La paleodieta, o dieta delle caverne, tende a comprendere una quantità limitata di carboidrati ma è possibile che il loro consumo sia stato una delle chiavi per l'evoluzione del cervello dell'homo sapiens. È quanto sostenuto in una ricerca condotta da un team guidato dalla dottoressa Karen Hardy e descritta sulla rivista The Quarterly Review of Biology.

Gli studi sull'evoluzione del cervello negli ominidi si sono finora concentrati sul consumo di carne. In parole povere, un accesso a una grande quantità di proteine animali, unito allo sviluppo della capacità di cucinare la carne e quindi una maggior facilità di metabolizzarla, è stato considerato un elemento chiave nell'evoluzione degli ominidi.

Il team guidato dalla dottoressa Karen Hardy si è invece concentrato sullo studio del ruolo dei carboidrati, finora trascurato. Secondo questo studio, questo fattore nella dieta, in particolare sotto forma di piante ricche di amidi, ha contribuito notevolmente all'ingrandimento del cervello degli ominidi. Questa conclusione deriva da alcune osservazioni sugli esseri umani.

Il fattore principale considerato dal team della dottoressa Hardy è che il cervello umano utilizza fino al 25% dell'energia prodotta dal cibo mangiato e addirittura fino al 60% del glucosio presente nel sangue. In sostanza, il glucosio è la benzina che permette al cervello di funzionare e con una quantità limitata il cervello non può funzionare al meglio.

Il corpo umano può sintetizzare una certa quantità di glucosio da fonti diverse dai carboidrati, ma in maniera inefficiente. Secondo il team della dottoressa Hardy ciò rende improbabile la possibilità che una tale richiesta di glucosio fosse soddisfatta con una dieta povera di carboidrati.

Un altro fattore preso in considerazione è legato alla gravidanza e all'allattamento. Essi aumentano la necessità di carboidrati nelle donne e bassi livelli di glucosio nel sangue della madre possono compromettere la salute sua e anche quella dei figli. Come potrebbe una specie evolversi e addirittura prosperare con una dieta povera di carboidrati quando le madri ne hanno bisogno in quantità elevata per poter partorire figli sani?

Un fattore ambientale in favore della teoria dell'importanza dei carboidrati fa riferimento alla loro disponibilità per le popolazioni umane ancestrali. I tuberi sono ricchi di amidi ma lo sono anche molti semi, compresi quelli delle specie chiamate comunemente frutta secca, come le noci.

Un'obiezione al consumo di amidi crudi viene dal fatto che spesso la loro digeribilità è limitata negli esseri umani. Tuttavia, proprio come per le proteine animali, la cottura li rende più facilmente assimilabili spezzando la loro struttura cristallina. In sostanza, quando gli ominidi hanno cominciato a controllare il fuoco, e quindi a cucinare i loro pasti, hanno avuto un accesso molto più ampio a sostanze importanti per la loro prosperità.

Anche la genetica può indicare una crescita nel consumo di carboidrati negli esseri umani. L'homo sapiens ha in media sei copie dei geni che regolano l'amilasi salivare, un enzima che regola la degradazione di amidi in zuccheri semplici aumentando la capacità di digerirli. Altri primati hanno solo due copie di questi geni e quindi una produzione inferiore di quest'enzima.

Secondo la dottoressa Hardy, ci fu una co-evoluzione della capacità di cucinare i pasti e una mutazione che aumentò il numero dei geni che regola l'amilasi salivare e forse anche quello che regola l'amilasi pancreatica. Ciò potrebbe aver accelerato la crescita della dimensione del cervello grazie alla possibilità di rifornirlo adeguatamente di glucosio, a partire da circa 800.000 anni fa.

Questa ricerca ha messo assieme dati archeologici, antropologici, genetici, fisiologici e anatomici per poter offrire queste osservazioni. Se le conclusioni sono corrette, una vera paleodieta, ma anche qualsiasi altra dieta di una persona sana, dovrebbe essere ricca di carboidrati.