Il gioiello è un universo emblematico scritto con un alfabeto interiore la cui lettura avviene per tempi e modi successivi. L’immediatezza del primo approccio cade sul metallo, sul valore simbolico dell’oro e delle pietre preziose, svela una lettura chiara, a volte ingenua, esteriore, direi pubblica. L’oro, irrelativo rispetto allo spazio e al tempo per la preziosità e la spiritualità della materia, assume un forte valore simbolico comunicando un messaggio universale; le pietre preziose, esaltazione della natura, sono il frutto incontaminato di quel giardino dell’Eden la cui visione quieta l’animo evidenziandone, però, il fascino della trasgressione; una trasgressione che diventa comunicazione, contraddizione, donando all’uomo mille domande. Il soffermarsi sulla composizione, sui molteplici segni spesso tracciati a comporre un tessuto discontinuo, dialogante e interrogativo, implica un livello di lettura la cui conoscenza è cripta, interiore; appartiene alla sfera del privato.

Il gioiello vive in un mondo che è il mondo del possibile, cioè il mondo dell’immaginazione. L’immaginazione è quella “particolare forma di pensiero, che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione e elaborazione libera del contenuto di un’esperienza sensoriale […] presentandosi in ogni caso come potenza creatrice.” (1) Il gioiello è una libera, iconica o aniconica, riproduzione o elaborazione di dati sperimentali o fantastici che la mano-pensante dell’orafo trasmette sul metallo usufruendo sia della capacità tecnica sia e del proprio bagaglio culturale, immaginazione e fantasia comprese.

L’immaginazione permette la partecipazione più o meno intensa al mondo dell’astrazione o della fantasia, controlla e progetta, in rappresentazioni più o meno complesse, quelle immagini mentali dettate dalla fantasia. È con la fantasia che riusciamo a stabilire i collegamenti tra le cose, anche le più remote, è una visione, una luce (2) che svela sogni e ci permette dei “matrimoni e divorzi illegali (3)” . Nel gioiello si realizza il desiderio del bello, un bello che valica i limiti del pensiero sistematico e razionale. Il bello emerge come sensazione di piacere e cede emozione; qualcosa di afferrabile attraverso i sensi e i concetti dell’intelletto che dà forma all’oggetto.

È un'espressione di gusto, a volte acuto, di sensibilità cromatica e plastica; conoscenza, rispetto e esaltazione della materia pur nel completo asservimento alla propria volontà. Sono attributi presenti nel gioiello bello espressione di un impegno personale, la cui lettura depone nelle mani del fruitore emozioni, sensazioni, parole, forme; forme pensate come una fuga bachiana la cui voce, giocando tra punti e contrappunti, elabora raffinate melodie tattili, specula sull'oggetto-materia, sulla capacità contenutistica, elaborando circuiti dialettici di intensa armonia. Il gioiello è quella particolare forma d’arte che, per il suo peculiare genere, si fonde con il corpo, ne è quasi una protesi, muta, acquista valenza artistica; è letto, così, non più come oggetto esclusivamente ornamentale, ma come opera che trasmette, avvicina, comunica.

Lavoro fattivo e di ricerca che messo al servizio di una mano pensante da vita ad una tematica propria, la cui valenza artistica va rintracciata in quel perenne dialogo, di cui l’artista è testimone, instauratosi tra i fenomeni culturali del passato e la tensione innovatrice, dubbiosa e contraddittoria del presente. La lettura del lemma artigiano e del suo peso nella società attuale, pur essendo sottoposto a molteplici sfaccettature, non gode certamente di rilievo e ha un ben scarso valore d’insieme; l’artigiano riproduce pedissequamente gli artefatti del passato lacerando così, oltre alla capacità di rinnovamento, quell’ordito di conoscenza e di sapienza tecnica, vanto e valore della propria storia.

