Facebook è lo strumento di comunicazione più usato al mondo ed è il mezzo che si è propagato con maggior velocità rispetto a qualunque altro a partire da internet fino a tecnologie antiche come la televisione, il cinema o la radio. Facebook oltretutto cresce in continuazione, senza mai arrestare il fiume di utenza nuova che vi sfocia; non solo ma più i suoi utenti crescono più ne dipendono. Al contrario di quanto ci si aspetterebbe la maggiore diffusione non corrisponde a un livello di coinvolgimento più basso, a dispetto degli altri strumenti citati prima.

Essere connessi viene considerato dalla maggior parte delle persone non solo una cosa positiva ma una condizione necessaria. Ma è davvero così? Nella storia dell’uomo si è visto più volte come le piazze affollate da masse di persone hanno portato a disastri immani, come le due guerre mondiali in Europa. Per esempio è opinione diffusa che Facebook abbia un ruolo importante nella condivisione di fake news e la nuova dichiarazione d’intenti specificata dall’azienda afferma: “Dare alle persone il potere di costruire comunità e unire sempre di più il mondo”.

Il principio di Facebook è che agli utenti piace curiosare nella vita degli altri, facendo confronti, vantandosi, mettendosi in mostra, addirittura sfogando frustrazioni quali l’invidia o la malinconia. L’uomo comune non ha idea di cosa vuole, di cosa cerca e come bisogna comportarsi e porsi nei confronti del mondo perché non ha valori e convinzioni; ha solo la possibilità di copiare dagli altri e quindi essere un homo mimeticus. È importante per le persone l’opinione degli altri e Facebook dà la possibilità di ricevere feedback a proposito di qualunque cosa o situazione, pareri su ciò che stiamo mangiando, sulla relazione che abbiamo appena cominciato, sul nostro ultimo look ed è lo strumento di comunicazione più popolare dell’umanità, ormai alla portata di tutti 24 ore su 24.

Questi sono i meccanismi che attivano la dipendenza da Facebook. Desideriamo ciò che desiderano gli altri perché sono gli altri a desiderarlo. Un continuo confronto che sfocia nella frustrazione e nella depressione, in un circolo vizioso in cui è l’utente stesso a ingabbiarsi. Alcuni studi riportano che un aumento di “mi piace” corrisponderebbe a un peggioramento della salute mentale dell’utente. Nonostante la mission di Facebook sia unire il mondo è chiaro che invece si creano dei gruppi di opinionisti che la pensano allo stesso modo, così si frammenta, più che unire la comunità mondiale, ciascun gruppo nella propria isola. Di fatto l’utente incontra solo persone che la pensano come lui, limitando la sua visione d’insieme. La concezione di comunità si fa sempre più stretta, soprattutto se si pensa al tessuto politico che si sta delineando negli ultimi anni, che si fa sempre più frazionato.

Forse però una qualche possibilità positiva per questo strumento c’è. Se si pensa alla televisione italiana degli esordi, ci tornano in mente il programma Non è mai troppo tardi condotto da Alberto Manzi che si occupava di alfabetizzare i cittadini italiani. Sarebbe bellissimo se Facebook riuscisse a creare un homo mimeticus che valesse la pena copiare e imitare, per poter costruire davvero un mondo più unito da valori positivi quali il rispetto e la dignità propria e degli altri. Se si pensa a certi movimenti di massa quali le Primavere Arabe o alle manifestazioni di Martin Luther King o Gandhi, subito comprendiamo come la massa possa impattare negativamente sulla società come può altrettanto influire positivamente su di essa, ricordando sempre che queste esperienze sono difficoltose da perseguire perché si sa, fare del bene è un’opera grande ma irta di pericoli.