Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero, per fare l’albero ci vuole il seme, per fare il seme ci vuole il frutto, per fare il frutto ci vuole un fiore, ci vuole un fiore…

Chi di noi non ha ascoltato almeno una volta da bambino questa canzone di Sergio Endrigo? Sicuramente Gianni Rodari, che aveva scritto il testo nel 1974, aveva già intuito il principio dell’economia circolare sulla quale si basa oggi tutto il nostro sistema economico, pensato per potersi rigenerare da solo, garantendo dunque anche la sua ecosostenibilità. Ridurre la quantità di rifiuti attraverso un modello di circolarità in cui le materie prime diventano tessuto, poi capo, per poi tornare alla natura grazie alla loro compostabilità, è ciò che ha realizzato l’azienda Candiani Denim, attraverso l’innovativa tecnologia CorevaTM. “È la prima volta che una tela Denim viene completamente prodotta senza l’utilizzo di plastiche - ci spiega Alberto Candiani, Presidente del brand omonimo - in sostituzione dei filati sintetici abbiamo utilizzato un elastomero ricavato dalla gomma naturale, capace di garantire la stessa elasticità, qualità fisica e durabilità del jeans. Sono occorsi cinque anni di ricerca e sviluppo per far nascere CorevaTM la cui biodegradabilità è stata accertata con dei test che hanno certificato questo requisito: un jeans con tecnologia stretch CorevaTM si biodegrada in meno di sei mesi”.

Un modello quindi di vera circolarità, capace di offrire all’industria della moda la soluzione al suo più grande problema ambientale, ossia lo smaltimento della sovrapproduzione annuale di capi. È bene ricordare infatti che ogni anno oltre 25 miliardi di capi inutilizzati, la maggior parte dei quali prodotti con elastomeri sintetici a base di petrolio, vengono mandati in discarica o inceneriti ma le fibre richiedono fino a centinaia di anni per decomporsi. Ufficialmente riconosciuto a livello internazionale, i frutti del brevetto CorevaTM sono stati messi a disposizione di un gruppo selezionato di quindici brand che condividono i valori dell’azienda e l’impegno per la sostenibilità: “In un mondo dove le risorse stanno diminuendo e c’è un eccesso ingestibile di capi di abbigliamento da smaltire, è un dovere di tutti guardare ad un consumo e ad una produzione sostenibili, con una massima attenzione a risorse rinnovabili, materiali biodegradabili e compostabili, - afferma Alberto. Il mondo del Denim dev’essere in prima linea in questa rivoluzione, e siamo davvero entusiasti di poter collaborare con brand come Denham the Jeanmaker e Stella McCartney e poter condividere la nostra innovazione e i nostri valori con il resto della fashion industry”.

Per presentare il primo jeans a centimetro zero, biodegradabile e compostabile, Candiani ha realizzato a Milano in Porta Ticinese un hub inedito, Candiani Vision, dedicato alla cultura della sostenibilità ambientale, progettato da Matteo Ward con il suo team Wrad: “Con il team Candiani dal primo giorno abbiamo lavorato per creare un concept di comunicazione creativa ed esperienza in-store capaci di rappresentare la promessa circolare di CorevaTM in modo semplice e umano. Ci siamo chiesti quali fossero le manifestazioni più positive della compostabilità di questo innovativo denim e da lì siamo partiti - dalla sua magia - per sorprendere e divertire il visitatore, con l’obiettivo di ispirare ognuno di noi a scoprire come vivere il nostro rapporto con i jeans nel modo più responsabile e duraturo possibile, dall’acquisto al fine vita”. L’originale installazione si basa appunto su una magia: la tela denim, compostata, diventa materia viva per crescere una pianta di menta e la sostenibilità industriale viene divulgata attraverso un wall interattivo che racconta i valori e le pratiche della sostenibilità nella manifattura.