Riappropriarsi dell’istituto della bottega, perfetta forma di organizzazione artigiana, del suo saper fare e saper far bene, teso al progetto affinché idea e tecnica camminino verso una identità qualitativa che trascenda dalle divisioni delle arti, perché “tutti i mestieri o professioni hanno il medesimo valore e diritto”, significherebbe rientrare a piè pari nella produzione artistica e culturale. Aprire il campo a nuove richieste, comprendere le contaminazioni che un mondo globalizzato trascina inevitabilmente; saper fare buon uso delle tecniche innovative, compresa la riproduzione multipla, perché un buon prodotto non significa esclusivamente pezzo unico fatto a mano, anzi, liberare l’artigiano orafo dagli innumerevoli e brutti oggetti fatti a mano, vorrebbe dire riscrivere le pagine di quel libro dimenticato chiuso nella impolverata soffitta della storia dell’artefatto.

La discrepanza tra artigiano e artista è un vento remoto che risale al mondo antico. Cennino Cennini, nel suo “libro dell’arte” (4) subordina l’arte alla scienza e fa del suo trattato il manuale tecnico dell’artigiano, mentre Leon Battista Alberti (5) determina la pittura come scienza, dando inizio all’elevazione delle arti maggiori - pittura, scultura, architettura - rispetto alle arti di mestiere: “l’artista […] non deve essere un semplice artigiano, ma un intellettuale preparato in tutte le discipline ed in tutti i campi”. Cennini è un maestro che non trascrive soltanto un codice di tecniche da osservare attentamente ma guarda ad un uomo libero di sviluppare la propria creatività, di formare il proprio stile; evidenzia lo stretto legame tra la natura e la tecnica atta a imitarla. Non esistono differenze tra le varie sfere artistiche; sia l’arte sia l’oggetto d’arte sono basati sul fare, sulla materia. Hanno lo stesso valore, esigono la stessa diligenza, a cui l’uomo deve sottostare.

L’Alberti è l’uomo nuovo del rinascimento, colto, umanista, concorda con Pico della Mirandola nel ritenere l’uomo libero, creatore della sua propria esistenza, padrone delle proprie idee “Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto” (6). Benvenuto Cellini, la cui mano è stata sempre legata alla mente, nella Vita (7) “ […] arrivato a questa età de’ 58 anni, con la quali tanto felicemente io, mediante la grazia di Dio commino innanzi”, descrive minuziosamente, da artigiano, le varie tecniche utilizzate nelle sue opere, affronta il distacco tra l’artista e la bottega, e riporta vivacemente il travagliato rapporto intercorso tra la sua persona e il committente, Re, Principe o Papa. Stimatissimo medaglista; tenne l’incarico di Maestro delle Stampe e incisore della zecca papale dal 1529 al 1534, producendo per il papa Clemente VII un doppio carlino reso proverbiale per l’alta qualità dell’incisione e per la particolare tecnica di stampa detta “a stampar con la vite” (8) , innovazione più costosa del metodo tradizionale ma molto più fedele.

Umiliazioni e disconoscimenti costellano la vita di Benvenuto aumentandone però, l’autostima. È un artista moderno, motivato, contraddittorio, creativo. Abilissimo orafo passò dalla bottega artigiana, dove il lavoro era plurimo e rivolto alla comunità esterna, alla bottega artistica dove l’opera era rivendicata per la sua unicità e ne sottolineava la firma. L’unico lavoro certo, pervenuto fino a noi, è la Saliera (9), in ebano, oro e smalti. Alta cm 26 è un piccolo – grandissimo capolavoro di arte orafa, opera rivendicata non da un artigiano, ma da un artista sia per l’esecuzione sia per l’unicità del progetto. È il disegno e la modellazione alla base della progettazione, è un omaggio al grande Michelangelo, per Cellini; unico e insuperabile maestro.

