…È conservato a Vigna di Valle ed è stato sottratto a una fine ingloriosa: era stato usato prima come cabina da spiaggia e poi come pollaio. C’è poco da fare: […] sconta il legame con il Fascismo. «Ma è anche un pezzo di storia e l’Italia non può non averlo»…

Il pezzo cui si fa riferimento in questo brano di articolo pubblicato lo scorso novembre sulle cronache milanesi del Corsera, è largo 24 metri, lungo 16,5 e pesa a pieno carico 10 tonnellate. Ha popolato riviste, cinegiornali, documentari; persino Hayao Miyazaki, noto cultore della materia, non ha potuto esimersi dal riservargli alcune sequenze nel suo Porco Rosso (1992).

Oggi ne sopravvive un solo esemplare, chiamato Jahú dal suo ultimo proprietario e gelosamente custodito in un museo brasiliano. Le vane richieste di rimpatrio di quest’ultimo da parte dell’Italia hanno via via giustificato non uno ma due progetti di costruzione di copie in scala reale: una, statica, troverebbe posto presso il museo di Volandia, mentre l’altra, addirittura motorizzata, andrebbe in giro per il mondo come i suoi antenati. Con quale riscontro di pubblico? Difficile a dirsi, ma probabilmente ci sarebbero delle gradite sorprese, visto che l’oggetto in questione è un feticcio dell’industria aeronautica degli Anni Ruggenti: il Savoia-Marchetti S.55, protagonista indiscusso dell’epoca degli idrovolanti.

Conoscere la storia di questo aeroplano significa riscoprire l’Italia degli anni Venti e Trenta e studiare due personaggi fondamentali per la sorte di questo apparecchio. Il primo è ovviamente il suo progettista, l’ingegner Alessandro Marchetti: la sua passione per le macchine volanti fu precoce e duratura, tanto da spingerlo a rilevare la SIAI (Società Idrovolanti Alta Italia) per farne la SIAI-Marchetti, successivamente rinominata Savoia-Marchetti in omaggio alla Real Casa. In anni in cui l’industria aeronautica era particolarmente interessata agli idrovolanti, ma i più si limitavano ad adattare aerei convenzionali all’ammaraggio, chi tramite il montaggio di scarponi al posto dei carrelli anteriori, chi attraverso la carenatura dello scafo, Marchetti spiazzò tutti grazie a un approccio tanto facile quanto spesso disatteso: rovesciare il punto di vista. Egli quindi cercò il modello di natante più stabile e lo adattò al volo, scelse il catamarano e gli mise le ali: era il 1923 e il Commissariato Aeronautica, posto di fronte al prodigio dell’S.55, non ebbe la forza di approvarlo, salvo poi ricredersi 3 anni dopo. A quella data il prototipo aveva già stabilito 14 record mondiali e stava entrando in scena il secondo promotore dell’S.55: Italo Balbo.

Il “Ras” di Ferrara, già organizzatore prima dello squadrismo e poi della Marcia su Roma, si era da poco dimesso da comandante supremo della Milizia a causa dell’inchiesta sull’omicidio di Don Minzoni; Mussolini allora, volendo da un lato dare una struttura a un’Arma ancora gracile e dall’altro tenere stretto a sé l’irruento quadrumviro collocandolo entro un dicastero del quale aveva ancora la delega, lo fece Sottosegretario all’Aeronautica. In questo ruolo prima e in quello di ministro dal ’29, Balbo si impegnò a difendere accanitamente l’indipendenza del corpo, accantonare definitivamente i dirigibili (mossa facilitata dall’incidente polare di Nobile nel ’28), diffondere nel Paese la cultura aviatoria (anche imponendo a tutte le province di dotarsi di un aeroporto), istituire scuole di specialità e in definitiva chiudere per sempre la fase romantica e individualistica degli “assi” formando i piloti al lavoro di squadra. Ecco allora la fine delle imprese solitarie, su cui si era costruita la fama di Francesco De Pinedo, e l’inizio delle crociere di massa, concepite per addestrare gli equipaggi a lunghe trasvolate in formazione, procurare commesse estere all’industria aeronautica nazionale e dar nuovo lustro a un governo che, scosso dal delitto Matteotti e pressato dall’ala oltranzista (capeggiata proprio da Balbo), da autoritario era divenuto pienamente dittatoriale.

