Nel 2005, a Salvador de Bahia, Luisa Leonardi Scomazzoni vede tra le bancarelle di un mercato una borsa prodotta nelle favelas da una brasiliana, Ivonete Oliviera dos Santos. È fatta con le linguette delle lattine raccolte dai catadores rovistando tra l'immondizia. Ne ordina 20 e le porta nel suo negozio di oggetti etnici e design a Riva del Garda. È un successo. Oggi Luisa Leonardi Scomazzoni, 47 anni, disegna e realizza collezioni di borse e accessori con il marchio Dalaleo: 100 modelli circa, presentati in diverse manifestazioni internazionali come Premiere Classe a Parigi, Premium a Berlino, White Trade Show a Milano, la fiera del Design a Londra, e distribuiti in oltre 120 boutique in tutto il mondo. Uno stile etnico-chic green e solidale, che affascina per l'alta qualità artigianale e l'originalità del materiale. E soprattutto inorgoglisce chi lo indossa perché rappresenta un oggetto unico e particolare che restituisce dignità a molte donne del Brasile.

Mariateresa Cerretelli: Cominciamo dall’inizio della tua storia che, dalle premesse, ha tutte le caratteristiche di un bel sogno realizzato.
Luisa Leonardi Scomazzoni: È vero. Tutto è nato in Brasile su una bancarella in un mercato di Salvator de Bahia. Vengo attirata da una borsa che mi piace molto e la compero subito. Faccio pochi passi... la guardo e... mi dico: "No, non posso crederci! Chi ha fatto questa borsa con le linguette delle lattine è un genio." Ne ordino alcune e le porto nel mio negozio a Riva del Garda in Italia. Dopo due anni presento una micro collezione a Premiere Classe a Parigi, dove credevo di non vendere un modello. E invece, dopo quattro giorni, torno a casa con 1250 borse da produrre. È una storia che non smetto mai di raccontare e che sorprende sempre, perché le persone non riescono a capire come un materiale destinato a essere buttato via possa rinascere e trasformarsi in un prodotto di altissima qualità.

MC: Dalle lattine alle collezioni. Come si sviluppa il tuo processo produttivo?
LLS: In Brasile i raccoglitori di lattine, i catadores, riempiono sacchi dalla mattina alla sera. Chi raccoglie le lattine è pagato un terzo del valore dell'alluminio. Per le borse servono le linguette delle lattine di birra. Sembrano tutte belle lucide quando le acquistiamo in capienti sacchi da 50 chili, ma è da lì invece che inizia il lavoro duro di selezione del materiale. Le linguette si devono lavare in grandi catini con acqua e prodotti detergenti per l'alluminio. E, il primo problema è l’acqua. Può capitare che un giorno si decida di lavare, ma non c’è acqua. Quando ci sarà? Non si sa. E si deve aspettare. E, se c’è necessità, bisogna prendere tutti i sacchi, cercare un taxi e andare in un’altra favela. Un vero dispendio di energie. L'asciugatura, inoltre, non deve avvenire al sole perché si formerebbero delle macchie. In seguito le scocche vanno bollite perché l'acqua calda restringe il filo e definisce la forma. Quando è tutto pronto, si consegnano i capi in mano alle donne brasiliane che lavorano a placche, non a borse finite. E questa è stata un’idea vincente.

MC: Come avviene la lavorazione in Brasile?
LLS: Il motore della macchina siamo io e Ivonete. Lei, la donna che mi ha venduto la prima borsa, è a capo di tutta la struttura e sotto la sua guida lavorano una ventina di donne fidelizzate: se ne aggiungono altre, fino ad arrivare a 70, quando lo esige la produzione. Una suora laica, alla quale ho chiesto consigli quando mi sono buttata in questa impresa con le idee molto confuse, mi ha chiarito tante cose. Non dimenticherò mai le sue parole. "Ricordati Leo" mi disse, "che queste persone con cui vuoi lavorare sono donne massacrate, sfruttate e tradite, e devi sempre pensare che appartengono a una popolazione che è uscita da pochi anni dalla schiavitù: ti vedranno sempre inconsciamente come una gringa, per quanto tu possa cercare di integrarti nella loro comunità. Ma, alla fine, quello che stai facendo è la cosa più giusta, perché stai insegnando e stai dando dignità a queste persone e alle loro capacità, e le sproni a lavorare". Da allora ho insegnato loro anche i procedimenti per preparare i pacchi o avvolgere le cinture. Devono imparare a dar valore a quello che fanno. Ivonete ha anche il compito di pagarle, ha il patentino di artigiana e collabora sia con donne in regola che con altre saltuarie.

