Molti bambini di oggi non saprebbero nemmeno come rispondere a questa domanda. Riesco invece a cavarmela grazie alle mie ascendenze sanvittoresi malgrado abbia sempre vissuto fin da piccolo la realtà dei mulini del mio paese, ormai da anni in disuso, come un fenomeno inesorabilmente relegato al passato. Un passato neanche così remoto se mia madre si ricorda che da bambina accompagnava suo nonno a far macinare i sacchi di farina per l'uso domestico. Quando un quintale di farina costava come un metro di casa e la presenza dei mulini era portatrice di sviluppo e prosperità.

Di fatto quei mulini rimangono fermi e appare irrealistico il loro recupero nonostante encomiabili iniziative come l’istituzione del Parco dei Mulini e della Greenway, nonostante vengano organizzate visite guidate per gli scolari e il Mulino Day, nonostante la prestigiosa corsa campestre IAAF Cinque Mulini Cross Country abbia loro regalato fama e notorietà televisiva, in realtà più all'estero che in Italia, più nell'ambito dell'atletica leggera che nel settore alimentare.

Quelle domande iniziali sono state rese anacronistiche dai cambiamenti subiti dalla moderna alimentazione. Esse si sono però attualizzate alla mia coscienza quando un amico di Canneto Pavese ex-Tenente degli Alpini mi ha accompagnato al Mulino Bruciamonti Siro di Santa Maria della Versa per acquistare un sacchetto di farina gialla di mais macinata a pietra con cui preparare un’ottima polenta decisamente più “strutturata” rispetto a quella che si può ottenere da una farina acquistata al supermercato. Una farina di cui si conosce vita, morte e miracoli a partire dal sapere che il luogo di provenienza si trova nelle vicinanze e dal conoscere personalmente la persona che ne ha coltivato e raccolto il cereale poi sottoposto a macinazione.

In una terra famosa per i vigneti e per i vini in loco prodotti ho scoperto una realtà di nicchia poco pubblicizzata ma assai apprezzata sia dai locali operatori del settore come alcuni qualificati panificatori sia dai privati.

Dunque la vera notizia è che esiste ancora un mulino che funziona! Stupore, incredulità, nostalgia e speranza si sono mescolati nella mia mente vedendo il titolare destreggiarsi con maestrìa tra le cinghie di cuoio del 1936 collegate alle macine di fine Ottocento che, mosse dall'energia elettrica, producono tuttora quintali di macinato di alta qualità ogni settimana. Possibile, mi sono domandato, che una simile attività non sia più praticabile lungo l'Olona dove per giunta si potrebbe sfruttare la forza motrice dell'acqua del fiume che per secoli ha fatto ruotare in modo ecologico antiche e nobili pale? Consegno a chi di dovere queste considerazioni.

Un salto nel passato o verso il futuro?

Innegabili sarebbero i vantaggi in termini di valorizzazione dei cereali autoctoni, di produzione diretta di farine da grani antichi e di alta qualità, di sensibilizzazione della gente verso un'alimentazione più sana. È infine opportuno sgomberare il campo da quel “si infarina” inserito nel titolo purificandolo da ogni velato nonché paradossale doppio senso. A tal fine e’ necessario impegnarsi per debellare davvero il concreto rischio di infarinarsi visto che indiscutibilmente nella nostra società si consumano troppi farinacei.

Nel caso specifico dell’esempio citato, cioè il mais, siamo di fronte al grosso vantaggio di una maggiore tollerabilità e dell’assenza di glutine rispetto alla farina di grano. È doveroso però puntualizzare che le farine, anche quelle pregiate, pur non essendo zuccheri raffinati presentano comunque un alto indice glicemico e il loro consumo deve essere moderato in base alle caratteristiche del soggetto.

La Medicina Tradizionale Cinese individua inoltre nelle ore serali il minimum circadiano di energia presente nel Meridiano della Milza sul quale gravita anche il pancreas. Le farine, come tutti i carboidrati, non andrebbero quindi consumati nelle ore serali quando aumentano la loro potenzialità diabetogena né a maggior ragione in caso di predisposizione famigliare al diabete o di malattia conclamata. Le farine in genere sono inoltre correlate al rialzo di alcuni marcatori tumorali. Valgono in questo caso soprattutto le considerazioni e gli insegnamenti del prof. Umberto Veronesi dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, del prof. Franco Berrino dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e della d.ssa Antonella Ferzi oncologa dell’Ospedale di Legnano.