Il ghiaccio eterno dell’Antartide potrebbe far pensare a un’omologazione di comportamenti e azioni, appiattiti dal freddo, per chi si trova lì a lavorare per conoscere i misteri della terra e dell’universo nel quale la nostra piccola navicella naviga verso l’infinito. Così non è. Anche in quelle estreme latitudini i caratteri e le diversità che ci caratterizzano rimangono e si manifestano. In grandi e piccole cose!

È proprio per comprenderle che abbiamo voluto, in questo nostro excursus antartico, dare voce a una ricercatrice del PNRA, Simonetta Montaguti, per avere dal suo approccio femminile una lettura personalizzata di un impegno gravoso ma esaltante qual è quello della ricerca nel continente ghiacciato. La risposta è stata entusiasta e articolata, e pur nel parlare di scienza, tecnica e ricerca, la visione di una donna appare in tutta la sua specificità. Abbiamo voluto allora dedicare due puntate a Simonetta e al suo racconto.

Secondo inverno nella Base Concordia, una scelta personale o un ruolo programmato e legato all’attuazione delle diverse linee operative del Programma Nazionale di Ricerca?

La scelta di affrontare un secondo inverno in Antartide è stata un desiderio prettamente personale e dettato dall'amore per la ricerca e per questo luogo, l'Antartide, che io reputo incantato. Il continente mi è entrato nel cuore nel 2006 quando ho fatto la mia prima spedizione nella stazione costiera Mario Zucchelli e ora, quando ne ho l'occasione, non rifiuto mai l’opportunità di ritornare. Non è semplice scegliere di passare un inverno in Antartide perché vuol dire mettersi continuamente in gioco sotto ogni aspetto, personale e lavorativo, sottoponendo noi stessi a un notevole stress psicologico e fisico. L'aspetto psicologico è legato principalmente alla lontananza dai nostri cari e all'impossibilità di condividere con essi i momenti belli e brutti data la lontananza. Inoltre, l’euforia di essere stati scelti per una spedizione antartica ci può far credere di avere il giusto carattere per poter affrontare una simile sfida ma a volte ci si rende conto che non è così sia per la situazione logistica sia per i rapporti interpersonali che si possono instaurare con gli altri colleghi. In questo continente dove tutto è enfatizzato, possono nascere sia delle bellissime amicizie ma anche delle forti incomprensioni, difficili da gestire durante tutto un anno.

Lo stress fisico, invece, è legato soprattutto alle condizioni ambientali in cui viviamo. La bassa temperatura, il forte sole durante l'estate e la mancanza di luce durante la notte polare non sono gli unici problemi climatici da affrontare in quest’ambiente. Infatti, la base si trova a una altitudine di 3233m ma la rarefazione dell'aria tipica di queste altitudini (circa il 30% di ossigeno in meno rispetto il livello del mare) tende ad aumentare il disagio che si prova, situazione corrispondente a un'altitudine di circa 3700m delle nostre Alpi. Il mal d'altitudine si può manifestare con differenti sintomi e con un'intensità variabile da persona a persona: mal di testa, vertigini, nausea, vomito, affanno e senso di affaticamento, insonnia, apnee notturne, fino ad arrivare nei casi peggiori ad allucinazioni, edema polmonare e cerebrale. Basta un minimo sforzo per andare in iperventilazione e così nei primi giorni è sempre consigliato il riposo mentre qualsiasi attività dovrebbe essere eseguita con estrema lentezza. Questi sintomi si attenuano o spariscono nella prima settimana di permanenza a Dome C ma sfortunatamente, per alcune persone, questi problemi continuano anche per tutto l'inverno. Ad esempio, durante il mio primo winterover ho avuto seri problemi di insonnia legati all'altitudine riuscendo a dormire solo qualche ora per notte. Il senso di affanno, invece, non ci abbandona mai.

Tutto questo per dire che, se non si è veramente motivati e consapevoli di quello a cui si può andare incontro, difficilmente si riesce a passare incolumi l'anno. Naturalmente esistono tanti aspetti positivi che aiutano ad affrontare un winterover e ancora di più a farne due. Durante la campagna estiva, colleghi e amici mi hanno detto che sarò la prima donna a fare due inverni a Concordia e se “sopravviverò” fino al prossimo novembre, quando ritorneranno col primo aereo, avrò come regalo una targa di riconoscimento. Vediamo se si ricorderanno!

