Intervistiamo oggi la stilista di moda e gioielli Micaela Sollecito.

Come hai iniziato la tua avventura nel mondo della moda?

Ho studiato alla Scuola di Moda e Costume di Roma. E’ una scuola storica, e ai miei tempi non esisteva una cosa simile a Milano. Non avevamo un corso tecnico di costruzione del costume, ma alla fine diventavi stilista e non sarta, era un peccato. Una volta finita la scuola sono tornata in Liguria e ho trovato una sarta che lavorava per Valentino, insegnava a creare i modelli alle casalinghe. Volevo imparare anch'io, ma lei non mi accettò, dicendo che sarei potuta diventare una sua concorrente. Sono tornata a casa e ho cominciato a smontare i vestiti, facendo impazzire mia madre. Infatti ho imparato così, pensando in tridimensionale, smontando e pensando a come dovevo ricomporre un abito. Quindi non avendo una regola, riuscivo a “fare delle sparate” con un approccio davvero tanto diverso. Ho imparato da sola, lavorando sul manichino, poi ho scoperto che la mia tecnica aveva un nome francese “moulage”. Io mi muovo molto a istinto, prendo un modello base e poi comincio a scomporlo, a dividerlo, a modellarlo sulla carta. E’ un discorso più di ragionamento che di tecnica.

Come nasce un vestito? Parti sempre dal disegno oppure ti capita di cominciare dalla stoffa?

La stoffa è una cosa molto importante. Ad esempio, quando cambio città, prima di trovare un panettiere, vado a cercare un negozio di stoffe. Comincio a toccare, a osservare i tessuti, e se me lo permettono si crea un rapporto. A volte parto dal tessuto, altre comincio dal modello e dall'idea. Utilizzo tessuti d’arredamento per i vestiti oppure viceversa, realizzo cuscini con tessuti per abbigliamento. Ora voglio rifare una gonna plissettata che si chiama Le soleil, dove le pieghe creano un gioco con la parola. Per ottenere questo risultato utilizzo terital, una fibra tessile sintetica. Uso tutti i mezzi per arrivare a costruire il mio progetto.

Come ti vengono le idee?

Tutto può diventare uno spunto, ad esempio camminare per strada o fare cose normalissime. Spesso vado alla fiera Milano Unica due, dove vengono presentati tanti prodotti. Gli stilisti spesso fanno lì la ricerca dei materiali che poi entrano in produzione dopo un anno e mezzo. E’ un punto di partenza da dove provengono grandi ispirazioni perché si trovano tanti materiali nuovi e sperimentali. Non vado mai in giro per negozi, lì non trovo ispirazione perché il prodotto è già finito.

Segui le tendenze che propone il mercato della moda ogni stagione, oppure le tue creazioni non hanno limiti temporali?

Noto che la gente che vede i miei modelli di dieci anni fa li trova innovativi. Il gusto non ha un tempo. Qualche anno fa si usava uscire con i sandali d’inverno, adesso d’estate si mettono gli stivali. Mi viene da ridere, perché quella non è moda, è un discorso commerciale, si obbliga la gente a comprare per adeguarsi a un trend effimero. La moda invece è ricerca, è interpretazione, ma mi rendo conto che è difficile e non tutti ne sono capaci. Quando realizzo una gonna e te la consegno tu poi devi interpretarla rendendola unica. Mi piace che la gente diventi partecipe e creativa.

Come sono le donne che si vestono da te? Di che genere? Di che età?

Dai 17 fino a 90 anni. Mi trovo meglio con le donne che hanno personalità, il coraggio di non imitare e la sicurezza di proporsi. Quelle che hanno la possibilità di non seguire la moda ma di utilizzarla per esprimersi. Sono donne affascinanti che hanno personalità.

Come e dove ti si può trovare?

Nei modi più strani. Tramite conoscenze, oppure sui giornali, io mi muovo poco, sono molto concentrata su mio lavoro, sulla creatività. Forse se mi muovessi di più sarei più ricca ma vivo comunque bene del mio lavoro, è la mia vita.

