Jonathan William Anderson è nato il 17 settembre del 1984 a Magherafelt, nell'Irlanda del Nord. È il primo creatore di moda, nella storia dei British Fashion Awards, ad essere stato premiato, contemporaneamente (23 novembre 2015), come miglior designer per le collezioni moda uomo e donna.

Questo fatto non è un semplice caso o una coincidenza fortuita, ma il marcatore di un processo creativo che si alimenta della maturazione sociale sul tema dell'identità di genere, con il carattere formale di chi attinge dalla storia la liberazione da parametri che sono legati ad una porzione temporale che si sta disintegrando nelle sue certezze comportamentali.

Questo nordirlandese ha il carisma che deriva dalla filiazione più diretta allo spirito del proprio tempo; ne misura la delocalizzazione emotiva verso un plausibile domani attraverso processi estetico-culturali che affondano la loro efficacia nella linea espressiva del corpo attraverso le sue accezioni culturali nelle varie epoche.

Jonathan Anderson opera accentuando quei marcatori del desiderio che fungono da vettori dello stile e del comportamento e li porge come naturale continuazione di un progetto sociale liberale.

Diplomatosi al London College of Fashion nel 2005, nel 2008 fonda la sua etichetta: JW Anderson. Inizia realizzando una collezione di soli accessori maschili che presenta durante la settimana della moda londinese. Nel 2010 propone la sua prima collezione di moda femminile e Londra diviene la sua base operativa.

Il crescente successo del marchio JW Anderson porta il gruppo di Bernard Arnault a finanziare in parte il progetto e nel 2013 gli offre la Direzione Creativa del marchio spagnolo di pelletteria Loewe, del Gruppo LVMH.

Inizia un pendolarismo che lo porta a viaggiare settimanalmente tra Londra e Parigi, dove hanno sede le due maison. Per entrambe disegna le collezioni maschili e femminili incentrandole sull'ibridazione del canone.

Suggerisce, in tempi non sospetti, un ritorno a volumetrie corporee giganteggianti proprie degli anni '80. Mescola il tempo della storia recente con quello del passato remoto fondendo il senso metropolitano al valore della riqualificazione degli archivi del vecchio continente, fusi con le tradizioni decorative ed artigiane legate ad un mondo di matrice etnica che si fa strada.

Il suo stile si condisce di rielaborazioni in chiave pop dei temi canonici del vestire e suggerisce visioni macroscopiche (es. il soggetto della catena) nei dettagli o nei volumi che più dettano il tema del fuori schema senza confini.

Dalle stelle filanti di questo autunno-inverno, per l'etichetta che porta il suo nome, che decorano la maglieria e i più iridescenti abiti da sera, giungendo ai colli a scialle che si porzionano a pagoda sulle spalle di chi li indossa sino alle cascate di ruches che si trascinano giù dai polsi e dalle caviglie, passando per le maniche che acquistano lo spazio del vento e lo catturano come voluminosi paracaduti (tema crescente delle sue collezioni declinato dalla donna all'uomo anche per il marchio spagnolo), alle calzature maschili rubate al passo di lei come le ballerine.

Per Loewe ha fatto interagire l'arte materica e magmatica che imperava nel mercato degli “eighties”, con i tessuti e le linee della collezione autunno-inverno 2020-21.

La collaborazione con l'artista giapponese Takuro Kuwata e le sue ceramiche esplose, è il punto centrale degli abiti che le incorniciano sino a divenire satellitari meteoriti a definizione dell'iconica pochette “Flamenco”: vero e proprio must del marchio spagnolo.

Le forme geometriche che dallo spigolo alla curva si disegnano nella moda di Anderson, sono “soffiate dall'aria” che gonfia la lana e la seta sino alle mussole più trasparenti, a memoria di dame e cavalieri dell'epoca di Lancillotto o di D'Artagnan le cui maniche svasate scivolavano a formare lunghe ed infinite corolle o si impostavano prepotenti otre i limiti perimetrali dell'anatomia umana.

Con la pelle realizza corazze degne di Kublai Khan ed accessori armaturali che riprendono le tecniche orientali dell'intreccio dei cesti.

Dal '900 il nostro trae le revisioni volumetriche della moda di Balenciaga e i toni chiaroscurali di Madame Grès (Alix Barton). Quest'ultima aveva fatto del drappeggio il medium delle sue creazioni e realizzato le maniche più ridondanti in dimensioni e pieghe, che a memoria d'uomo si ricordi (es. taffetà tabacco del 1969, esposto al MET di New York nel 2018 in occasione della mostra Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination).

Le sue presentazioni “Show in a Box”, nell'era del digitale, hanno espresso il concetto duchampiano del “Museo in Scatola” componendo una nuova armonia e neutralizzando l'aspetto formale di distinzione tra maschile e femminile.

La scala tonale di queste proposte è l'attitudine verso la storia a venire in soccorso di un racconto che è partito dagli anni '80 del secolo scorso per dipingere, fuori traccia, la vita dell'uomo e della donna come natura del gesto e gesto di natura che da sempre si esprime in distinguo, ma che di fatto vive di simbiosi.

Le collaborazioni con Yoox, Uniqlo e la collezione Genius di Moncler, dilatano il suo verbo ad un pubblico sempre più ampio.

La conoscenza del percorso che l'essere umano compie attraverso il “Costume” rende la sua moda emblema “dell'Essere a Prescindere” dove stile e identità planano verso il bello.

Questo irlandese ha proposto, utilizzando le tecniche costruttive più disparate, il concetto di involucro estetico che si trasmette al sociale come luogo della memoria futura: libera manifestazione interconnessa alla volontà pittorica delle emozioni. Collezioni che si impaginano in maniera articolata sia nello stile che nelle lavorazioni.

J.W. sono le iniziali che rappresentano quel doppio che è sistemico dell'universo come principio e fine, uomo e donna. Simbolo di un nome, traghettatore d'immagini che, dal Regno Unito alla Penisola Iberica, è giunto al luogo del domani che sempre è “Oggi” con quel tocco di colta ed eccentrica eleganza che smaterializza le pareti domestiche del genere.

Favorito è un dandismo la cui potenza è data dal più ricco habitat di quel tutto che mai si raggiunge, ma a cui Anderson anela, con sinfonica esecuzione, tra il tempo e la sua più piena strumentazione.