Per comprendere il tema che vado a raccontarvi è bene partire da una antica leggenda, Viaggi e avventure dei tre principi di Serendippo, ambientata nell’attuale Sri-Lanka, l’antica isola dell’Oceano Indiano, per gli antichi greci Taprobane, per gli arabi Serendib, per i portoghesi Ceilão, per gli inglesi Ceylon.

La fiaba tradotta per la prima volta nel 1548 da Cristoforo Armeno, scrittore e traduttore italiano di origini mediorientali, narra l’avventura dei tre figli del re Giafar che decise di allontanarli dal regno perché diventassero ancora più sapienti. Stabilì quindi che andassero a vedere il mondo per conoscere per esperienza diretta i diversi costumi di molte nazioni che già conoscevano per averli studiati sui libri o appresi dai precettori. Durante il loro viaggio i tre fecero diverse scoperte, grazie al caso e alla loro sagacia, di cose che non stavano cercando. Proprio da qui lo scrittore inglese Horace Walpole (1717-1797), che scoprii agli albori dei miei studi sulla storia dell’arte del giardino grazie al suo Saggio sul giardino moderno (Strawberry Hill, 1771), coniò un neologismo che ebbe una grande fortuna linguistica, “serendipity”, per indicare la casualità di una scoperta inattesa mentre si è intenti a cercare altro.

Questo concetto è essenzialmente ciò che esprime con una frase lo scienziato Pasteur “la fortuna favorisce una mente preparata”, le scoperte e le intuizioni importanti avvengono se si è capaci di cogliere l’importanza di un fatto inatteso e a prima vista banale. Per Robert K. Merton (1910-2003), sociologo statunitense, la serendipità è un “modello consistente in un dato imprevisto, anomalo e strategico, che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente”.

A questo pensiero mi riporta una mostra davvero stimolante che propone in questi giorni, fino al prossimo marzo, il Museo di Storia Naturale di Venezia, nello storico Palazzo del Fondaco dei Turchi, dal titolo Seduzione Repulsione, quello che le piante non dicono. Si tratta della prima mostra itinerante realizzata dalla Rete degli Orti Botanici della Lombardia in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università degli Studi di Milano, curata da Patrizia Berera e Gelsomina Fico. A differenza di altre mostre, più limitate alla divulgazione e alla diffusione di temi scientifici, questa raccolta di testi esplicativi, immagini, oggetti reali come foglie, frutti semi riguardanti gli argomenti illustrati nei pannelli rigorosamente realizzati in materiali naturali e riciclabili, racconta complessi meccanismi messi in atto dal mondo vegetale per riprodursi e sopravvivere con una visione fitocentrica. Le inaspettate relazioni tra piante e ambiente, tra piante e altri organismi viventi sono fondamentali e straordinariamente irrinunciabili per garantire il futuro del nostro pianeta.

Per suscitare interesse nella comunicazione di dati scientifici è importante trovare spunti significativi e salienti che suggeriscano curiosità, ragionamenti, portino in mondi lontani e stimolino la fantasia; le curatrici hanno fatto centro perché sono partite non da un catalogo di informazioni botaniche o zoologiche ma hanno carpito da un numero sostanzioso di pubblicazioni scientifiche internazionali, di anatomia e fisiologia vegetale e molto altro relativamente al mondo vegetale, e hanno sviluppato temi di grande suggestione che ci guidano in un viaggio di interpretazione dei tanti meccanismi e strategie, ancora oggi alla base del mistero dell’origine della vita e della biodiversità.

Forme, colori, odori, sapori, veleni, inganno, cooperazione e seduzione sono le affascinanti tematiche affrontate nel percorso espositivo che riporta, accanto alle immagini scattate negli ambiti naturalistici più diversi, una saliente e specifica interpretazione del fenomeno trattato e delle sue conseguenze sulla vita, la diffusione e la riproduzione delle piante. Si parte da Charles Darwin, l’autore del noto trattato sull’Origine delle specie del 1859, che osserva come le piante siano evolute in “infinite forme bellissime e meravigliose” ingegnose soluzioni per adattarsi all’ambiente, attrarre gli impollinatori o respingere i predatori!

Se la spinosità di alcune specie che vivono nei deserti, ambienti estremi privi di acqua, è una soluzione per la sopravvivenza in quanto le microscopiche strutture a scaglie sulla spine sono fatte per convogliare acqua anche contro la forza di gravità, la convessità delle forme di altre specie fungono da antenne satellitari. Una pianta rara delle foreste dell’isola di Cuba, la Marcravia evenia, presenta solo nelle foglie che circondano i fiori penduli una concavità anomala che funga da antenna capace di mandare ai pipistrelli un segnale acustico estremamente attraente. I pipistrelli così si avvicinano per cibarsi del nettare e involontariamente si strusciano sulle antere del fiore e trasportano il polline su altri esemplari, permettendo l’impollinazione, quindi la formazione del frutto e dei semi.

