L’intero territorio posto sulla riva destra del Tevere - facente parte della cosiddetta Etruria meridionale [1] - merita grande attenzione per essere ricco di una storia che parte dagli albori stessi della civiltà laziale [2], anche se gli odierni comuni che ne formano il comprensorio sono tutti di origine medievale; molti di essi tuttavia conservano nel loro contesto o nelle loro viscere tracce molto evidenti di quella storia remota.

Il Frutaz, riportando un rilievo degli ingegneri A. Chiesa e B. Garbarini del 1744 nel quale si delinea la pianta del bacino fluviale del Tevere, con quel minimo di rigore scientifico che consentiva la documentazione del tempo, ci mostra una intensa attività di navigazione sul corso d’acqua, ma solo a far data dal secolo X [3]. In precedenza lo scarso movimento era soprattutto legato alla mancanza stessa degli eventuali utenti, in considerazione della grave depressione demografica che aveva colpito il territorio, già cuore pulsante dell’Impero Romano.

L’importanza della possibilità di usare il Tevere come via di comunicazione si presentò sin dal tempo della presenza dell’uomo sulle sue sponde; sono d’accordo con Anna Maria Reggiani quando afferma che la commistione fra etnie differenti è un poco la caratteristica della valle tiberina che assolve grazie a Capena e a Cures, quel ruolo di tramite e di punto d’incontro fra correnti diverse provenienti dai due versanti della penisola, dal Nord e dal Meridione, che durante il Medio Evo sarebbe stato ereditato dall’Abbazia di Farfa [4].

Il fiume infatti non fu solo confine bensì via di comunicazione per Etruschi, Umbri, Sabini, Fidenati, Latini, popoli che si avvantaggiarono del suo percorso non solo per il trasporto di quei prodotti che dai monti scendevano verso la pianura ma anche di quelli che dalle terre d’oltreoceano giungevano alla foce del fiume: tali prodotti infatti venivano fatti risalire per mezzo di barche sino ad una notevole altezza. Scrive ancora la Reggiani [5]:

Per quanto riguarda la navigazione è probabile che fosse praticata sin da tempi remoti, come rivelano episodi di antiche guerre in cui gli abitanti di Crustumerium furono soccorsi dai Romani con l’invio di navi. Il fatto che dall’inizio del IV secolo a. C. sia stato utilizzato a Roma il tufo delle cave di Fidene e di Grotta Oscura induce a pensare che il trasporto di questo sia avvenuto usando il Tevere, così come si sarebbe verificato in seguito per il legname destinato alla costruzione delle navi da usare nelle guerre contro Cartagine. La navigazione sul fiume, come si può osservare nelle rappresentazioni scolpite o dipinte o dalle monete, avveniva mediante canoe o piroghe, barche, chiatte, navi onerarie denominate nell’ordine: lintres, scaphae, lenuncoli, naves caudicariae.

Il fiume, sgorgando dalle sorgenti del monte Fumaiolo, pur dopo avere ricevuto le acque del fiume Chiascio sulla riva sinistra e dei fiumi Nestore e Paglia sulla destra, è sempre rimasto bacino non molto significativo sino ad Orte; solo qui, dopo essersi unito, a sinistra, al fiume Nera, il più importante dei suoi affluenti, ricco di acque limpide e perenni, nel quale erano stati già sub-affluenti il Velino, il Salto e il Turano, il Tevere diviene realmente fiume; si alternano in questo tratto i meandri, fra i quali ricordo, per la sua caratteristica forma di fiasco, quello di Ponzano Romano. Proseguirà poi la sua corsa verso il Mare Tirreno, arricchendosi ulteriormente delle acque del Farfa e dell’Aniene: con questa portata attraverserà quindi la città di Roma per sfociare in mare con i due rami del Fiumara e del Fiumicino, racchiudenti l’Isola Sacra. L’altezza della navigabilità del Tevere verso i monti fu progetto e cruccio di sempre per i governanti di Roma: oggi, dal mare, non va oltre il porto S. Paolo. È ben noto che la navigabilità del fiume fu nell’epoca antica particolarmente difficile a causa del suo percorso assai tortuoso, per le frequenti piene durante l’inverno o le notevoli secche estive [6].

L’insediamento umano in età pre- e protostorica nel territorio falisco e capenate è stato documentato dall’attività della British School [7]; gli studi successivi hanno identificato insediamenti nella zona di Fiano nel Paleolitico; a Monte Ramiano in territorio di Ponzano Romano e a Monte Fiore presso Castelnuovo di Porto tra il Neolitico e gli inizi del Bronzo medio; ancora a Monte Ramiano nell’età del Bronzo medio, recente e finale; a Monte Pelliccia presso Ponzano Romano; a S. Antimo presso Nazzano Romano e nel territorio di Fiano Romano nell’età del Ferro, 900-720 a. C. [8].

Il fiume Tevere costituiva il confine tra i territori dei Latini e dei Sabini, insediati sulla riva sinistra e gli Etruschi saldamente collocati sulla riva destra; il nostro non è mai stato un grande fiume: non è davvero paragonabile alla Senna o al Tamigi e tuttavia

non è stato mai visto a secco, ha [avuto] sempre acqua in quantità sufficiente, tanto che piccole imbarcazioni potevano raggiungere Roma fino alla fine del secolo scorso [XIX, n.d.a,] e battelli fluviali potevano risalirlo molto a monte [9].

