La tanto condannata vanità non è forse così malvagia perché ha il vantaggio di distrarre dai patimenti quotidiani. Nell’attimo in cui una donna si perde nel fruscio setoso di una sottana e un uomo si sforbicia i baffi, veri o immaginari, si prendono un riposo dal cruccio della fame nel mondo e magari quando se ne ricordano sono più disposti a sfamare qualcuno. Gli egoisti assoluti sono, ovviamente, esclusi da questa nostra innocente speranza. Sebbene riscattata dal vituperio, ci sono circostanze nelle quali la vanità risulta davvero inopportuna. Quando la tribolazione è dilagante e investe in contemporanea ogni individuo di una comunità, che ci venga più o meno spontaneo, bisogna infilare la vanità nello sgabuzzino, in attesa di rispolverarla in giorni più spensierati. E così hanno fatto Franco Mazzetti, Iuri Marini, Matteo Formichetti, Giorgio Giangiulio e Massimo Gradini - qui nominati in ordine di apparizione - girando un breve filmato che è un inno al Made in Italy: la vanità nel dimenticatoio, ma l’eleganza, gloria secolare del popolo italiano, come incoraggiamento per il futuro psicologico e pratico.

Sono amici e di solito si incontrano a Pitti uomo, ma anche su altre piazze à la page. Indossatori e modelli di professione Gradini e Giangiulio, o ‘in passerella’ per un caso favorito dalla passione gli altri tre, premiati da una cascata di visualizzazioni sui social, diecimila già nelle prime ore di diffusione, hanno sentito il dovere di ricordarci che la moda d’Italia è la prima al mondo e, a tempesta sanitaria ed economica attenuata, lo resterà. È il loro augurio e la loro certezza.

Massimo Gradini, umbro-romano, alfiere dei mannequin italiani con quattro decenni di sfilate e sessioni fotografiche nella memoria sua e di chi lo ammira devotamente che sia collega o spettatore, è un uomo con il sole dentro perché ne coltiva i raggi anche in periodi difficili. Passa il tempo di pandemia alla finestra, osservando. “Sono curioso. Aspetto in modo positivo e non mi faccio prendere né dalle paure né dalle ansie. Non servono a stare meglio, no? Con il video abbiamo voluto rispondere ai commenti poco lusinghieri che circolano, scommettendo sulla gioia e sulla fiducia. Abbiamo sempre superato le fasi critiche, lo faremo anche questa volta. Gli anni Ottanta e Novanta per la moda sono stati effervescenti, irrefrenabili. In seguito, la linea ha cominciato a scendere e ora siamo nel punto più basso. Quindi, si riparte: c’è da tornare in alto”.

Giorgio Giangiulio da Lanciano, Chieti, è anche consulente sartoriale e, con i suoi 32 anni è il ragazzo della banda. Dice che spesso lo situano nella seconda parte dei trenta, in viaggio verso i quaranta. Secondo noi, foto pubblicitarie sott’occhio, anche se gli appioppano qualche anno in più, non c’è motivo di turbarsi. “Dovevamo dare questo messaggio che l’Italia c’è e non si è fermata: è sempre lì nella sua bellezza. Assopita. Le nostre doti sono sia nel DNA che nella tradizione. E la storia ci insegna che siamo camaleontici e sappiamo sempre risalire la china. Dopo una catastrofe siamo lì pronti con l’ottimismo, con il bagaglio culturale che ci portiamo dentro e valorizziamo tramite l’immagine. Il Made in Italy vende al mondo il sogno, oltre al prodotto di estrema qualità dall’ideazione alla manifattura, e quella parte non tangibile ne accresce il valore”. Giangiulio ama il bel vestire, la cura estetica maschile: “È un linguaggio non verbale. Dall’apparenza di una persona si vede come impegna il tempo, i suoi film, i suoi libri”. Agli esordienti che vorrebbero essere come lui risponde: “Sii ti stesso. Fallo con la cultura, guardati Fellini”.

