Dopo aver ammirato la mostra Aldo Fallai. Da Giorgio Armani al Rinascimento. Fotografie 1975-2013, non è possibile guardare la moda con gli stessi occhi. Sì, perché la moda, un po' come succede per la musica, ha sempre un tramite fra creatore e fruitore. Il concerto, come la sfilata o il catalogo, sono il risultato dell'interazione con un tramite, con la sua ideazione. Cosa da non sottovalutare, perché può succedere, nel passaggio dall'artista all'interprete, che vi sia un effetto positivo di risonanza o che, al contrario, il messaggio sia più o meno travisato.

Fallai, magicamente, mette in evidenza la bellezza di chi indossa l'abito, e lo spettatore, colpito dal magnetismo di chi è ritratto nella foto, è portato ad attribuire al vestito una gran parte dello status symbol che emana dalla persona fotografata. Uomini e donne, tutti trattati con grande rispetto, a uno a uno interpretati e interpreti. Inquadrature di sorprendente creatività, capaci di trasformare lo sfogliare del catalogo della mostra ne La Sfilata in assoluto, non legata alla stagione e all'anno di produzione.

I vestiti di cui parliamo sono di Armani, grazie al quale il fotografo Fallai si è avvicinato alla moda, quasi per caso. In virtù di quel binomio si è generato, a partire dai primi anni settanta, il mito del Made in Italy. Scrive Martina Corgnati, curatrice con Carlo Sisi della mostra: “La donna e l'uomo Armani sono giovani, belli, ricchi ma anticonformisti, liberi e protagonisti della loro vita.” E Fallai, con le sue foto, non fa che confermare e amplificare il messaggio. Sicuramente c'è stata una forte intesa fra Armani e Fallai: da una parte lo stilista attratto dal colore grigio in tutte le sue sfumature, dall'altra un fotografo come Aldo, che gioca con la luce e gli sfondi a riempire di passaggi tonali quello che semplicisticamente viene chiamato bianco e nero.

Fallai, fiorentino trascurato in patria per anni, è stato finalmente portato sotto i riflettori da questa bella mostra delle sue opere, visibile fino al 16 marzo, e articolata in due sezioni, una a Villa Bardini e l'altra al Museo omonimo. Al Museo sono esposte le opere più recenti, di reinterpretazione del Rinascimento, dove donne e uomini di oggi sono "manipolati" anche con l'aiuto del colore, per darci una visione di quel periodo, con foto simili a quadri d'epoca. L'inaugurazione di questa mostra, soprattutto per la parte preponderante collegata alla moda, è stata una grande celebrazione, grazie alla presenza a Firenze di una miriade cosmopolita di persone ben felici dell'opportunità di conoscere o ri-conoscere un grande Maestro. 

Questa capacità, saper interpretare l'arte con l'arte, non la possedeva, purtroppo, chi ha curato la sfilata di Chiara Boni, la famosa stilista fiorentina; un altro grande ritorno a Firenze in occasione dell' 85ma edizione di Pitti, con i suoi celebri Petite Robe, vestiti ultrafemminili e insieme pratici, ingualcibili per il jersey bi-elastico di cui sono fatti, e sorprendenti nel loro adattarsi a ogni tipo di donna. Ebbene, le numerose modelle della sfilata tenutasi alla Dogana erano state scelte e truccate in modo da sembrare dei replicanti, e fatte incedere come automi in un percorso lunghissimo. Quando una nuova si affacciava, immediati gli applausi di fronte alla bellezza del vestito. Ma, durante il percorso, nessuno più applaudiva e l'attenzione si concentrava più sull'innaturalità dell'incedere che sull'abito indossato. 

Gli spettatori si sono dunque trovati a leggere un messaggio opposto a quello che la stilista comunica da molti anni, che cioè questi geniali abiti si adattino sia a un corpo femminile dalle forme generose che al corpo stilizzato di una modella, valorizzando entrambe nella loro differente femminilità. Con questo spirito, nel passato, la stilista Boni organizzava la presentazione delle nuove collezioni facendo indossare gli abiti a un mondo femminile non professionale, la cui spontaneità era indice di quanto fosse piacevole ed elegante fare uso dei suoi capi. Questa volta, con la decisione del ritorno a Firenze, probabilmente c'era nell'intento di realizzare una cosa in grande, e la stilista si è affidata a un interprete che ha travisato il suo pensiero creativo. Le donne della sfilata, crudelmente rese tutte uguali nell'apparire e nell'incedere, hanno trasmesso un'immagine di esseri indifferenziati, senza l'identità che invece, nel difficile mondo di oggi, le donne sempre più conquistano, anche grazie alla filosofia del vestire che è alla base del lavoro di Chiara. Questa critica accorata è accompagnata dall'augurio che, anche lei, come Armani molti anni prima, sappia scegliere il giusto interprete delle sue perfette creazioni.