La destrezza con la quale le sue dita maneggiano i gioielli è già uno spettacolo. Rapide nel mostrarli, rapide nel riporli perché un diamante da nove carati, una spilla decò di Cartier o un sautoir di Bulgari non si lasciano a lungo sul velluto, sotto gli occhi anch’essi scintillanti, e chissà quanto bramosi, del visitatore. Dita attente e insieme disinvolte perché quelle gemme le brillano intorno da quando bambina ne fu folgorata e le indicarono il futuro, riacciuffato dopo la scuola interpreti. Quanto mondo in quei gesti: quadri rinascimentali, italiani e fiamminghi, scarselle ben custodite, cavalli che galoppano nella notte, valigette, nascondigli e occhiali scuri, cappelli neri da tagliatori di pietre.

Una volta una giornalista disse che Patrizia di Carrobio è cinematografica. In effetti accomodarsi in poltrona a guardare le sue imprese è avvincente come un film ben congegnato dove potrebbero spuntare Marlene Dietrich avvolta dal fumo di una sigaretta, unghie appuntite e bracciale faraonico Van Cleef & Arpels di rubini, diamanti e platino, e Gary Cooper imbambolato dal desiderio. Il fatto centrale della sua carriera è da solo molto solleticante: negli anni Ottanta Patrizia di Carrobio è stata la prima banditrice d’asta donna del Jewelry Department di Christie’s a New York realizzando una vendita di trenta di milioni di dollari, la più sensazionale dell’epoca.

Aggiudicato: la signora è formidabile. Per risolutezza e competenza. Una competenza che le permette, lasciate le aste e fondata nel 1991 la sua impresa personale di commercio internazionale di pietre preziose e gioielli d’epoca nel Diamond District di Manhattan, la Patrizia Ferenczi inc. (il cognome magiaro che le arrivò da questioni private aggiunge un pizzico di mistero), di dissacrare i dogmi, a cominciare dalle fissazioni sulla purezza delle pietre. “L’oro non può essere puro e gli uomini non possono essere perfetti” dice un antico proverbio cinese che la di Carrobio cita. Comprate quelle che vi piacciono e infischiatevene se non sono impeccabili, questo il suo consiglio, tanto mica andate in giro con la lente d’ingrandimento, a patto, ovviamente di non farvi ingannare sul costo, e godetevi il monile per sentirvi luminose, per ricordare un amore, un’atmosfera tenendo bene in mente che come investimento è sempre discutibile a meno che non sia firmato da un gioielliere famosissimo. Diceva Coco Chanel, autorità in fatto di eleganza ed emancipazione femminile: “Un gioiello non serve a ostentare un conto in banca serve solo a far diventare più bella chi lo porta”. Libertà, insomma. Quella che la di Carrobio cerca per sé anche attraverso una schiettezza rara nelle relazioni umane, utile per non accumulare le scorie di risentimento ed equivoci che appesantiscono il cuore.

Nata a Montreal, vissuta a Bruxelles, Milano, Roma e Londra, da trent’anni abita a New York, viaggia molto per lavoro e per l’Italia, patria dei suoi genitori, che l’attrae irresistibilmente. Della Sicilia è innamorata: ritrova amicizie d’infanzia, luoghi evocativi e il mare degli dei. Segue l’intuito, con una fiducia profonda nella capacità umana di realizzare i sogni: “Non è stato tutto facile, specialmente quando dopo dodici anni ho lasciato Christie’s per mettermi in proprio: è un dato di fatto che a New York la maggioranza di commercianti di diamanti e pietre preziose è costituita da uomini che si tramandano il mestiere di padre in figlio, e che la maggioranza di questa maggioranza è formata da ebrei ortodossi. Le donne sono davvero pochissime e perlopiù i gioielli li disegnano anziché venderli. Io stessa, in quanto donna, non ebrea e prima della mia famiglia a svolgere questa attività ho dovuto faticare per vincere l’istintiva diffidenza che suscitavo e e per ritagliarmi il mio spazio”. Senza piagnistei, ma con molto impegno. E il destino era dalla sua parte.

Se infatti torniamo al “cinema” di Carrobio scopriamo che la nonna di Patrizia, Gabriella di Robilant detta Gab, morta quando la nipote aveva otto anni, andava matta per i gioielli che sfoggiava con gusto nella Parigi anni Venti muovendosi fra Picasso, Cocteau, Apollinaire, Chanel. Patrizia è sicura che sia stata lei a trasmetterle la passione per quel che luccica: “Sono convintissima che esistano delle forze - non saprei in che altro modo chiamarle - che operano sotto traccia, senza che noi ne siamo consapevoli, e che hanno una grande influenza sulla nostra personalità. Solo così si può giustificare la trasmissione di certe attitudini da parte di membri della famiglia con i quali non si è condivisa la quotidianità e che non hanno potuto influenzarci con il loro esempio, ma dei quali ci si ritrova a ripercorrere le tracce. A volte senza neppure saperlo”. Nonna Gab, che conobbe a Istanbul il marito Mario di Carrobio, figlio dell’ambasciatore italiano in Turchia, dal quale presto si separò, divideva l’appartamento parigino con Elsa Schiaparelli, la sarta rosa shocking che “dipinse” vestiti con Salvador Dalì, e, guidata da un gusto infallibile, si era inventata un mestiere che oggi chiameremo personal shopper ovvero svelava ai facoltosi turisti americani i suoi indirizzi segreti per trovare quanto di più chic e moderno ci fosse in giro. Che fosse una collana, un abito, un cappello.

Patrizia lo racconta nel libro Conoscere i gioielli. Come sceglierli e portarli pubblicato nel 2011 con Salani, dopo Diamanti. Una guida personale, Astrea, 2010. Una miniera, per rimanere in tema di pietre preziose, di notizie, suggerimenti, ricordi, storie come quella affascinante di quando trascorse tre giorni chiusa con un collega in caveau dell’allora Bombay a valutare i gioielli di un maharajah, alla luce delle torce, guardata a vista da dieci persone che non la fecero uscire nemmeno per mangiare: “Ci portarono dei sandwich dentro scatole di cartone insieme a litri e litri di tè in una strana ma non sorprendente commistione di India e Inghilterra. Si fidavano della nostra competenza, non della nostra onestà, evidentemente. In ogni caso non ho mai più visto in vita mia tanti gioielli non soltanto tutti in una volta ma anche così belli e preziosi”. Nel sottosuolo di Mumbai fra i forzieri traboccanti deve essersi sentita un po’come quando il Conte di Montecristo trovò il tesoro. Del resto lei, e pazienza se la Repubblica ha battuto la Monarchia, aveva il castello e la contea. Quindi dell’Edmond Dantès di Dumas è decisamente collega.