La separazione, processo lento ma inarrestabile, tenderà ad allontanare l’artista dalla bottega artigiana; il distacco della mente dalla mano determinerà una inevitabile decadenza del prodotto artigiano. L’artista esprime una propria espressione poetica, progetta con una piena libertà interpretativa in cui l’aspetto manuale è sempre più scisso e lontano dal mondo delle idee. È codificata, così, la netta distinzione, teorica e sociale, fra arti maggiori e arti minori: le prime basate sulla scienza, la storia, l’invenzione, le seconde sulla manualità, la pratica, l’imitazione. La separazione delle arti dall’artigianato non ferma lo sviluppo delle botteghe, il cui incremento è così intenso da dipendere dal capitale e dal mercato: si mettono a punto le prime macchine per moltiplicare il prodotto. Alcuni settori dell’artigianato tendono a specializzarsi e a esportare in tutta Europa migliorando il tenore sociale e favorendo il passaggio dalla bottega alla fabbrica, fabbrica che necessita degli artisti per la progettazione.

Oggi li chiameremo designer. Spesso l’artista non ha conoscenza delle tecniche fattive per realizzare i suoi progetti. Non a caso, in particolari artefatti di alto valore artistico, sempre più spesso si leggono due scritte invenit e excudi: disegnatore e esecutore; proprio come avviene ai nostri giorni. Il mosaico all’interno dell’Ara Pacis, a Roma, opera commissionata nell’anno 2000, porta la scritta, pinxit Mimmo Paladino, fecit B. Constantino. In aiuto all’esecutore di un prodotto ormai seriale, nascono repertori di ornato, modelli di gesso da imitare che costituiscono veri e propri manuali per l’artigiano favorendone la produzione in serie e a buon mercato, spesso a discapito della qualità. Un processo lungo secoli che vedrà l’industrializzazione dell’Europa. In Inghilterra nasce la fabbrica moderna, organizzata con i macchinari di nuova concezione, che dovrà affrontare, come le moderne industrie, l’organizzazione del lavoro, l’uso continuo dei macchinari, la commercializzazione, la vendita all’estero e le immancabili crisi economiche che puntuali emergono.

L’artista si isola dalla società, ergendosi a difensore della spiritualità dell’arte. Chiuso nella sua introspezione, vive un mondo velato di melanconia. L’artigianato si sgretolerà vivendo la più profonda frattura tra attività artistica e attività produttiva, di cui, in tempi e in modi diversi, ne siamo ancora testimoni. Oggigiorno i pochi laboratori artigiani rimasti, tranne le eccellenze frutto dall’ingegno italiano, guidati da artieri ricchi di capacità, ma poveri di idee, riproducono pedissequamente gli artefatti del passato lacerando così, oltre alla capacità di rinnovamento, quell’ordito di conoscenza e di sapienza tecnica, vanto e valore della propria storia.

L’uomo sente il bisogno del fare per pensare, per innovare, per leggere, per ordinare le nuove idee; idee che vagano nell’aria del tempo, per chiedersi il perché di quel tono nuovo, di quel vento che soffia nell'Europa della fine del XIX secolo. Un vento che muove dall'Esposizione di Londra del 1851, promossa dal principe Alberto, per presentare i nuovi prodotti artistici-industriali, approderà alla nascita dei Musei Artistici Industriali, veri e propri vettori europei sia del prodotto tradizionale sia, principalmente, del coevo modo espressivo.

Partendo Dall’Arts and Crafts Movement (10), concetto laboratorio-bottega di William Morris, dal londinese Museum of Manufactures (11) del 1852, voluto dal principe Alberto, in poco più di mezzo secolo, dal 1852 al 1912, sostenuti dall’urgenza di formare una classe di giovani artigiani che possa far fronte all’innovazione della produzione, in Italia e all’estero, nasceranno scuole di formazione e studio all’arte applicata denominate Museo Artistico Industriale, precursori delle odierne Università d’Arte Applicata, inesistenti in Italia ma fiorenti in Europa. Musei-scuole dove il prodotto artigiano assunse un’identità nuova, spinto e aiutato dall’esigenza degli artisti di lavorare verso un’arte totale, dove a ogni espressione artistica sia attribuita la medesima valenza. Un’alleanza tra le arti di straordinario e irripetibile prestigio; un vento continuo che frange ogni confine.

