“Dite al vostro capitano che segni questo punto sulla sua carta. C’è un vulcano che esce dal mare, ben presto ci sarà un’isola nuova”, urlò Giuseppe Garibaldi dal brigantino Clorinda al mozzo della nave Miraglia che navigava al largo di Sciacca, in Sicilia.

Nell'estate del 1831, nella Secca del Corallo, ventisei miglia da Sciacca, un vulcano sottomarino eruttò, formando un’isoletta. Il 28 giugno dalla nave britannica Rapid fu avvistato come un “fuoco in lontananza, in mezzo al mare”. Il 2 luglio l’acqua alla Secca del Corallo fu vista ribollire, i pesci morire e i marinai svenire a causa delle esalazioni. Il 7 luglio, Trifiletti, capitano della nave Gustavo, vide, alta trenta palmi sul pelo d’acqua, un’isola che sputava “cenere e lapilli”. Il 13 luglio, Corrao, comandante della nave Teresina, annotò come il 10 luglio una colonna d’acqua frammista a pomici nere e fumo d’odor di zolfo si fosse alzata dal mare venti miglia da Capo S. Marco. Il 2 agosto 1831 il capitano Senhouse sbarcò sull’isola, piantandovi la bandiera britannica. L’isola fu chiamata Graham in onore del primo Lord dell’Ammiragliato. Il 4 agosto il vice ammiraglio sir Hotham, nel dichiarare l’isola possedimento di Guglielmo IV di Hannover, piantò una seconda bandiera, lasciandovi, prima di far ritorno sulla St. Vincent, una pergamena di papiro di Siracusa. Il 10 agosto toccò a Carlo Gemellaro, naturalista dell’ateneo catanese.

Ferdinando II aveva da poco visitato Palermo e Gemellaro, fresco di missione nel mare di Sciacca, suggerì di chiamare l’isola Ferdinandea, ciò che avvenne per regio decreto del 17 agosto allorquando l'isola fu annessa a Napoli. “La nuova isola vulcanica sorta dal mare, Isola Ferdinando II, o se preferite, Ferdinandea”, dirà Gemellaro il 28 agosto parlando alla Regia Università di Catania. I francesi vi arrivarono a settembre, chiamandola Julia, del resto l'isola era emersa a luglio. Il 24 agosto il vulcano si spense, lasciando tutt’intorno fumi, vapori e due laghetti d’acqua colorata e maleodorante che, ribollendo, si sollevava gorgogliando. L’isola s’abbassò giorno dopo giorno, tanto che a ottobre, nei giorni di tempesta, ormai si confondeva con il mare. Il 10 dicembre 1831, Benedetto Marzolla, dell’Officio Topografico del Regno delle Due Sicilie, pubblicò una Descrizione dell’Isola Ferdinandea nel mezzogiorno della Sicilia, raccontando come il 12 luglio di quell’anno un vulcano fosse emerso dal mare, creando un’isoletta di “sabbia nera e pesante”. Ma quando la Descrizione fu data alle stampe, l’isola era già scomparsa.

L’8 dicembre il comandante della nave Achille Alotta non poteva far altro che constatare come non ci fosse “vestigia alcuna dell’isola vulcanica”, a parte alcuni soffioni e il ribollio dell’acqua. Nell’Atlante cartografico, storico e statistico del Regno delle Due Sicilie del 1832 l’isola è ancora ricordata come Ferdinandea, ma dopo la sua scomparsa (anche se notizie, non confermate, parlano di un’attività vulcanica sottomarina nel 1833, quindi di un veloce ritorno a pelo d’acqua nel 1863), sulle carte nautiche, sia italiane che straniere, comparirà in corrispondenza un Banco di Graham. Nel 1890 la regia nave idrografica Washington compì i primi rilievi d’epoca unitaria. Nel 1925 gli idrografi della Regia Marina ripeterono le operazioni confermando l’esistenza del banco. Questo fu colpito nel 1986, nella sua rotta verso Tripoli, da un missile della U.S. Air Force che l’aveva scambiato per un sottomarino libico.

Ancora oggi ben poco si sa del Banco di Graham. Intanto, fra il 17 e il 21 luglio 2012, grazie alla nave Astrea dell’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia hanno condotto la loro prima campagna di monitoraggio sottomarino dei banchi del Canale di Sicilia. Durante la campagna sono stati eseguiti rilievi con ecoscandaglio multifascio, ciò ha consentito di irradiare una superficie molto ampia di fondale con l’identificazione di nove crateri monogenici, segno che nella zona si sono verificate altrettante eruzioni storiche. Dal fondale e dalle fumarole sono stati inoltre prelevati campioni di roccia e di gas. Sul fondo del mare sono state quindi adagiate tre OBS/H, stazioni sismiche di monitoraggio sottomarino, provviste di idrofono e sismometro a banda larga per l’acquisizione e la registrazione dei dati sismoacustici. E chissà che dell’isola che non c’è non si sappia finalmente un po’ di più.