Generalmente gli scienziati parlano di 5 estinzioni di massa avvenute nel corso della storia della vita sulla Terra. In un articolo pubblicato sulla rivista Geological Society of America Bulletin viene descritto uno studio in cui si sostiene che bisognerebbe contare 6 estinzioni di massa. Secondo i ricercatori guidati da David Bond dell'Università britannica di Hull che hanno condotto questo studio un'altra grande estinzione avvenne poco più di 260 milioni di anni fa, nel periodo geologico chiamato Capitaniano.

Già negli anni '90 erano state trovate le tracce di un'estinzione avvenuta nel Capitaniano, il periodo geologico che va da circa 265 a circa 260 milioni di anni fa. Alcuni paleontologi avevano trovato in Cina prove dell'estinzione di molte specie tra cui brachiopodi e la maggior parte di quelle appartenenti al phylum dei foraminiferi. Si tratta di protozoi rivestiti da un guscio che raggiungono dimensioni notevoli per organismi unicellulari, tanto che possono essere ben visibili a occhio nudo e quindi facilmente identificabili nei depositi fossili.

Le tracce di quest'estinzione erano state trovate successivamente in altre aree ma solo nei tropici. Per questo motivo era stata considerata un evento circoscritto, imputato a un'intensa attività vulcanica avvenuta nella Cina sud-occidentale che aveva causato notevoli emissioni di zolfo e anidride carbonica con conseguenze sul clima e sull'acidificazione delle acque.

Per verificare se l'estinzione del Capitaniano sia stata locale o globale, David Bond e i suoi collaboratori hanno effettuato ricerche nelle isole Svalbard, al largo delle coste della Norvegia nel mar Glaciale Artico. Lì hanno esaminato rocce del tipo creato all'epoca dagli scheletri di spugne morte, i quali contengono anche fossili di molte specie di brachiopodi.

Queste rocce hanno mostrato che a un certo punto i fossili spariscono improvvisamente. Successivamente, alcune specie di brachiopodi ricompaiono e dopo qualche tempo i molluschi diventano dominanti. Queste sono le indicazioni dei fossili prima dell'estinzione avvenuta alla fine del Permiano, alcuni milioni di anni dopo.

Il problema per i ricercatori era trovare il modo di datare quell'estinzione con precisione sufficiente da poterla collegare a quella avvenuta nelle aree tropicali. Esistono vari metodi di datazione ma per vari motivi possono non essere adatti in una certa situazione.

In questo caso, David Bond e i suoi collaboratori hanno analizzato i minerali delle rocce per verificare i rapporti tra i vari isotopi. Il risultato è che hanno trovato un cambiamento nei livelli di vari isotopi avvenuto simile a quello trovato in Cina. Ciò suggerisce che ci siano stati cambiamenti nella chimica degli oceani a un livello globale.

Il problema è capire se la datazione sia sufficientemente precisa per poter provare che gli eventi in Cina e nelle isole Svalbard siano effettivamente contemporanei. Un altro dubbio viene avanzato dal paleontologo Matthew Clapham dell'Università della California a Santa Cruz, che cita ulteriori ricerche sull'estinzione del Capitaniano effettuate in Cina. Esse fanno pensare che l'estinzione in quell'area non sia stata grave come si pensava inizialmente.

In sostanza, saranno ancora necessarie altre ricerche per capire l'entità dell'estinzione del Capitaniano. David Bond sta studiando i fossili in Russia e Groenlandia per trovare altre tracce di un'estinzione a livello globale. Sono ricerche che richiedono molto tempo perciò ci vorranno mesi prima di avere altre notizie.

A prescindere da come finirà, questa è comunque una storia interessante perché l'estinzione del Capitaniano fu probabilmente causata da cambiamenti climatici innescati dall'aumento di anidride carbonica nell'atmosfera e dall'acidificazione delle acque. Si tratta di fenomeni in atto anche oggi perciò capire cos'è successo davvero in un'epoca tanto remota può aiutarci a capire anche i cambiamenti climatici attuali e le loro possibili conseguenze.