Sono gli attori della Secessione austriaca e tedesca, dell’Art Nouveau e, più tardi, della Bauhaus di Walter Gropius, che studiano, progettano e si dedicano, alcuni totalmente, all’innovazione dell’oggetto, dibattendo sul rapporto tra tecnologia e cultura, tra la forma e il suo uso. L’ideale dell’opera d’arte totale, la nascita e la diffusione in Europa della rivista VerSacrum (12), con il motto di Otto Wagner Sine Arte Sine Amore Non Est Vita, l’apertura del laboratorio- impresa Wiener Werkstätte (13), nata per volere dell’architetto Josef Hoffmann e del pittore Koloman Moser, furono eventi basilari nel contribuire a divulgare, in tutta Europa, il discorso sull’artigianato artistico, sulla manualità, sul fatto ad arte. Una vera e propria primavera dell’arte pronta a combattere contro un inverno provinciale e accademico, ubbidendo alla nuda verità che fa la grandezza dell’arte: ad ogni tempo la sua arte, ad ogni arte la sua libertà. (14)

Movimento che partendo dalla analisi sistematica dei prodotti delle arti applicate di Alois Riegl (15) fece proprio il principio della Kunstwollen (volontà artistica) peculiare ad ogni epoca, evidenziandone la valutazione estetica e tecnica del lavoro e il superamento della gerarchizzazione nelle arti, applicando fattivamente la parità tra arte minore a arte maggiore. Il gioiello, più di altri elaborati, rivela una analisi precipua, è un documento fermamente legato all’epoca, riflette la volontà artistica del tempo rivelandosi, a volte, un attento segnale per la comprensione del periodo storico artistico. Su quarantotto Musei Artistici Industriali, nati a metà dell’ottocento, l'unico istituto a non aver avuto un successivo sviluppo, in Università o in Museo, fu il M.A.I. di Roma. La città di Roma, pur avendo in se un patrimonio di conoscenze artigianali e artistiche straordinario, non seppe salvaguardare quella vitale iniziativa scolastica.

Quale sarà il bagaglio culturale delle maestranze artigiane? Quale la loro preparazione dopo l’abolizione degli Istituti d’Arte (16) e la loro integrazione con i Licei Artistici (17), divenuti anch’essi un ibrido culturale. Favorire il disconoscimento dei valori dei mestieri tradizionali e d’arte sembra esserne l’unico obiettivo. Duilio Gambellotti (18), scriveva che i giovani per studiare un’opera devono sentire l’oggetto, struttura e forma, come un tutto organico; l’anima del giovane deve comunicare con l’anima delle cose, capirne l’intimo significato; solo così potranno interiorizzare la conoscenza dell’opera d’arte. “L’artista è un ricercatore e nella sua ricerca pesano ugualmente approssimazioni, intuizioni, pulsioni inconsce. Nella progettualità deve analizzare tutto ciò , altrimenti ne risulterebbe una realizzazione impoverita”.(19)

L’approccio che Bruno Martinazzi (20) fa con il metallo prezioso è di trattenersi a lungo con esso; ascoltare la materia e la sua storia, una storia molto lunga che va decifrata per capirne intensamente il processo fattivo. La ricerca artistica non è un cammino lineare, ma muta, assume aspetti nuovi secondo del sopraggiungere, durante la realizzazione, di stimoli, di intuizione, di percezioni diverse. L’artista, particolarmente, l’orafo artista non si sostituisce al tecnico di laboratorio perché vuole vivere tutta l’esecuzione, tiene conto non solo del prodotto finale ma anche del processo; usa i ferri del banchetto, protesi dell’atto mano-pensiero, perché il lavoro, quando è creativo, non scinde il fare dall’intelletto.

