Qualche tempo fa ha avuto il periodo delle borse bucate. Non riusciva a smettere. Per la voglia di trasparenza. “Questo giochino di bucare la pelle. Fare una borsa per perdere tutto”. Dimitri Villoresi, fiorentino di San Niccolò, non è uno scriteriato. Magari su quella borsa per perdere tutto ci mette una targhetta con su scritto “prenotata”. Non la venderà mai perché farla è servito a lui, forse per perdere quel che andava perduto. “Se entra una persona che non mi piace, una mia borsa non gliela do”. Anche se non è bucata e quindi è una borsa per contenere tutto. Dimitri Villoresi, DV si fa chiamare e gli pare già troppo esibito, non è artificioso né assurdo, per lui agire così è naturale, gli assomiglia. “Questa è una bottega artigiana, qui si fa, non si vende”.

La preoccupazione di Veronique Montel, sua socia di vita, è che a sentirlo parlare si crei il terribile malinteso che le borse non siano mai in vendita. Non che lei sia meno romantica di lui, la loro bottega è piena di malia perché adottano cose, è il posto ideale per dare famiglia agli oggetti dimenticati: vecchie carte geografiche, farfalle, fiori, frutti, specchi, sgabelli, tessuti, porcellane. “Veronique si occupa di tutto quello di cui io non sono nemmeno a conoscenza, burocrazie comprese. Questo luogo c’è perché c’è lei” dice Dimitri, con una dolcezza risoluta. Il luogo è appartato, si sarà capito. A Firenze, in via dell’Ardiglione o d’Ardiglione, una stradina dall’andamento particolare dove non passa nessuno. “Ho scelto l’Oltrarno perché c’è una grande tradizione artigiana. La respirano tutti. E la via perché mi nascondo volentieri”. Nessun cartello, va da sé. Se ci fosse sarebbe: qui si fanno artigiani. “L’artigianato muore perché l’artigiano non insegna” spiega DV. E l’artigianato non deve morire, ne va di noi, da tutti i punti di vista. Made in China, vabbè. Made in Italy è la bellezza, detto senza spocchia. Perciò DV insegna, ha una bottega, appunto, e dei discepoli. Se il suo esempio fosse seguito, l’economia nazionale ci guadagnerebbe.

Ma lui da chi ha fatto l’apprendista? “Il mio maestro sono stato io. Mi sono ispirato a un giovane hippie che faceva borse al mare, una ventina d’anni fa, con quattro attrezzi: una fustella a mano, un trincetto industriale, ago e filo. La tradizione hippie è di fare le borse per la strada”. Elegantissimo, DV è vestito come i suoi spazi sono arredati: con indumenti di ogni provenienza miscelati con la sapienza di un figlio dei fiori contemporaneo. Veronique, che lavora da Emilio Pucci, di stile se ne intende ed è pure francese, lo ammira molto per quello chic tutto suo. “Insegnare è un arricchimento incredibile. Mi sento molto fortunato a dare la possibilità a un altro di sentire quello che sento io. Ogni volta è una ripartenza diversa. Creare un artigiano è la parte più gratificante per il mestiere di artigiano. La cosa più bella che può accadere insegnando il tuo mestiere è creare un artigiano più abile di te. Questa soddisfazione non ha eguali”.

La scuola Villoresi è per un pupillo alla volta: dodici lezioni in un mese, tre, quattro ore al pomeriggio, un giorno sì e un giorno no, orari flessibili. “Quando l’allievo esce sa fare quello che so fare io”. Al principio gli studenti erano stranieri, le giapponesi hanno una manualità eccezionale, o di altre regioni italiane, adesso ci sono anche tanti giovani di Firenze. Uno si chiama Emanuele, è del quartiere, sua madre non lo vedeva così felice da anni. “Ogni persona si pone con gli strumenti e i materiali in modo diverso. Io ‘abbandono’ i miei allievi. Con discrezione guardo, cerco di capire il blocco, il bivio. La scelta della strada ritenuta migliore è sempre interessante. Meno si parla e più si impara”. Che cosa insegna subito? “Sono fissato con i portachiavi. Offrono un milione di possibilità, c’è poco materiale, sono facili da vendere”.

Questa poi. Andate a lezione da Dimitri, gente, ma non fatevi insegnare gli affari.