In queste plateali operazioni d’immagine il contributo degli S.55 crebbe progressivamente: se infatti nella Crociera del Mediterraneo Occidentale (1928) erano solo 8 su 61, in quella del Mediterraneo Orientale (1929) erano già 32 su 35 e impressionarono a tal punto il governo sovietico da fruttare una commessa di 30 esemplari e il pagamento della licenza di costruzione. Una volta esaurito il “mare nostrum”, fu il turno dell’Oceano. Le due crociere atlantiche (Italia-Brasile 1930-31, Italia-USA 1933) segnarono la definitiva consacrazione di Balbo, della Regia Aeronautica e degli S.55: lo spettacolo di veder spuntarne 14 da dietro il Pan di Zucchero e poi ammararne 24 in formazione compatta nel lago Michigan durante la “Century of Progress” World Fair di Chicago lasciò il mondo senza fiato, fece coniare alla stampa anglosassone l’espressione “Air Armada” e riempì di orgoglio i tanti Italiani emigrati oltreoceano.

Le migliorie apportate da Marchetti e l’abile regia di Balbo avevano comportato un trionfo mediatico: il mercato americano reagì bene e tutto lasciava presagire nuovi, fortunati sviluppi. La “ticket-tape parade” organizzata a New York per gli Atlantici fu invece l’ultimo atto di queste iniziative. Pochi mesi e Mussolini, impensierito dall’eccessiva fama di Balbo, lo rimuoveva dal ministero, salvo poi esiliarlo in Libia come Governatore. Così privata del suo potente protettore, la Regia Aeronautica tornava a essere la “cenerentola” delle Forze Armate italiane, condizione gravida di conseguenze nefaste. Marchetti proseguì la sua attività di progettista, specializzandosi nell’attento utilizzo di materiali non strategici e fornendo ai nostri reparti aerei due gioielli come il bombardiere-silurante SM79 “Sparviero”, meglio noto come il “gobbo maledetto” e il trasporto truppe SM82 “Marsupiale”, molto apprezzato dagli stessi Tedeschi.

Quanto agli S55, a 15 anni dall’esordio il loro ciclo poteva dirsi esaurito e, dopo sporadiche missioni nella guerra civile spagnola, dal 1938 vennero via via rimpiazzati dalla Regia Aeronautica con i CRDA Cant 506 “Airone”. L’epoca delle pacifiche scorribande nei cieli di mezzo mondo era conclusa per sempre e i tempi nuovi si accingevano a lasciare il proprio segno su tutto, non ultima quella che era stata la base per antonomasia degli S55: l’idroscalo di Orbetello, raso al suolo dai Tedeschi in ritirata nel ’44 e ancor oggi in totale abbandono.

Altrove ebbero vita più lunga, come in Romania e in Russia, dove alcuni di loro volavano ancora nei primi anni Ottanta, o in Brasile, dove il modello usato da De Pinedo per la traversata oceanica in solitaria del ’27, dopo alterne vicende è diventato il Jahú citato in precedenza. Fa un certo effetto invece che in Italia, degli oltre 200 esemplari prodotti per uso sia civile sia militare, pressoché nulla sia sopravvissuto. Rimangono bobine e bobine di filmati d’epoca; rimangono i progetti originali su carta ormai ingiallita; rimane la passione di quanti, a titolo del tutto gratuito, dedicano tempo, soldi e competenze al recupero di un pezzo della nostra Storia. Rimane la speranza di poter nuovamente alzare gli occhi al cielo per ammirare un catamarano volante.

Un particolare ringraziamento a Luciano Pontolillo, Bruno Fochesato, Marco di Cocco e Giacomo Bellucci.

Fonti:
Progetto55
Flavio Vanetti, Da una carcassa adibita a pollaio rinasce l’idrovolante di Italo Balbo in Corriere della Sera ed. Milano, 21-11-2016
Giordano Bruno Guerri, Italo Balbo, Milano, 1984