È triste l’uomo che separi la mano dal pensiero compromettendo, così, la sua completezza. Il bello, inteso come far bene, come spinta culturale, come impegno totale e personale, “[…] è una necessità interiore, un bisogno morale di purezza. In momenti grevi, dove la coscienza è sospesa nell’oppressione e nel dolore, l’io si aggrappa al bello come messaggio di pace e amore”.(21)

La perfezione viene con l’applicazione, con fare e rifare senza pensare al tempo, al denaro, ma solo impegnando profondamente se stessi nel fare. Recentemente Richard Sennett ha scritto “ […] se lavorasse più in fretta, il falegname potrebbe vendere più mobili; […] il direttore d’orchestra sarebbe forse invitato più spesso […] nella vita ce la si può cavare benissimo senza dedizione. L’artigiano è la figura rappresentativa di una specifica condizione umana: quella di mettere un impegno personale nelle cose che si fanno (22). Se non si vuol essere operai atti solo per una riproduzione seriale, va percorsa - nello studio, nella conoscenza del già fatto, nella tecnica e nella ricerca - la propria via per ambire a un risultato alto. Vi è un rapporto profondo tra il pensare e il fare come tra la gioia e il dolore. È una spiritualità che abbisogna di accuratezza, di rispetto del fare, capacità di saper leggere il contemporaneo. È maggiormente vero per il mondo dell’oreficeria, incastrato com’è tra il ripetere modelli tradizionali, immettendo sul mercato una produzione priva di originalità, e le molteplici prove di tradurre pedissequamente, nel gioiello, l’arte contemporanea.

Nel campo orafo la ripresa artistica, rispetto ad altri settori dell’Artigianato Artistico, resa ancor più, difficile, dalla complessità e peculiarità del mestiere, è molto lenta a ripartire. Il trattare materiali dal costo elevato, l’alto rischio che ne comporta, l’assecondare il non-gusto della clientela, sono tra i fattori che hanno limitato notevolmente la ricerca in questo campo estetico.

In Italia aprirono la strada al rinnovamento dell’oreficeria, nell’immediato dopoguerra, artisti che realizzarono, in collaborazione con orafi, gioielli dal segno personale, seguiti, ben presto, da orafi-artisti che, con una solida preparazione orafa, seppero guardare oltre: Bruno Martinazzi, a Torino, Mario Pinton, a Padova, Orlando Paladino Orlandini, a Roma, hanno fatto del “metallo nella sua versatilità e capacità di fissare in forme definite suggestioni, umori, ricordi del passato e preziosi desideri del presente”, come si legge nell’enunciato della mostra Suggestioni in metallo, il loro campo di ricerca lavorando sui materiali, sulle forme, sulla progettazione, aprendo agli epigoni nuove vie di speculazione. Seppero innovare la soluzione formale del gioiello determinando, ognuno secondo la propria cultura, forme diverse per un analogo oggetto. Esempi che hanno fatto scuola aprendo la strada del gioiello all’orafo-artista.

Il gioiello di ricerca vive un momento propizio; artisti orafi, sia in Italia sia all’estero, usano la materia in modo espressivo; lavorano su di un loro peculiare campo di ricerca, libero da schemi, pur rimanendo nella fenomenologia del prodotto orafo. È un lavoro di ri-edificazione di una delle più belle espressioni artistiche dell’uomo. Argan disse (23): “Non può darsi valore d’arte ove non vi sia produzione di oggetti”. Quando il prodotto orafo è autonomo, indipendente cioè da progetti elaborati da mani diverse, la fantasia dell’autore si manifesta, libera, intensa, originale; frutto, per usare le parole di Ragghianti (24), di una “elaborazione cosciente di cultura”.

L’augurio è di poter rendere dialettico il rapporto materia – tecnica – creatività per arrivare ad unire il fare con il pensare ed imprimere all’artefatto orafo quella impronta unica che nasce dalla piena interiorità formale, dal proprio atto creativo e dal valore di chi sa guardare il mondo con gli occhi della fantasia e della poesia.

