Possiamo attribuire al cibo diversi valori, attraverso i quali raggiunge dimensioni di tale portata da oltrepassare la sfera economica, fino a occupare un sistema, secondo Lanternari, di natura etico-religiosa. Secondo la visione di Fischler, l’uomo, in quanto onnivoro, si trova tra due fuochi: da un lato il bisogno di variare la propria dieta, dall’altro l’imperativo di essere cauto, perché un cibo sconosciuto potenzialmente è pericoloso.

Allo stesso modo in cui un neologismo viene accolto in una lingua, così è per il cibo: ogni nuovo alimento va incorporato in un sistema vigente e fatto proprio, attraverso un processo che lo renda autoctono, locale, “genuino”. Capita di pensare che sia antico tutto ciò che mangiamo, ritenendo spesso la tecnologia una nemica della tradizione.

Un breve sguardo alle cosiddette piante di civiltà come insegna l’antropologia storica, può esser utile in questo contesto. L’alimentazione umana, infatti, tende ad essere “conservativa” nei prodotti, le tecniche e gli stili di consumo. Basti pensare al grano, in Europa e nel vicino Oriente, coltivato agli albori delle grandi civiltà euro-mediterranee, conosciuto dal 5000 A.C., alle patate delle Ande e al riso in Oriente. Grano, vite e olivo rappresentano una “triade” famosa che accompagna tutte le civiltà fino ad oggi. E’ anche vero che alcuni cibi sono maggiormente conservati e ancora in uso rispetto ad altri, come ad esempio il pane. Mentre altri sono stati dimenticati, come il garum dei Romani, altri accantonati, e altri, come il mais, una volta giunti in Europa hanno avuto un utilizzo ristretto relativamente alle potenzialità. Sorprende poi constatare che alimenti simbolo dell’italianità, come pasta al pomodoro e pizza, abbiano una storia molto recente, appena due secoli.

In realtà, le piante coltivate hanno sempre viaggiato, sin dalla rivoluzione neolitica ,accompagnate da un bagaglio millenario di conoscenze e tecniche. Nel Neolitico fu importantissima l’azione selettrice dell’uomo, che, da cacciatore, divenne allevatore e agricoltore. Un secondo momento cruciale di innovazione agro-alimentare fu il Medioevo, periodo in cui la presenza islamica in Occidente consegnò una serie di tecniche agricole e diffuse molti prodotti, come lo zucchero, originario dell’India. Il riso fu scoperto dai Musulmani in Mesopotamia e in Egitto e fu poi portato in Europa, dove fu coltivato soprattutto dagli Iberici.

Per quanto riguarda gli agrumi, i Romani conoscevano solo i cedri. Arancia amara e limone furono introdotti nel Medioevo dai Musulmani, insieme alla melanzana, proveniente dall’India e lo spinacio, originario del Nepal. Furono sempre gli Arabi a diffondere (e forse inventare) la pasta secca a partire dalla Sicilia. Il caffè, invece, diffusosi solo in età moderna, è un’eredità culinaria che i Turchi hanno ricevuto dalla cucina persiana e araba. Molti cibi inglesi di oggi hanno subito un’influenza chiara di piatti medievali arabi, portati dai Crociati, che nella loro permanenza in Oriente avevano “assunto” cuochi del luogo.

Con la scoperta dell’America, tutti gli scambi accelerano notevolmente. Perciò non abbiamo dovuto aspettare secoli per conoscere fichidindia, pomodori, peperoncini, zucche, fagioli, ananas e avocado. Che dire poi del cacao? Le cucine regionali si formano in epoca moderna, con un impianto sette-ottocentesco, come anche quella francese. Sostiene Pitte che le cucine mediterranee attuali non hanno molto di antico, se non pane, vino, olio d’oliva, cipolla e carne d’agnello.

Un tempo alcuni alimenti "status symbol" tra nobili e borghesi, come le spezie, erano presenti sulle ricche mense di varie aree europee, ed erano una merce “globale”, nel senso che uniformavano i gusti di quelle tavole, così distanti geograficamente. Oggi il globale si rifugge, prediligendo il “locale”, merce certamente altrettanto preziosa, che deve però esser promossa dalle politiche regionali e nazionali, come anche dai mass media, le cui operazioni di marketing non sono sempre a vantaggio di prodotti di qualità.

Secoli fa si accantonavano origano e basilico, prediligendo rare spezie orientali, ma il cibo "globale" oggi ha soppiantato il locale. Oggi è da considerarsi ricco chi coltiva nel suo orto maggiorana e alloro o basilico, perché sono queste le piante della nostra identità mediterranea. Avere la possibilità di dedicarsi alla preparazione del nostro cibo è oggi un lusso, perché porta a fare con le proprie mani ciò che sotto la scure della globalizzazione si trova nei preparati già pronti all’uso. Senza una buona conoscenza delle radici dell’alimentazione questo patrimonio potrebbe andare perduto.

Fonte: Alessandra Guinoni et al. , Saperi e Sapori del Mediterraneo, AM&D Ed. 2006.