Le piante seducono anche con forme invitanti, come la bellissima Strelizia reginae scoperta e classificata da Sir Joseph Banks, Bird-of-paradise flower, in onore della Regina Charlotte, Duchessa di Mecklenburg-Strelitz, quando la introdusse al Royal Gardens di Kew nel 1773, di ritorno dall’esplorazione sudafricana a Città del Capo. Il nome ci dà l’indizio della sua ingegnosa morfologia perché proprio quel fiore riesce a farsi impollinare da piccoli uccellini impollinatori, i colibrì, che muniti di un becco lungo e appuntito riescono ad appoggiarsi in una lunga brattea (un petalo trasformato in una specie di pista di atterraggio!) solida e lignificata e approvvigionarsi del nettare, per loro molto energetico e gustoso.

Il colore in natura è un elemento imprescindibile per distinguere le parti della pianta, riconoscere i frutti e le parti eduli da parti non commestibili, ma rappresenta anche uno strumento per ammaliare e sedurre sia uomini che impollinatori. Non molti sanno però che la valenza seduttiva di alcuni fiori e frutti è apprezzabile solamente da certi uccelli che hanno una vista eccellente e le piante cercano di attirarli producendo frutti o semi dai colori sgargianti preferibilmente rossi o neri. Ma la capacità visiva degli uccelli che si estende nell’ultravioletto consente loro di percepire la sostanza chiara che ricopre, ad esempio, i chicchi d’uva o i mirtilli (in gergo botanico pruina) per noi poco attraente, come un irresistibile colore brillante. Un buon pasto quindi ripagherà il compito di disseminare, una volta digeriti i chicchi, il prezioso seme delle bacche, che produrrà altre piantine, chissà quanto lontano dalle piante madri.

Straordinari sono anche gli stratagemmi legati ai profumi, in sostanza gli odori emessi dalle piante sono segnali emessi per attirare o respingere anche chi è lontano. “La memoria olfattiva - osserva Patrizia Berera quando illustra con passione la mostra da lei curata – contiene la promessa di una ricompensa o l’avvertimento di un possibile pericolo”. Come non pensare alle notissime Madeleine di Proust, ormai un topos letterario sulla memoria dei sensi capace di associare una sensazione olfattiva o gustativa a un piacere o a un dolore.

Le piante sono estremamente raffinate, hanno fiori con profumi “da sera”, come il famoso caprifoglio (Lonicera caprifolium L.) dal profumo inebriante al calar del sole per attirare le visite di pipistrelli e falene, oppure “da giorno”, come molte orchidee o la bocca di leone (Anthirrinum maijus L.), che emettono in fioritura picchi di profumo durante il giorno; i fiori bianchi non a caso sono più visibili di notte mentre quelli colorati durante il giorno.

Ma le sostanze volatili emesse da piante così gradevoli per l’uomo, come il timo o il comune origano per aromatizzare la pizza, o l'aromatica menta piperita, sono potenti repellenti per gli insetti e hanno attività battericida. La nota canfora, usata come antitarme (Cinnamomum camphora L.), contiene in tutte le sue parti un deterrente che preserva tutta la pianta dall’attacco di insetti fitofagi. E non dimentichiamo il gusto che in certi frutti può essere gradevolissimo quando sono maturi ma terribile quando sono ancora acerbi: anche in questo caso il motivo è presto detto, i frutti acerbi cercano di essere meno attraenti possibile poiché il seme al loro interno non è ancora pronto per essere disseminato e non ha ancora tutte le sostanze che gli permetterebbero di germinare una volta caduto nel terreno. Per questo alcuni frutti acerbi possono anche contenere sostanze velenose, per non farsi avvicinare da animali o insetti che solo a maturità potranno cibarsene e disseminarli una volta digerito il frutto. Attenzione quindi a mangiare un Alkekengi (Physalis alkekengi L.) non ancora maturo o un bel frutto della passione (Passiflora edulis Sims.) che pende in una bella siepe, sono frutti velenosi.

Meccanismi più complessi sono quelli di difesa, che in termini tecnici possiamo anche rintracciare nel fenomeno di coevoluzione pianta-animale. Si tratta del cosiddetto “aposemantismo” parola difficile per spiegare come l’intensa colorazione spesso associata alla velenosità è ostentata da molti animali che riescono ad allontanare le loro prede, ed è come se dicessero “stammi alla larga!”. La farfalla monarca, nota per le bellissime ali nere e arancioni che migra dal Canada al New Mexico, si nutre da larva di alcune sostanze tossiche presenti in alcune piante straordinarie, le Asclepias curassavica L., che rimangono accumulate fino allo stadio adulto. La ghiandaia azzurra americana se ne ciba e poi vomita il pasto piuttosto indigesto e associa così il ricordo della brutta esperienza ai colori della bellissima farfalla.

A volte la seduzione può essere fatale e qui dovremmo addentrarci nel mondo delle piante carnivore, come il cosiddetto giglio cobra delle paludi fredde del nord della California che intrappola e digerisce insetti all’interno delle sue foglie modificate per sopravvivere alla mancanza di azoto nei suoli acquitrinosi. Ma vi lascio alla scoperta di molte altre storie che dopo questa esposizione non potrete farvi scappare…