Qual è il suo ruolo e le competenze che le sono richieste? Come si svolge la giornata di lavoro?

La mia situazione lavorativa è particolare. Laureata in Ingegneria Civile, con un dottorato in Scienze Geodetiche e Topografiche ora mi trovo a Concordia per seguire la parte meteo e alcuni esperimenti di fisica dell'atmosfera. Ho lavorato a tempo pieno nel campo nella ricerca fino al 2008 e successivamente, per scelte professionali e personali, mi sono dedicata alla libera professione come ingegnere cercando comunque di dedicare del tempo alla ricerca. Nel 2006 ho partecipato alla mia prima spedizione in Antartide con il gruppo di Scienze Geodetiche e Topografiche e seguivamo una rete di stazioni GPS per lo studio dei movimenti tettonici. Durante questa missione ho conosciuto il gruppo del dipartimento ISAC (Istituto di Scienza dell'Atmosfera e del Clima) del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Bologna, grazie ai quali sono ritornata in Antartide. Quando nel 2012 mi sono proposta a loro come invernante, ho avuto la loro fiducia e dopo un periodo di affiancamento in Italia, presso il CNR di Bologna, a Helsinki (poiché una parte della strumentazione è finlandese) e direttamente alla base Concordia, ho fatto il mio primo winterover nel 2013 e il secondo ora. Le competenze richieste sono principalmente di informatica, di programmazione e di elettronica unite a tanto senso pratico.

La mia giornata lavorativa comincia alle 8.00. Terminata la riunione giornaliera nella quale si discutono i vari problemi e si organizza il lavoro tecnico, mi dirigo nel mio laboratorio per controllare da remoto tutta la strumentazione. In particolare, controllo che ci sia stata l’acquisizione dei dati e che gli stessi siano stati inviati ai relativi responsabili di progetto e controllo eventuali problemi subentrati durante la notte. Verso le 9.30 esco dalla base per effettuare la manutenzione, la rimozione della neve dagli strumenti, la movimentazione degli stessi. Tutti gli strumenti si trovano in un raggio di circa 1 km dalla base. Questa distanza è anche la massima consentita durante l'inverno per questioni di sicurezza, essendo tutti gli spostamenti fatti a piedi poiché da febbraio a novembre tutti i mezzi non possono essere utilizzati per le basse temperature. Alle 12.00 si pranza tutti insieme e alle 13.30 si riprende il lavoro. Una volta a settimana, durante il periodo invernale, assieme alla glaciologa francese, Nicole Hueber, andiamo alla torre americana. Questa è una torre metallica alta circa 45 metri e sulla quale, nei diversi piani che la formano, sono collocati strumenti (centraline meteo, radiometri e un albedo) che devono essere ripuliti dal deposito di neve per un loro corretto funzionamento.La cena è alle 19.45 per permettermi, alle 19.30,di lanciare il pallone per il radiosondaggio. Solitamente la mia giornata lavorativa termina intorno alle 20.30 quando, finito il radiosondaggio, invio i dati all'aeronautica militare.

Condizioni ambientali estreme e condizioni abitative conseguenti con spazi ristretti e difficoltà oggettive nella quotidianità. In che modo si cerca di rendere ospitale una realtà così complessa?

In realtà non esistono delle regole ben precise per rendere ospitale un'esperienza così complessa ma nella piccola comunità che si viene a creare a Concordia, così come dovrebbe essere in qualsiasi altro ambiente di vita, penso siano quattro le qualità fondamentali che non dovrebbero mai mancare a una persona che si appresta a compiere un inverno in Antartide: umiltà, rispetto per le altre persone e i loro pensieri, capacità di adattamento e pazienza. La presenza di questi aspetti renderebbe tutto più semplice e comunque, sarebbe un buon punto di partenza nel facilitare la convivenza e nel creare un ambiente sereno. Non dimentichiamoci poi, il buon senso! Ognuno di noi dovrebbe rendersi conto di avere un ruolo importante per tutto il team e che solo con l’unità del gruppo è possibile affrontare e risolvere i vari problemi che possono insorgere. Guardare un film assieme, passare una serata chiacchierando, aiutare un compagno a terminare un lavoro, organizzare delle feste di compleanno o per qualunque altra ricorrenza, organizzare dei corsi di cucina o fare un gioco di società ti permette sia di rilassarti ma anche di conoscere meglio le persone con le quali stai vivendo questa esperienza favorendo così l’unione del gruppo.