L’Assenzio (Artemisia absinthium) è una pianta erbacea, appartenente alla Famiglia delle Asteraceae (ex Compositae), che cresce nei terreni incolti aridi, lungo i margini di sentieri e strade e in prossimità dei giardini, dove un tempo veniva abitualmente coltivata. Un sottile filo collega questa erba alla storia dell'uomo, un legame che oltrepassa i confini della medicina per invadere il campo del mito e della magia.

Le sue “radici” affondano nella protostoria: è citata in alcuni antichi testi assiri e in vari papiri egiziani, tra cui in quello di Ebers, risalente al 1600 a.C. Nella Bibbia (Apocalisse di Giovanni 8:11), con il nome di Assenzio viene designata una stella che cade sulla terza parte delle acque rendendole amare; mentre nel Deuteronomio (29:18) e in Geremia (9:15), il sapore amaro che caratterizza l’Assenzio assume il significato di calamità e sventura. Tali citazioni hanno contribuito a rafforzare l’alone di mistero che avvolge da sempre questa pianta; non è un caso che fosse considerata un’erba funebre e che venisse coltivata intorno ai cimiteri, con la funzione di “guardiana delle anime”.

Sin dall'antichità, per la sua natura tipicamente lunare, è stata associata alla fertilità e alla dimensione femminile. Il termine artemisia, infatti, sembra derivare dalla dea Artemide (che i romani identificarono con Diana), sorella gemella di Apollo: signora dei boschi e dei luoghi selvatici, custode degli animali, dei torrenti, delle fonti e protettrice delle donne. Altri Autori associano questo nome al greco artemes, nel significato di risanare, guarire. Per Dioscoride era un’erba utile contro il veleno della cicuta e di animali pericolosi come scorpioni, ragni, serpenti e topi; mentre impastata con miele e applicata sui “luoghi naturali delle femmine” favoriva le mestruazioni.

Ma questa pianta era apprezzata anche per le sue proprietà afrodisiache, infatti un noto rimedio da spalmare sulle parti intime, veniva preparato con Assenzio, Timo, Maggiorana, Calendula e Verbena, ridotti in polvere e miscelati con miele e aceto. Sotto forma di decotto molto concentrato trovava impiego come abortivo (spesso con esiti mortali), sfruttando la sua capacità di stimolare le contrazioni uterine e indurre tachicardia fetale. Dal punto di vista biochimico, l’intera pianta contiene numerose sostanze attive, tra cui un olio essenziale (ricco di tujone), una sostanza amara (absintina), flavonoidi, vari acidi organici, alcune vitamine, sostanze tanniche e resinose.

In fitoterapia l’Assenzio è apprezzato per le sue proprietà aperitive, stomachiche, digestive, colagoghe, coleretiche, vermifughe (nei confronti dei comuni nematodi intestinali come ascaridi, ossiuri e tenia), antisettiche, emmenagoghe, antispasmodiche, toniche e neurostimolanti. Il succo fresco, cosparso sulla pelle, funziona da repellente nei confronti di zanzare, mosche e tafani; l'infuso può essere usato anche in ambito veterinario per eliminare pulci e zecche (risulta efficace anche contro formiche, afidi e acari).

Ma la fama di questa pianta è legata soprattutto alla preparazione di un liquore (ottenuto dalla distillazione delle foglie e delle sommità fiorite) dal sapore pieno, aspro e spiccatamente amaro. Tale bevanda è conosciuta tra “gli addetti ai lavori” con l’appellativo di Fata verde, a causa del suo colore verde pallido e degli effetti collaterali di natura psicotropa che provoca se consumato in dosi eccessive. Secondo la tradizione, l'origine di questo particolare distillato risale alla fine del 1700, ad opera del medico francese Pierre Ordinaire, il quale si inspirò a un'antica ricetta fornitagli da alcuni monaci.

Col passare del tempo comparvero, in Francia e in Svizzera, molte distillerie e il liquore di Assenzio divenne una delle bevande più consumate in tutta Europa. Proprio in Francia, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, divenne il simbolo di una cultura alternativa, una specie di bandiera di libertà, fonte di ispirazione per molti scrittori e artisti che frequentavano gli ambienti parigini del tempo, tra cui Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Degas, Toulouse-Lautrec,Van Gogh, Dowson, Wilde, ecc... I dandy e i bohemien dell'epoca lo consideravano il loro compagno inseparabile e proprio Oscar Wilde riferendosi alla “fata verde” era solito dire: «Un bicchiere d’assenzio, non c’è niente di più poetico al mondo… Che differenza c’è tra un bicchiere di assenzio e un tramonto? Il primo stadio è quello del bevitore normale, il secondo quello in cui cominciate a vedere cose mostruose e crudeli ma, se perseverate, arriverete al terzo livello, quello in cui vedete le cose che volete, cose strane, meravigliose».

La ricetta originale di questa bevanda prevedeva, oltre alla presenza dell’Assenzio come ingrediente principale, l’aggiunta di semi di finocchio e di anice verde. Esistevano anche delle versioni alternative realizzate con l’ausilio di varie piante, tra cui Calamo aromatico (Acorus calamus), Issopo (Hyssopus officinalis), Angelica (Angelica archangelica), Coriandolo (Coriandrum sativum), Melissa (Melissa officinalis), Salvia (Salvia officinalis), ecc.; mentre agli amanti del proibito erano riservate delle formule più “stimolanti” che contemplavano anche l’uso del laudano (tintura di oppio).

La tossicità di questo liquore (oltre ai problemi connessi all'abuso di alcool) è legata, principalmente, alla presenza di tujone (e di alcuni suoi metaboliti), il quale, ad elevate concentrazioni, provoca disturbi neurotossici che si manifestano con diminuzione del ritmo cardiaco, difficoltà respiratorie, euforia, agitazione, depressione, vertigini, allucinazioni, deliri paranoici e convulsioni che possono portare alla morte. Nel corso della sua lunga storia la fata verde ha mietuto numerose vittime illustri; oggi la vendita del liquore di Assenzio è libera, ma una normativa europea fissa i massimi livelli consentiti di tujone sia nelle bevande alcoliche che nelle derrate alimentari.