Per tanti secoli a tale scopo sopperirono le bufale che trascinavano i battelli muovendosi su un sentiero ai margini del corso d’acqua; ma dopo il tormentato medioevo, solo alla fine del XVII secolo e al principio del XVIII ricomparve un notevole interesse alla ripresa del traffico tiberino; nel 1692 Innocenzo XII fece edificare il porto di Ripagrande e nel 1703 Clemente XI incaricò l’architetto Alessandro Specchi di progettare e realizzare il porto di Ripetta per l’approdo dei navigli provenienti dalle regioni a monte della città di Roma; fu in questo periodo di fervore che Benedetto XIV commissionò agli ingegneri Chiesa e Garbarini il citato rilievo altimetrico e planimetrico dell’alveo, nell’intento di migliorare la navigazione lungo tutto il Tevere, da Perugia al mare.

Per lo Stato pontificio la via d’acqua era infatti particolarmente necessaria per l’interscambio commerciale, peraltro sempre largamente deficitario, e lo divenne ancor più a metà dell’Ottocento, quando fu vitale la massiccia importazione di ferro - per due terzi di provenienza inglese e un terzo tedesca - occorrente per la costruzione degli impianti del gas a Roma, delle prime linee ferroviarie e per altre novità tecnologiche [10].

Al disavanzo della bilancia commerciale l’Amministrazione pontificia sopperiva come poteva, esportando pozzolana e opere d’arte. Per le opere d’arte riporta il Mariotti Bianchi [11]:

Quanto alle opere d’arte, il ‘Prospetto delle merci introdotte ed estratte per gli uffici doganali dello stato pontificio’ del 1855 esprimeva un parere che, letto oggi, fa rabbrividire: … «Le opere di pittura, di smaltatura, d’intaglio, di mosaico, sono una delle più belle glorie italiane, e massimamente della città di Roma, ove le meravigliose raccolte degli antichi marmi figurati, e quelle non meno splendide di tanti egregi dipinti attraggono da ogni paese i cultori e gli ammiratori delle belle arti. Numerosissimi quindi sono i lavori di ogni genere che escono dalle mai di tanti artisti e assai considerevole ne è in pari tempo la esportazione favorita dal Governo […] che […] deve quindi a buon diritto annoverarsi fra le più rimarchevoli che hanno ordinariamente luogo dallo Stato.

Sul tema vi è davvero tanto da scrivere: mi riprometto periodicamente di riprenderlo per quanti, sul Tevere e i territori posti sulle sue due sponde, amano conoscerne la ‘storia’ che è, peraltro, la storia dell’evoluzione dell’homo sapiens dal paleolitico ai nostri giorni.

Note:
[1] Lorenzo Quilici, Geografia fisica ed umana dei Lazio primitivo, in “Civiltà del Lazio primitivo”, Roma 1976, pp. 5 - 15.
[2] Anna Maria Reggiani, Annotazioni sulla Sabina e sul territorio degli Equicoli, in “Enea nel Lazio, archeologia e mito”, Roma 1981, pp. 54-57; Id., Il portus curensis e gli scali della sponda sinistra nella sabina tiberina, in “Tevere, un'antica via per il Mediterraneo”, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Roma 1986, pp. 210-211.
[3] Amato Pietro Frutaz, Le carte del Lazio, Roma 1972; per la navigazione sul Tevere in età moderna cfr. Emma Marconcini, Il tiro dei bufali e i «pilorciatori», in Aa. Vv., “Tevere, un’antica …”, cit., p. 157.
[4] Reggiani (a cura), La Valle Tiberina nella storia in “II Tevere, natura, storia e territorio da Nazzano a Castel Giubileo”, Savelli Gaumont ed., Roma s.d.
[5] Ibid., p. 96
[6] Iniziò Claudio imperatore a costruire il nuovo porto nel braccio settentrionale del delta; egli, invece di alleggerire la portata del fiume a monte di Roma, pensò di facilitarne lo sfogo a valle, eliminando le ultime curve più accentuate mediante la deviazione delle acque entro due larghe fosse rettilinee e parallele, sei chilometri circa prima della foce, che sboccavano a sud del nuovo porto. In precedenza però altri s’erano preoccupati del problema: già verso la metà del IV secolo a.C. era stata fondata Ostia a difesa dello sbocco del Tevere sul mare; Giulio Cesare aveva progettato di deviarne il corso, da ponte Milvio lungo i monti Vaticani, con lo scopo di allontanarlo dalla città; Augusto invece aveva scelto l’allargamento delle sponde e l’approfondimento del suo letto nel tratto urbano.
[7] Micaela Angle, Alessandro Guidi, Patrizia Petitti, Annalisa Zarattini, La valle del Tevere in età pre- e protostorica in Aa. Vv., Tevere, un’antica via.., cit.,. p. 109.
[8] Ibid., pp.110-112.
[9] Joël Le Gall, Il Tevere e Roma, in Aa.Vv., Tevere, un’antica via ... cit., p. 113.
[10] Umberto Mariotti Bianchi, Il fumo sul Tevere, Piazza Navona ed., 1985.
[11] F. Borrelli, Il commercio estero della Stato Pontificio nel secolo XX, in “Archivio Economico dell’Unificazione Italiana”, s.I, vol. XI, fasc. 2, Roma 1961, citato in Mariotti Bianchi, p. 27.