Chiacchierando con un nipotino di seconda generazione e raccontandogli della mia prima esperienza di lavoro lontano da casa, il mio giovanissimo interlocutore ha trovato stupefacente che solo trenta anni fa, quando ci domandavamo, canticchiando un successo di Raf, cosa sarebbe restato degli anni Ottanta, riuscissimo a sopravvivere senza cellulare e senza internet. Ha trovato quasi incredibile che per mettermi in contatto con mia moglie dovessi servirmi di un telefono a gettoni, parlando sempre di fretta, angosciato dal rumore del contatore che deglutiva l’uno dietro l’altro i gettoni, che non era sempre facilissimo procurarci; che per fare le fotografie fossimo costretti a gestire con attenzione e parsimonia il numero delle pose che il rullino conteneva; che non potessimo metterci nella testa ininterrotti flussi sonori con l’Ipod. Tempi per lui appartenenti a un passato remotissimo. Si è addirittura divertito quando, per vincere la sua incredulità sui sistemi di calcolo dell’infanzia di noi ultrasessantenni, gli ho fatto vedere in internet un coloratissimo pallottoliere. Ancora più allegramente stupito è rimasto quando gli ho mostrato, sempre in rete, il regolo calcolatore, che è rimasto principale strumento di calcolo veloce fino a quando sono diventati alla portata di tutti, alla metà degli anni Settanta, i tascabili elettronici.

Non riesce a convincersi il piccolo che quel bellissimo oggetto vintage posto sul tavolino del salotto, una gloriosa Olivetti M40, era ancora negli anni Settanta utilizzatissima, nonostante la presenza di macchine da scrivere elettriche e di qualcuna elettronica che usava il sistema rivoluzionario della testina rotante. Il piccolo ha assunto, insomma, lo sprezzante atteggiamento di superiorità di chi ha a che fare con un decrepito zio, con uno di quelli che noi, quando abbiamo avuto la sua età, chiamavamo “matusa”, uno che ha vissuto una giovinezza da cavernicolo senza cellulare, senza facebook, senza computer.

E giù una serie di domande. Come facevamo a prenotare treni e vacanze? Come si poteva lavorare negli uffici e nelle banche? Come si poteva incastrare un delinquente senza tabulati e senza cellule telefoniche? Poi è diventato addirittura insolente immaginando la nostra vita senza telecomandi per aprire i cancelli e senza telepass. E non mi è sembrato convintissimo quando gli ho assicurato che, pure senza gli strumenti velocissimi di cui disponiamo oggi, pur senza informatica e senza digitale, senza banche dati, senza tabulati telefonici, senza comunicazioni in tempo reale, riuscivamo alla fine a trovare anche il tempo libero per riposarci e divertirci.

Noi della generazione dei nonni, del resto, non siamo certo velocisti dell’informatica come i nostri nipotini, ma alla fine ce la caviamo e ci siamo abituati al computer. Forse di tanto in tanto lanciamo uno sguardo di nostalgia alla vecchia macchina ricordando tempi in cui la scrittura era rumoroso processo compositivo cadenzato dal campanello di fine rigo. E pensare che ai primi degli anni Settanta scrissi proprio con una monumentale Olivetti la mia tesi di laurea, in quattro copie con carta carbone! Era uno studio che richiedeva di tanto in tanto qualche carattere greco, per cui si doveva ricorrere all’uso dei “trasferibili”, che erano il massimo della modernità, con completissime manovre, non sempre riuscite, di perfetto allineamento sulle quattro copie.

E ci ostiniamo ancora a curare con amore e con premura le penne stilografiche che custodiamo con gelosia, perché siano sempre in grado di funzionare, sperando di poterle usare finalmente un giorno, recuperando il piacere di scrivere a mano, conducendola sulla carta con studiata lentezza, senza quella premura che ci costringe sempre a ricorrere al computer. Perché alla fine è sempre lì, servizievole, poggiato su un tavolino ergonomico che dovrebbe salvaguardarci dal mal di schiena e dal torcicollo. E gli affidiamo ciecamente le nostre scritture, le lettere, le operazioni contabili, la custodia delle foto di famiglia. Non abbiamo più bisogno nemmeno di sforzi mnemonici, perché c’è la sua memoria che è infallibile.

Ma siano certi di mettere le nostre sorti in mani mani sempre sicure? Non c’è il rischio dei virus? Non c’è il rischio degli hacker? Non c’è il rischio del veloce invecchiamento dei programmi? Non c’è il rischio di un banale blackout elettrico? Ce la farà il computer a sostituire sempre carta, penne, quaderni di computisteria, macchine da scrivere, linotype, registri contabili, lettere, cartoline, libri? Non è che da qualche tempo si è un po’ stancato?