Note:
1. Treccani, vocabolario, lemma immaginazione
2. Fantasia, l’etimo viene fatto risalire ad Aristotele, phantasĭa, la cui radice è phàos, luce
3. Francis Bacon, Londra 1561 – 1626, Sulla dignità e sul progresso delle scienze in scritti filosofici (De dignitate et augmentis scientiarum) 1623
4. Il libro dell’arte di Cennino Cennini, (Colle Val d’Elsa, circa 1360 – 1427)
5. De pictura, 1435, Leon Battista Alberti, (Genova 1404 - Roma 1472)
6. Giovanni Pico della Mirandola, Mirandola 1465 – Firenze 1494, Oratio de hominis digitate
7. Benvenuto Cellini, Firenze 1500 – 1571. VITA, manoscritto, Firenze, biblioteca Mediceo-Laurenziana, Codice Mediceo palatino 234. I TRATTATI, Venezia, codice biblioteca Marciana. Testo in chiare lettere grassette con qualche raro ritocco di mano del Cellini. Prime edizioni: 1568, due trattati di Benvenuto Cellini, scultore fiorentino, uno sull'oreficeria e l'altro della scultura. Firenze, stampatori Valente Panizzi e Marco Peri. 1728, La VITA, di Benvenuto Cellini orefice e scultore fiorentino scritta da lui medesimo nella quale molte curiose particolarità si toccano appartenenti alle arti e all'istoria del suo tempo, tratta da un ottimo manoscritto, e dedicata all'eccellenza di Mylord Riccardo Boyle, a cura di A. Cocchi, Colonia (Napoli), editore Pietro Martello
8. John Pope – Hennessy, Cellini, Arnaldo Mondadori editore, Milano 1986
9. Saliera di Benvenuto Cellini, eseguita nel 1540-43, per Francesco 1° di Francia, ora nel Kunsthistorisches Museum di Vienna
10. Arts and Crafts, 1861, movimento artistico delle arti e dei mestieri, in cui spicca la figura William Morris, scrittore, artista e politico inglese (1834 – 1896)
11. L’odierno Victoria e Albert Museum
12. VerSacrum, rivista della Secessione austriaca; dal 1898 al 1903, edita 120 numeri
13. Wiener Werkstätte, impresa di arte applicata, attiva dal 1903 fino al 1932, iniziò a realizzar e prodotti per l’arredamento e oggettistica di elevato livello qualitativo. La crisi economica mondiale né decretò il fallimento. 14. Uno dei motti della Secessione viennese
15. Alois Riegl, Linz 1858 – Vienna 1905, critico d’arte, esponente con Julius Von Schlosser e Franz Wickhoff , alla Wienner Schule der Kunstgeschichte, scuola viennese di storia dell’arte
16. Gli Istituti d Arte in Italia, prima della riforma Germini, erano 233, suddivisi nelle varie discipline: Abbruzzo 9, Basilicata 2, Calabria 13, Emilia Romagna 15, Friuli Venezia Giulia 5, Lazio 19, Liguria 3, Lombardia 14, Marche 13, Molise 1, Piemonte 8, Puglia 20, Sardegna 6, Sicilia 27, Toscana 20, Trentino alto Adige 7, Umbria 13, Valle d’Aosta 1, Veneto 16
17. Riforma Gelmini, legge 133/2008 e 169/2008, in vigore dal 1° settembre 2010, gli Istituti d’Arte sono accorpati ai Licei Artistici
18. Duilio Gambellotti, artista romano, 1876 - 1960
19. Francesco De Bartolomeis, MARTINAZZI, MATERIA E TEMPO, Sandro Maria Rosso editore , Biella 1977
20. Bruno Martinazzi, orafo scultore, nato a Torino nel 1923
21. Fausto Maria Franchi, Mediterraneità dell’arte, DVD 2007
22. Richard Sennett, l’uomo artigiano, Universale Economica Feltrinelli, 2012. Prima edizione in Campi del sapere, 2008
23. Giulio Carlo Argan, Torino 1909 - Roma 1992, critico d’arte
24. Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca 1910 - Firenze 1987, critico d’arte