Se si è curiosi e si prova a indagare cosa c’è dietro il nome di una pianta spesso si scopre molto di più di quanto potremmo sospettare … Infatti questi cognomi e nomi vegetali, il genere e la specie, rigorosamente scritti in corsivo e seguiti da un codice che rende riconoscibile il suo classificatore, già apre un mondo fatto di luoghi, persone, storie piuttosto intricate e affascinanti che spesso nella letteratura inglese trovano spazio quali espedienti di romanzi di successo.

Poco avevo finora indagato su questa grande famiglia di piante che oggi sono molto di moda e i nostri appassionati botanici, i vivaisti e giardinieri italiani, chiamano ortensie per indicare la grande famiglia delle Hydrangeaceae, mentre nei paesi anglosassoni si usa parlare di hydrangea. Ebbene, grazie allo studio assiduo di una cultrice della materia che ha appena pubblicato sul tema un testo estremamente accurato e scientificamente impeccabile, la naturalista italiana Eva Boasso, è facile scoprire le perigliose avventure di questo gruppo di piante che, prima di approdare in terra italiana, hanno dovuto aspettare le grandi esplorazioni naturalistiche passate alla storia.

Il termine Hortensia compare per la prima volta nel 1771 in un foglio d’erbario, oggi al Museo di Storia Naturale di Parigi, vergato a mano dal famoso e leggendario medico francese Philibert Commerçon, che partecipò alla fortunata circumnavigazione del mondo capitanata da Louis-Antoine de Bouganville, quale esperto naturalista, e grazie alla cui raccolta oggi l'erbario svela una parte dell'intricata storia di queste piante. Dico intricata perché anche l’arrivo a Parigi delle casse di piante e degli erbari provenienti dalle isole visitate, per ultima Bourbon nell’arcipelago delle Mascarene, oggi Réunion, è stato quanto meno fortuito.

Sembra infatti che il povero Commerçon sia morto di febbre malarica dopo essere stato lasciato sull’isola da Bouganville, quando l’equipaggio scoprì che il suo servitore fedelissimo era un travesti, la giovane e capace botanica Jeanne Baret, la più fidata collaboratrice che non avrebbe mai potuto far parte dell’equipaggio in quanto donna. Il nome Hortensia è quindi per la prima volta attribuito a un esemplare da Commerçon, che la trova in un giardino dell’isola di Bourbon nel maggio 1771, qui portata da viaggiatori olandesi di ritorno dal Giappone. La ricompensa del re Luigi XVI all’esploratrice Baret per aver portato 5000 campioni vegetali raccolti nella spedizione sanò l’affronto fattole per essere stata anche lei lasciata sull’isola, come la leggenda racconta, con il suo compagno di viaggi e di lavoro.

Molto si disquisisce sull’attribuzione di questo termine alla pianta a partire dall’Ottocento, se in onore di un amica di Commerçon, una certa Hortense, nome familiare di M.me Nicole Lepaute, passata alla storia come astronoma e matematica, anche lei viaggiatrice: da qui il primo nome dato all’esemplare Peutia Celestina anche in riferimento al cielo, passione della studiosa, o al colore dell’infiorescenza. Vi chiederete perché dunque oggi questa numerosa famiglia di piante, di almeno 40 specie e innumerevoli varietà e cultivar, sia ufficialmente definita dal sistema internazionale di classificazione Hydrangea. Ebbene questo neologismo di derivazione greca, riferita alla forma delle capsule dei semi che ricordano dei contenitori per l’acqua hydor e angeon, passa nei testi ottocenteschi ma ha un’origine ancora precedente, in quanto utilizzata dall’olandese Johann Frederik Gronov, nel 1739, nell’edizione Flora Virginica, per indicare un esemplare proveniente dall’America del Nord. Comunque sappiamo con certezza l’origine di queste piante, che sono spontanee in Asia e in America Settentrionale.

Ajisai è il nome di molte cultivar in Giappone, luogo di prevalente origine, e che spesso ritroviamo nella denominazione della varietà. Lo stesso studioso francese Jean-Baptiste Lamark, nel suo volume dedicato alla botanica riferisce dell’Hortensia: … "volgarmente detta Rose du Japon … interessante per la bellezza dei mazzi di cui si copre” (Encyclopédie Methodique, Vol. III Botanique). Oggi la collezione di Hydrangee più ampia a livello mondiale è quella chiamata “Shamrock”, creata da una vera specialista di questo genere, la francese Corinne Mallet, che le ha studiate esplorando tutte le aree del mondo dove crescono spontaneamente e specialmente in Giappone, dove incontra il grande maestro e botanico Takeomi Yamamoto. Oggi il Conservatoire des Collection Végétales Spécialisés l’ha riconosciuta Collection Nationale d’Hydrangea.