Una innovazione visionaria, nata da un continuo sviluppo, che inizia la sua ricerca nel 1924 a Robecchetto, a pochi chilometri da Milano, con la Tessitura di Luigi Candiani, il bisnonno di Alberto, diventata nel 1938, con il trasferimento a Robecchetto Con Induno, la Tessitura di Robecchetto Candiani, o più semplicemente TRC. “Sono nato con quattro bisnonni su otto e sono cresciuto con tutti loro, un po' perché li adoravo come è giusto e normale che ogni nipote faccia, ma anche perché per anni non dormivo la notte e i miei genitori disperati mi lasciavano qua e là, tra nonni e bisnonni per prendersi qualche ora di sonno. Mio nonno Primo, che a differenza del mio bisnonno Luigi era nato industriale e non artigiano, negli anni Sessanta decise di acquistare dei terreni, agli estremi del comune di Robecchetto, dove poter costruire la sua azienda, non più una tessitura ma un processo industriale verticale e completo che potesse trasformare la materia prima, il cotone, in tessuto finito, passando per la filatura, tintoria e tessitura. Fu la sua visione a fare la differenza”.

Una visione che il padre di Alberto, Gianluigi ha saputo poi ben valorizzare, convertendo l’intera produzione di TRC in tessuti Denim, abbandonando il workwear e sperimentando con i tessuti elasticizzati, in maniera da potenziare l’export e internazionalizzare il mercato. “Mio padre Gianluigi non ha inventato il jeans elasticizzato, ma lo ha fatto meglio, molto meglio degli altri. Lo ha reso femminile, morbido, piacevole da indossare, performante al punto da rendere finalmente giustizia al corpo di una donna, non più costretta e incastrata in un capo dalle caratteristiche maschili. E ancor più significativo per me, il fatto che mio padre e mio nonno abbiano attivato molti anni fa il processo della sostenibilità. Negli anni Novanta quella parola nemmeno esisteva ma eticamente definivano il proprio lavoro come frutto di un innato attaccamento al territorio, di un amore quasi inspiegabile nei confronti di un tessuto blu e soprattutto di una passione industriale”.

Incastonata in un parco naturale nazionale, il Parco del Ticino, la Candiani Denim non può infatti prescindere dal rispetto per l’ambiente e dal dovere morale verso la qualità dell’ambiente: 160.000 m2 di cui 110.000 destinati alla produzione e 50.000 di verde, cui si sommano una piccola struttura di ricerca situata nel cuore di Los Angeles, capitale del Denim, made in Usa, da sempre il mercato più importante per l’azienda.

“Se torno bambino vedo quella struttura come un enorme parco giochi, con il mio canestro nel mezzo del magazzino, le corse sui muletti la domenica con l’azienda chiusa, le arrampicate sulle balle di cotone, sulle pezze e soprattutto le impennate e le cadute con il Ciao di mio zio sulle superfici resinate dei reparti. Per molti visitatori i nostri impianti ricordano una sorta di “Fabbrica di Cioccolato” di Roald Dahl ed è in questo contesto di magia industriale che si apre uno scenario nuovo, legato alla comunicazione e dal marketing, che dagli anni 2000 trova una rilevanza sempre crescente. Mio padre ha sempre voluto mantenere un basso profilo, comunicare poco, il necessario, anzi nemmeno quello perché “tanto il prodotto che facciamo è così bello ed unico che si vende da solo e non dobbiamo dire troppo a riguardo, anzi, non diciamo proprio nulla perché altrimenti daremmo informazioni importanti alla concorrenza che ci copia”. Per mio padre il massimo che si poteva fare era infatti invitare ed accogliere i clienti in azienda, che poi è il nostro miglior biglietto da visita, ed effettivamente lo è sempre stato e lo è ancora oggi. La vedi e te ne innamori, la Fabbrica del Denim, in cui accadono cose meravigliose, quelle che se non le vedi non puoi capire, ma che se le capisci allora poi le apprezzi.”