Nel passato professionale di Franco Mazzetti, fiorentino, ci sono, fra l’altro, vent’anni alla casa d’asta Sotheby’s che a Firenze alberga in Palazzo Capponi; nell’ultimo lustro, grazie al suo aspetto e al suo stile, è diventato “inaspettatamente visibile”, d’altronde come regalo per la prima comunione non volle l’orologio, ma un abitino di sartoria. “A Pitti mi sento a casa e devo stare attento a come mi vesto perché da quattro o cinque anni quando arrivo mi fanno le fotografie. Per questa ‘notorietà’, parola che metto fra doppie virgolette, ci sono aziende che vogliono indossi i loro capi, faccio sessioni di shooting fotografico e consulenze di immagine. È divertente, stimolante e, diciamo la verità, essere conosciuto è una gratificazione”. In queste settimane di avvilimento generale, Mazzetti si dice un po’ confuso: “La speranza è che i danni siano nel complesso limitati anche se, purtroppo, per certe aziende saranno irreparabili. Pitti Uomo, che è l’evento di riferimento del settore, è stato spostato a settembre e trovo che sia buono avere una data. Da lì si può iniziare a rivedere una parvenza di normalità, una rinascita: Pitti è un’occasione unica per incontrare clienti che vengono da tutto il mondo con entusiasmo. Senza dubbio c’è da ristudiare il sistema di vendita: le aziende con sito on line chiaro e ben organizzato cominciano ad avere risultati importanti rispetto agli anni passati. I negozi sono sacrosanti, ma ormai nessuno né grande né piccolo può fare a meno di internet. Poi c’è l’abbigliamento su misura che a me piace molto: la sartoria non permette nemmeno di accendere il computer, solo ago, filo, forbici e stoffa, ma sarebbe bello che anche le sartorie si avvicinassero alla clientela. L’abito fatto a mano ha un costo, ma forse i sarti andranno incontro a qualche problema se non riorganizzano la tabella dei prezzi”.

La madre di Matteo Formichetti era sarta e lui, terzo maschio nato quasi vent’anni dopo suo fratello, la vedeva cucire capi carini, incantato dalla manualità. Il padre teneva molto all’abbigliamento e lui, così cresciuto, andò sposo a ventisei anni in un mezzo tight di Brioni. “L’abito deve esser costruito addosso alla persona, non per egocentrismo, ma per bellezza. Inoltre la sartorialità richiede la partecipazione. Alla prima prova non devi stare lì impalato, devi parlare. Il sarto poi ti spiegherà che magari più largo ti cadrebbe male. A me piace vestire in un certo modo, a volte esagero, ma sono sempre me stesso. Non indosserei mai un ‘pinocchietto’ con il marsupio a tracolla. Pinocchietto, il pantalone più osceno!”. Formichetti ha un'azienda ad Ascoli Piceno, produce etichette e quel che serve per identificare un capo e fabbrica solo nel nostro Paese: “Molti parlano di Made in Italy e invece l’hanno abbandonato, fanno produrre all’estero per accrescere il profitto. Però io dico che una camicia italiana ha un ‘sapore’ speciale e poi dovremmo far lavorare il nostro indotto, come facevamo fino a vent’anni fa. A causa del virus passeremo momenti di difficoltà, senza stare vicini, con mascherine e guanti, un vero fastidio. Piano, piano arriverà il vaccino e, soprattutto: siamo usciti dalle guerre…”

“Con le mascherine a trentotto gradi? È un pensiero!”. Irresistibili la cadenza e lo spirito livornese di Iuri Marini, spaventato dall’estate marchiata dal COVID-19. Irresistibile la sua barba imperiale. “Ce l’ho da tre anni e ha contribuito tanto al look. Prima portavo un pizzo alla d’Artagnan”. Marini è entrato nel mondo della moda per divertimento, per la passione del vestire: “Andavo a Firenze dove mio figlio studiava all’Accademia di Belle Arti, e notavo che tanta gente mi fotografava per la strada”. Ora è invitato agli eventi fashion dove, tiene a precisare, va con la moglie, e siccome sta andando in pensione avrà più tempo per darsi alla pubblicità e simili. “Peccato che ora sia tutto fermo, si vive con l’ansia. Speriamo finisca presto. Però penso che siamo realmente bravi. Il Made in Italy ce l’ha sempre fatta e ce la farà anche adesso”.

È il vostro augurio e la vostra certezza dite nel video. “Confermo e sono grato a Massimo Gradini, e onorato, di avermi coinvolto in questa iniziativa”.