MC: Memore dell’incontro con la suora laica, come sei riuscita a ottenere questa straordinaria lavorazione artigianale?
LLS: Durante una riunione a Salvador de Bahia davanti a tutte queste donne, ho preparato un discorso e mi sono espressa così: "Dovete immaginarvi che io sia una Ferrari - la conoscono tutte la Ferrari, è un mito molto ambito - e voi siete la mia benzina. Ricordatevi che se la benzina è buona come vi dico, con la ricetta che vi do io, la macchina va in giro per tutto il mondo, altrimenti rimane nel garage e non la vede nessuno. Non possiamo mirare al mercato internazionale con un prodotto da bancarella. Dobbiamo fare un salto di qualità. Perciò continuate a mettere dentro benzina perché io senza di voi non vado da nessuna parte. Io sono solamente il vostro mezzo, ho voglia di farlo, mi fa piacere, voglio essere il vostro megafono e raccontare a tutti la vostra storia".

MC: Dalaleo riesce a cambiare la vita di queste donne?
LLS: Ivonete è una scheggia, l’unica che fa le borse finite. Riesce a confezionare con filo e uncinetto otto borse al giorno. Senza imperfezioni, perché per me anche solo una linguetta a rovescio è un difetto. Tutti i pezzi devono arrivare perfetti dal Brasile, e lei è libera di muoversi come meglio crede, mi rendo conto che rompere un equilibrio sarebbe dannoso. Nelle favelas la vita non è facile. I nostri sacchi di linguette arrivano e a volte spariscono perché c’è chi li ruba per comperare il crac. Tra le nostre collaboratrici ci sono donne che non ho mai visto perché lavorano in uno stato di semiprigionia, hanno mariti che le chiudono in casa e sono costrette a lavorare di notte. Donne che lavorano per mettere i soldi da parte e scappare dai mariti. E anche se riescono a guadagnare non è sempre detto che riescano a cambiare la loro situazione sociale. In tanti mi chiedono se hanno migliorato la loro vita. Alcune sì, certo, altre sono sempre allo stesso livello. Io le metto nelle condizioni di poter cambiare, ma non succede sempre. Se alla fine del mese una vuole andare a comprarsi le scarpe con il tacco alto è liberissima di farlo. C’è invece quella che ha imparato il concetto del risparmio e pensa al futuro. All’inizio mi ero prefissata l’obiettivo di migliorare la vita di Ivonete, in modo che lei a sua volta potesse migliorarla a qualcuno che le stava vicino. Poi più tardi ho pensato di portare a lavorare con me in Italia la figlia di Ivonete, Jany, che oggi è la mia spalla.

MC: Come crei i tuoi modelli?
LLS: Non sono una stilista e mai avrei potuto immaginare che sarebbe successo tutto questo, ma ci tengo a dire che non mi sono mai vestita in modo canonico. Ho sempre avuto un gusto particolare. Non ho mai seguito la moda del momento. E sull’idea iniziale di Ivonete pian piano ho sviluppato la mia fantasia e creatività, seguendo anche suggerimenti di amici e clienti: ma prima di inserire un nuovo modello in catalogo deve piacere a me e deve essere in linea con Dalaleo. Studio attentamente anche la statura e la struttura delle persone per consigliare i modelli. Normalmente chi indossa questo prodotto non si ferma alla griffe o alla tendenza del momento.

