Laura anche la poesia delle parole. Il corpo e la mente procedono dandosi la mano.

Il sapore della vita

La vita
sa di buono
anche quando
i sensi
dicono
il contrario
anche quando
il cuore
sussurra timido
che non è vero
pane caldo
di forno
erba fragrante
appena tagliata
nettare
di mandorlo
in fiore
pelle morbida
di neonato
salmastro
di mare increspato
d’inverno.

(Laura Castoldi)