"Il corpo dell’uomo è il compendio dell’universo. Il suo cervello è la cupola gremita di stelle, piena di fuochi fatui, delle meteore e delle comete dei sogni. I suoi occhi sono il sole e la luna, corpi celesti perfetti complementari e luminosi. Le orecchie, le narici, la bocca sono i cinque pianeti. L’anatomia è una astronomia in piccolo, l’astronomia è un’anatomia in grande. Il corpo è il cosmo, e viceversa".

Così scrive Giorgio Celli in Copernico e le Stelle, dramma teatrale che riscosse un successo di pubblico negli anni Novanta. Celli, scomparso nel giugno di due anni fa, è stato etologo, entomologo, scrittore (membro del Gruppo 63), ma anche attore, sceneggiatore, drammaturgo (Premio Pirandello nel 1975 per Le Tentazioni del professor Faust, argomento topico per chi ama la natura) poeta, personaggio televisivo (per dieci anni ha condotto il programma Nel regno degli animali), parlamentare europeo dal 1999 al 2004; di lui restano famose, le sue accese, intransigenti, battaglie a tutela della biodiversità e per il rispetto degli animali.

Figura poliedrica e vulcanica, Celli è stato un uomo dalla mente vasta che poteva scrivere e dissertare sugli insoliti rapporti tra etologia e psicanalisi, incrociando nello stesso capitolo Freud, Teilhard de Chardin, Lacane e Darwin. E così oggi, come a smentire chi lo ha ritenuto soltanto un divulgatore, molte sue pagine vengono recuperate dagli studiosi per la loro suggestiva originalità e per il loro intrinseco valore. Giorgio Celli, infatti, poteva spaziare con limpidezza di pensiero e lucidità dall’etologia dell’ape alla Noosfera, una sorta di suggestivo altrove situato tra scienza e fantascienza, dove tutti i cervelli degli uomini, come in un internet biologico, sarebbero destinati a collegarsi tra loro.

"Il Professore", così veniva chiamato in certi ambienti, aveva la capacità di intessere infiniti collegamenti tra le cose e di spiegarle in modo semplice e comprensibile, ma non banale. Le cose, infatti, di cui Celli parlava, poteva divulgarle, perché prima le "possedeva" e le faceva sue in tutto e per tutto. Celli scienziato, con la sua mente vulcanica e con il suo essere fatto, per così dire, di una forza vitale in cui le emozioni e i pensieri lo portavano a vivere in un flusso diretto tra mente e corpo, ragione ed emozione, attraverso la sua parola e il suo intervento attivo negli ambiti più vari, comunicava e manifestava le proprie intuizioni (per questo era ritenuto anche una presenza ingombrante e scomoda!) e sapeva “vedere” non solo le idee degli uomini, ma anche interpretare il comportamento degli animali. In un certo senso la forza di Giorgio Celli, così impregnato di quella sensitività/sensibilità animale, consisteva proprio nel suo non essere mai uscito, in fondo, dal bosco delle più remote origini, dal suo vivere sempre come sospeso con un piede nella nostra civiltà e l’altro ancora nel bosco dei nostri antenati: insomma uno nella Storia e l’altro nella Preistoria, insieme al lupo, alla tigre, e perché no, anche ai gatti selvatici.

Come gli animali, sensibile al mondo implicito, Celli stava nel "momento presente", vivendo e godendo della forza e della bellezza del "qui ed ora". Qualcuno ha scritto, infatti, che l’uomo facendo uso quasi esclusivo della mente, si è precluso gli altri mezzi di comunicazione al punto che non sa più quello che invece il pesce sa benissimo, che sa benissimo l’uccello e che sanno benissimo tutti gli altri animali. Come gli uomini di genio Celli era in contatto diretto con le Intuizioni, con le grandi Intuizioni che reggono il mondo, come se da una "dimensione altra" avesse afferrato tutto il suo fuoco interiore, tutta la sua luce, tutte le sue idee. Ricordando certe figure di sciamani sapeva combinare tra loro scienza, arte e Natura. Come le tante stanze o i cassetti di una wunderkammer, cioè di una Camera delle Meraviglie, compiva collegamenti continui: scriverà infatti "ogni cosa è tutte le cose". E nell’idea che un uomo che ha una meta costringe sempre tutte le cose a mettersi al suo servizio, visione molto Zen per uno scienziato, pensava che sono le cose stesse a venirci incontro, a cercarci, se le vogliamo veramente e se l’intenzione è giusta. Così, oggi, proprio in questa fase di oscuramento del mondo e di "passaggio" critico, per non dire cruciale, dell’uomo, sembra spingerci "a uscire fuori" allo scoperto, ad agire, aiutando la vita a essere, a trovare compimento.

Giorgio Celli se ne è andato con ancora tanta luce dentro, tante idee. Il suo temperamento, come quello di certe nature inesauribili, lo ha portato a esprimere molto di se stesso e delle sue tante "possibilità" di uomo, così a suggerirci, che ogni vita, nel suo inseguirsi, e nel suo raggiungersi, aspira al compimento di una favola, e che perciò siamo chiamati a vivere la favola della nostra vita, qualunque essa sia, perché è unica e nostra soltanto. Non possiamo certo solo passare accanto alla nostra esistenza, ma cercare di vivere l’inedito di ogni nostro momento. Sognando senza fare dei sogni i nostri padroni e dei pensieri il nostro scopo, ribellandoci un poco alle trappole della nostra mente che si è messa a un certo punto tra noi e il mondo, impedendoci così di vivere e basta, e cercando invece di seguire un po’ di più gli animali che sono depositari di un segreto che ci riguarda, e che dobbiamo investigare, e svelare.