MC: Non hai timore che qualcuno possa imitarti?
LLS: No, perché la mia forza è non avere copiato niente da nessuno. All’inizio m’infastidivo quando tentavano di copiarmi. Ora penso che chi copia sia uno stimolo per andare avanti. E mi fa sorridere, perché conosco le difficoltà da affrontare per ottenere un prodotto come questo. Io sono molto liberale e sono dell’idea che al mondo ci sia posto per tutti, l’importante è che ognuno costruisca in maniera onesta il proprio spazio. Io non sono andata a rompere equilibri o entrare in bolle che qualcuno aveva già creato. Tanti hanno cercato di rompere questo meccanismo. Ho registrato il mio marchio Dalaleo in Europa, in America, in Cina, Giappone, Hong Kong. Poi ho depositato alcuni modelli ornamentali. Chi ama Dalaleo segue Dalaleo. E se lavori con l’intento di fare solo business non funziona.

MC: Com'è organizzata la distribuzione?
LLS: E’ partita da un’esperienza che ho fatto nell’impresa edile di mio padre, dove vendevamo materia prima, calcestruzzo e ghiaia: uno dei miei compiti era curare la lista dei creditori e sollecitare i pagamenti. Odiavo quel lavoro. Quando ho intrapreso questa attività in Brasile, mio padre mi ha messo in guardia, per questo motivo, al momento dell'ordine in fiera chiedo il 30% di acconto e dopo un mese emetto la fattura finale: quando è stato effettuato il saldo la merce parte. Io sono digiuna di economia e finanza, ma pur non sapendo niente, devo far quadrare i conti per continuare.

MC: Ogni pezzo della collezione sembra curato come un piccolo capolavoro.
LLS: Per produrre una borsa ci vogliono circa 24 ore di lavoro e 2500 linguette, una cintura viene realizzata con circa 200 linguette. Ci vuole tempo e dedizione assoluta. Nel 2011 io e Jany abbiamo fatto uscire 10.000 pezzi. Lei fa il controllo qualità, io impacco e, come un rituale, accarezzo ogni capo, frutto di tante mani, di amore e passione. Abbiamo lanciato da poco lo store online per l’Italia e stiamo lavorando sulla versione inglese che sarà attivata a breve, anche se è un po’ contro la mia natura, perché non mi stuferò mai di narrare questa mia storia. Ho in cantiere anche il progetto di un libro su Dalaleo, non per farmi bella, ma per trasmettere il suo messaggio. Questo non è un prodotto asettico e senza energia. A Parigi presenteremo la linea Baby Leo, le stesse borse della mamma, ma in miniatura e colorate. Lancerò per la prima volta il filo colorato, che non ho mai voluto per la donna, perché ritengo che il filo naturale sia in assoluto quello vincente e che si accosti qualsiasi capo; inoltre è resistente. Per l’uomo sto pensando a cinture con la fibbia in fibra di carbonio.

MC: Pensi nel futuro di allargare la produzione e il tuo mercato ?
LLS: Parigi mi ha dato la possibilità di farmi conoscere in tutto il mondo. I negozianti hanno acquistato lì e la rete vendita si è formata in modo spontaneo, senza distributori e agenti. Devo sempre relazionarmi con quantitativi che poi dovrò essere in grado di produrre, la mia capacità produttiva è limitata e legata al prodotto artigianale, pertanto preferisco rimanere piccola, pulita, sana nei principi e non lasciarmi ingolosire da grandi cose. Ho già detto di no alla Coca Cola di Atlanta, un colosso che avrebbe la possibilità di risanare facilmente il mondo. A un’azienda belga che chiedeva tre miei modelli e un quantitativo pari a 100 mila borse da regalare ai clienti Business e First Class di una linea aerea ho risposto che ero molto lusingata della richiesta, ma anche offesa perché mi mettevano nelle condizioni di andare a produrre in Cina o in India, snaturando il mio prodotto e la filosofia di Dalaleo. Non ho mai paura perché sono dell’idea che se lavori in modo pulito e trasparente non può accaderti nulla di male e, se succedono contrattempi o dissapori, servono per crescere.

Dalaleo è stato scelto dalla guru dell’eco fashion Sass Brow come uno dei brand protagonisti del suo secondo libro ReFashioned, la nuova Bibbia dell’UpCycling, in uscita a settembre.

Per maggiori informazioni:
www.dalaleo.it