Fortunatamente oggi anche l’Italia può vantare molti giardini dove apprezzare questi arbusti che vivono spontaneamente nelle zone subtropicali e temperate nell’emisfero boreale in due fasce ristrette, una subtropicale e una temperata nell’emisfero australe. I cespugli sono da piccoli a molto grandi con rami verticali orizzontali, procombenti o prostrati, le foglie sono molto diverse tra loro, da piccole a grandi, ellittiche, rotondeggianti, a volta cordate, opache, lucide. E i colori variano dal verde tenero a quello scuro, con riflessi gialli, e assumono tonalità diverse in autunno a seconda della specie: quindi colorano il giardino dal giallo al porpora al ruggine fino al rosso fuoco. Sono a foglia caduca tranne la varietà Mikamba che lascia la foglia negli inverni miti. Nelle specie quercifolia sono grandi fino a 35 cm.

La caratteristica più interessante è la varietà di infiorescenze, gruppi di fiori con forme diversissime sia nei colori che nella struttura, da quelle bombate a formare come delle palle compatte, sferiche, semisferiche, irregolari o a panicolo più o meno allungato. I colori sono infiniti, con gradazioni diverse dai bianchi ai rosati, fino al blu al rosso e al verde acido. Ma per poterle conoscere i luoghi più favorevoli ove apprezzarle sono nel centro nord Italia, dove i giardini e i parchi che ne posseggono intere collezioni cominciano ad essere numerosi. Ormai nota è quella dei giardini della Pergola ad Alassio, sulla Riviera ligure, a cui dedicai un intero articolo,ma anche il Piemonte rappresenta un luogo di facile coltivazione.

Recentemente tre sono le collezioni che ho potuto ammirare, accompagnata dalla naturalista Eva Boasso che solo nel suo giardino ne ha ben 250 varietà. Ebbene il giardino è poco più di 1000 metri quadri ma le innumerevoli rarità convivono felicemente, le più piccole e delicate necessitano di ombra perché spontanee e nei boschi si scoprono negli angoli più nascosti. Dalle grandi arborescens Annabelle dal bianco candido alle macrophylla Ayesha, alle serrate in varietà speciali come la Bluebird che forma densi cuscini dai fiori piatti e azzurri che rifioriscono anche a fine estate.

Ma il tour non finisce qui perché Eva mi conduce a vedere una sorta di sua creazione presso un’antica dimora che guarda dall’alto la città di Pinerolo, sulle rovine di una fortezza. Il proprietario si è affidato a lei per ricreare il giardino a terrazze e ottenere un percorso di scoperte di varietà associate con tutta la cura possibile per ottenere un vero effetto decorativo degno di un paesaggista. Le rampicanti si intrecciano sulla serra, e i piccoli terrazzi sfoggiano bordure di ortensie provenienti da vivai e collezioni di altri noti giardini e vivai. Tutto è ancora in progress ma gli effetti sono già ben visibili e il proprietario ne ha già acquistate centinaia riportandole accuratamente in una planimetria che mi fa vedere con orgoglio mentre passeggiamo tra aiuole, scalette e magnifici scorci sul paesaggio che guarda le cime delle Alpi Cozie.

Eva ha ancora un asso nella manica per mostrarmi le sue amate, il parco storico del Torrione progettato nei primi dell’Ottocento, probabilmente intorno al 1830, dall’architetto prussiano Xavier Kurten (1769-1840), anche noto per essere stato l’architetto di Re Carlo Felice e di Carlo Alberto, nonché paesaggista del Parco Reale di Racconigi. Qui la bellezza del luogo, oltre che la grande radura contornata in stile tipicamente paesaggistico con viali a serpentina e un piccolo lago con isolotto, è data dalla collezione di grandi alberi secolari che costituiscono la collezione tipica di quell’epoca, dove conifere come grandi cipressi e pini austriaci, cedri dell’Himalaya e dell’Atlante si intrecciano con querce americane, noci, magnolie, maestose sequoie e i cipressi calvi. Più recentemente i Doria Lamba, proprietari del palazzo lineare e sobrio posto proprio a guardare il grande parco, dove un grande campo di grano allieta la vista dell’ospite del raffinato Resort, hanno introdotto un'incredibile collezione di Hydrangee per arricchire i vasti spazi del sottobosco, rallegrare le lunghe passeggiate all’interno del parco, che sicuramente all’epoca erano impreziositi da specie da ombra oggi scomparse. Il giardiniere, che essendo unico curatore del parco di circa 20 ettari si muove in bicicletta per controllare le migliaia di piante che necessitano di tante cure, mi confessa che avendo oggi a che fare con ben 74 diverse varietà di Hydrangea ha dovuto studiarle molto bene per comprenderne le esigenze di acqua, luce e ombra, potatura, per favorire o mantenere meglio le grandi fioriture che sono scalari e rendono sempre interessante la visita al parco.

Ecco dunque che le ortensie fanno da protagoniste e invitano l’ospite a saperne un po’ di più di questa specie che molti conoscono nella sua forma più nota, quella che non mancava nel giardino a grandi fiori rosa della nonna ...