Hai cambiato tante volte città, come ti trovi a Milano?

Milano, soprattutto dopo la mia esperienza lavorativa a Genova, è un paese dei balocchi. Forse è l’unica città dove se hai un sogno qualcosa accade, se ti dai da fare. Qui è tutto più facile, arrivavano tutti, in altri posti puoi lavorare tanto senza vedere mai risultati.

Come hai cominciato a disegnare gioielli?

Una volta con amici abbiamo deciso di creare dei piccoli ciondoli di vetro per venderli a una fiera di Genova. Sono andati a ruba, li abbiamo venduti per di più di 5 milioni di lire. Ci siamo ripagati di tutto e mi è sembrata una cosa molto interessante. Un giorno ho sognato la mia prima collezione, in cui non avrei usato colori, ma solo vetro abbinato al platino. Erano forme geometriche molto semplici, essenziali, si chiamavano Cioccolatini perché ricordavano un po' la stagnola che li avvolge. Subito dopo, per l’estate, ho pensato al vetro colorato e alla forma del cuore.

Come nascono e prendono forma i tuoi gioielli?

Prima di tutto vado in un laboratorio, gioco con i vetri, cerco la forma e faccio esperimenti, dopo avvio la produzione. Non essendo gioielliera, non ho mai utilizzato catene e perle. Il mio punto di partenza è la sartorialità. 17 anni fa, quando ho cominciato, non esisteva la moda di abbinare il tessuto al gioiello, l’ho inventato io. Nel mio caso la collana non è più la collana, ma diventa un accessorio. Ad esempio la serie di catene La lanosa è nata entrando nei negozi di lana e osservando i gomitoli, mi piacciono così tanto! Adoro le materie prime. Le stesse forme realizzate con materiali diversi danno un risultato diverso, dopo tocca alla gente scegliere.

Ci sono personaggi famosi che hanno indossato tuoi gioielli?

La prima in assoluto è stata Luciana Littizzetto, non so come, poi Maria Grazia Cucinotta che ha indossato i miei gioielli durante il Film festival sui diritti delle donne Siamo Pari. Anche la principessa Stefania di Monaco possiede una mia collana, l’ho saputo casualmente. Ma se una persona non mi piace, preferisco che non indossi i miei gioielli.

Hai lavorato anche in teatro, che tipo di collaborazioni erano?

Ho realizzato i costumi per uno spettacolo al Teatro Litta, Il sogno di una notte in mezza estate, basandomi solo sul periodo storico in cui era ambientato, per tutto il resto ho avuto carta bianca. Ho creato 50 costumi in un mese e mezzo, è stata un esperienza bellissima. Lavorare in teatro è la parte del mio lavoro che mi piace di più in assoluto perché non ha limiti.

Hai lavorato anche con stilisti di moda, raccontaci questa esperienza.

Anni fa Mimma Gini mi aveva chiesto di creare una linea per le donne di taglia forte. Ho parlato con molte donne "formose" chiedendo che cosa avrebbero voluto esprimere di se stesse e ho scoperto che tutte volevano valorizzare il decoltè.

Hai mai avuto un riscontro maschile su tuoi gioielli?

Agli uomini piacciono i miei gioielli e lo trovo strano perché non sono oggetti sensuali, ma sono adatti a donne di carattere. E stranamente succede che sono gli uomini a decidere di acquistarli per le loro donne, mogli, figlie. Forse perché storicamente il gioiello è sempre stato considerato un dono.

Che vantaggi ha il tuo lavoro?

Mi piace realizzare i sogni, mi sento un po' una fata quando posso far sentir bella una persona e tirar fuori le sue parti migliori: è come offrirle un dono. Non amo le persone che si modificano troppo perché non si accettano, non riesco a comprenderlo. La cosa più bella per me è l’espressione interiore che viene allo scoperto.